di Antonio Fundaro, 25 mar 2020
La valutazione. Questa benedetta e sempre problematica valutazione che, volente o nolente, è l’elemento che, più di altri, caratterizza un percorso formativo, segna il successo e determina l’insuccesso, di ogni percorso educativo.
Ancor più quando questa è costretta a ritagliarsi uno spazio nuovo, ma sempre autorevole, in un momento storico, tanto complicato quanto ancora imprevedibile nel suo dipanarsi. Esserci e come? Misurare e quanto? Rimanere ai margini o continuare a vivere la poliedricità del suo ruolo ma con l’accortezza di scivolare addosso a questo nuovo costume senza alterarne la bellezza e la delicatezza? Convincere gli alunni o appagare i docenti?
Perché la vera scommessa è, in verità, far comprendere, principalmente ai docenti, non tanto ai discenti o ai loro genitori, che essa è da intendersi come articolazione diversa da quella che sottendeva all’insegnamento, per così dire, tradizionale, in classe, insomma!
Perché, inutile negarlo, la valutazione della qualità di un percorso formativo assume ininterrottamente una ragguardevole importanza e, congiuntamente, ugualmente difficoltà di genere diverso. E questo problema, oggi, è fortemente più sentito, nella scuola che cerca di ritrovare se stessa nella tecnologia e nel digitale. Una scuola che è fatta di tanta buona volontà, ma anche di tanta arrendevolezza e incapacità di andare al passo con i tempi (la classe docente andrebbe rinvigorita, sfoltendola dai retaggi della scuola della metà del secolo scorso). Perché se bisogna valutare percorsi di formazione a distanza la cosa diventa più complessa e la prima battaglia da vincere è quella sul fronte degli insegnanti che parlano ancora di programmi, di orario di servizio, di compiti, di discipline più o meno importati, addirittura, in questa fase delicata della vita del Paese e della scuola di “note disciplinari” per recuperare forme altre di dispersione, quelle che, giustamente dovrebbero essere chiamate come “dispersione digitale”. Ma, di questa, stavolta, i responsabili siamo noi: la scuola, la democrazia digitale, l’incapacità di essere coinvolgenti, la capacità di misurare il tempo e di vivere questo nuovo spazio.
Nel caso della formazione a distanza, difatti, si associano aspetti e effetti congiunti al potenziale particolare di questo modello di formazione. Siamo davanti ad un settore nel quale le nuove tecnologie hanno immesso trasformazioni concreti, cambiando quello che è il modello (per carità, caro a molti, ma da solo, incapace di cambiare la scuola italiana) della didattica tradizionale, contraddistinto soprattutto da un’attività didattica in aula, alla presenza degli alunni, con un insegnante che, non me ne vogliano i docenti, ancora “distribuisce conoscenze” lungo un unico e immutabile asse direzionale (a di là delle belle paroline recitate nei documenti ufficiali), avviando un nuovo modello d’insegnamento e di apprendimento che tiene in giusta considerazione le nuove necessità del mondo attivo e del lavoro (gli alunni si misureranno con altro, dopo al scuola), che replica alle caratteristiche di efficienza e di elasticità spaziale ma anche temporale e che considera le abilità e i necessità del singolo alunno (l’individuo, il cittadino, del domani) e delle organizzazioni che mutano. In questo mondo, nella nostra Italia, indebolita dal COVID-19 ma non dalla sua grande storia culturale, entra in gioco la formazione a distanza che negli ultimi anni ha subito un notevole sviluppo, anche in risposta consequenziale all’inarrestabile sviluppo tecnologico e multimediale con particolare attenzione all’e-learning che si serve dei vantaggi offerti dalla telematica.
Le parole chiave
Quali sono, dunque, le parole chiave che contraddistinguono l’e-learning?
Innanzitutto, blended, poi flessibilità e partenariato. Ma, in particolare, blended.
Blended nel suo significato più puro, ovvero mescolato, miscelato che pone in luminosità la necessità, per comprendere la proposta costruttivista dell’apprendimento e, così, potere replicare alla difficoltà odierna che è quella di rimescolare e perfezionare in modo armonioso fondamenti che sono diversi. E la diversità si ha sia in termini logistici che tecnici, sia sul versante delle strategie didattiche che su quello delle figure coinvolte. Riguardo alle nuove tecnologie e al loro utilizzo nell’ambito formativo, molti rimangono i problemi aperti mancando, possiamo dirlo ancora con assoluta certezza, studi in grado di esaminare l’efficienza dell’e-learning e, congiuntamente, di valutare tale ambito di formazione sia per ciò che riguarda i risultati ottenuti, che per quanto interessa, invece, i processi che sono posti in atto. Però, accedere al campo della valutazione della formazione diviene un percorso assai complesso.
Criteri di valutazione degli apprendimenti
Non dimenticando mai, nel caso specifico di questa tormentata virata verso la FaD, che esiste una progettazione curriculare per competenze, d’inizio d’anno, sarebbe necessario, a partire da quella e senza stravolgimento alcuno, puntare a un sistema di valutazione in grado di evidenziare gli aspetti che necessitano di verifica (sia per i singoli studenti che per il gruppo Fad o parte di esso) puntando agli strumenti digitali o tecnologici e ai criteri della valutazione. Verificando, in primis, gli apprendimenti individuali (grande attenzione, in questo caso, andrebbe data all’autovalutazione, ciò permetterebbe, allo studente, di comprendere il livello di apprendimento raggiunto), e poi gli apprendimenti in gruppo. Sì, perché anche quelli, nonostante la FaD, vanno verificati servendoci di una valutazione complessiva del lavoro realizzato dal gruppo “classe virtuale”. In particolare, si dovrebbe tenere conto non dello squallore contenutistico disciplinare (per carità utile anche quello, ma non prioritario, in questo momento storico e in questa scelta didattica) quanto piuttosto della qualità della discussione nel forum o nei forum della piattaforma, della capacità mostrata nella riflessione critica e nella capacità di annodare collegamenti, nonché, ad esempio, nella chiarezza espositiva, nella maturità storica della scelta.
Quante cose valutare!
Nella FaD ci sono un numero di cose che bisogna valutare superiore, molto di più, rispetto a quelli che sono i corsi tradizionalmente intesi. Ciò, evidentemente, è dovuto al fatto che la formazione FAD è maggiormente flessibile ed è in grado, nonostante il Coronavirus, le difficoltà degli alunni ad essere raggiunti, di fornire una infinità ampia di stimoli e, principalmente, di situazioni. Nella formazione a distanza, anche se può non piacere, non gratificare totalmente l’insegnante in cerca, talvolta, d’un palcoscenico da calcare, c’è il superamento della struttura statica; si attua (direi, si concretizza) la più ampia libertà nel tracciare la propria strada di studio assai più e assai meglio individualizzato. In rete, l’insegnante diventa, forse, più marginale, ma si impadronisce del ruolo, sempre significativo, di tutoring. Cosa che, nella scuola delle competenze, assume una rilevanza maggiore perché lega il docente (apparentemente spaesato, privato dell’aula e del vociare, della lavagna e della LIM) ad una molteplicità di competenze.
Valutare come verificare
Nella Formazione a distanza, valutare non è più e non è solo solamente verificare la connessione tra le scelte progettuali, i contenuti e i metodi con quelli che sono gli obiettivi dell’azione educativa, bensì ugualmente monitorare, nel suo svolgersi e nel suo attuarsi quotidiano, il movimento della condotta formativa, per desumere indicazioni regolari in grado di consentire la ri-taratura e/o la flessibilizzazione della stessa azione.
Data la complessità e la ricchezza delle classi virtuali, la valutazione acquisisce connotazioni specifiche. Mason, che certamente non sta vivendo questo momento storico, aveva condotto già sul finire del secolo scorso, analisi si diversi interventi formativi e aveva centrato il suo interesse sull’utilizzo di diverse metodologie e di diversi strumenti per effettuare la valutazione, rimarcando quanto fosse importante che ci fosse un bilanciamento fra le verifiche fondate su aspetti quantitativi (ad esempio il numero e la ripartizione di messaggi nelle diverse aree) e qualitativi (ovvero, il contenuto dei messaggi). Una quantità smisurata di opzioni e di metodologie tecniche potrebbero aiutare: l’intervista, il questionario, l’analisi statistico quantitativa dei messaggi, lo stesso esperimento empirico o, piuttosto, l’analisi dei contenuti delle interazioni in rete o, infine, il diario dei partecipanti”.
Quali dimensioni ha la partecipazione nel processo di valutazione?
È necessario, dunque, che le scuole, si dotino, tutte, di uno strumento il cui compito sia quello di concludere, meglio definire, una valutazione, credibile e accettabile, dei singoli alunni e del processo, prioritariamente. A nostro avviso è necessario puntare, con velocità e con assoluta convinzione, su modelli semplici. In primis, individuare, nelle riproduzioni degli scambi comunicativi, i diversi blocchi omogenei di informazione. Ma prima di tutto è necessario pianificare le risorse dello studio.
Pianificare le risorse dello studio: il Timesheet come lotta alla “dispersione digitale”
Pianificare le risorse dello studio vuol dire misurare il tempo impiegato per ogni attività. Cosa complicata di questi tempi. Tempi nei quali gli insegnanti sono più impegnati a rincorrere le loro paturnie, i loro esercizi, la scansione dei loro ritmi, i loro orari, le loro lunghissime ed estenuanti lezioni, piuttosto che le necessità dei loro alunni, i loro di ritmi, le loro di preoccupazioni. Nonostante tutto è fondamentale e imprescindibile la pianificazione delle risorse dello studio. Il Timesheet dovrebbe fungere, in questo senso, da garanzia al processo di gestione delle informazioni. Processo che, inevitabilmente, dovrà ricadere all’interno della sfera dell’Enterprise resource planning, il cui acronimo è ERP e possiede un alto valore aggiunto che potrà essere dato alla scuola.
Il Timesheet semplice e complesso
Abbiamo vari tipi di Timeshetun: semplice foglio di calcolo o foglio word realizzato con tabella, dove è indicato generalmente:
- la data- l’ora
- i dati dell’alunno compilatore- il tipo di attività svolta- il cliente destinatario dell’attività
Se si volesse scegliere un Timesheet più complesso andrebbero raccolte un numero maggiore di informazioni:
- la data di inizio della lezione;- la data di assegnazione del compito da parte del docente;- la data di inizio compito;- il nome di eventuali altri compagni partecipanti al gruppo;- l’importanza della consegna (dipende dalla priorità di velocità);- lo stato della consegna;- l’eventuale partecipazione di altri docenti (il caso delle UDA);- il luogo virtuale/fisico di svolgimento della prestazione;- il tempo dedicato agli spostamenti.
Dal Timesheet al diario di bordo degli alunni per la FAD: una scelta vincente contro la dispersione digitale
Verificata l’importanza del Timesheet, si comprende anche quanto sia importante, congiuntamente un diario di bordo che faccia il punto, sempre e costantemente, sulle attività di studio intraprese e sul tempo impiegato per esse. L’analisi delle due nuove condizioni di “tallonamento anti dispersione digitale”, permetterà anche, se mai fosse necessario, di ritornare sulla scelta di un eventuale altro software che si dovesse rendere necessario per far sì che ci sia, e che sia evidente, la svolta digitale nel proprio discente, disponendosi in questa maniera nelle condizioni di offrire nuovi servizi formativi ed educativi, utilizzando gli stessi metodi e strumenti con i quali abbiamo fatto fare un salto di qualità sotto il profilo digitale alla nostra classe digitale o FAD.
A tal punto sarebbe assai complesso che si possano verificare, e che sia evidente come fenomeno, “dispersioni digitali”, forme di allontanamento da scuola causate da FAD o da una deficienza di democrazia digitale e tecnologica. Appare strano e fuori d’ogni previsione che la tecnologia utilizzata per prevenire la dispersione, nel tempo dell’aula fisica, possa ora essere determinatrice di dispersione scolastica se non per via dell’inadeguatezza dei nostri interventi, incapaci di coinvolgere, di catturare l’attenzione, di essere cosa diversa da ciò a cui gli alunni erano stati abituati.
FaD, gli errori imperdonabili sulla valutazione
Parlare di sbagli non è sempre facile, nonostante questi, quelli che si stanno perpetrando ai danni della didattica a distanza e della valutazione sono, per lo più, in buona fede. È evidente che, se si fanno errori, si continua a porre l’attività didattica in condizioni di emergenza culturale e formativa e nella fattispecie incapace di far proprio il know-how della FAD e delle tecnologie. Un’involuzione autodeterminatesi e autoproclamatasi. Verrebbe quasi da dire, cercheremo di evitarlo, che la Formazione a Distanza che si sta facendo in epoca di Coronavirus, quindi, al di là dei nomi che abbiamo assegnato (per convenzione), è ricolma di errori che è naturale abbiano, nel futuro più o meno breve, ripercussioni.
Gli errori
Gli errori a cui si fa riferimento interessano quattro parole decisive: Panico, Replica, Digitale, Innovazione.
Panico: Serviva, certamente, anche da parte del ministero, per carità impegnatissimo, anche economicamente, in questa ardua impresa, una maggiore attenzione ai proclami da un lato, e alla improvvisazione o alla resa da parte degli insegnanti dall’altro lato (non volendo entrare nel merito dell’entusiasmo che, invece, hanno manifestato un gran numero dei docenti). Il panico didattico pare, ancora oggi, regolare l’attività di molti docenti, alcuni volontariamente arresisi al “WhatsApp” o ad esclamazioni del tipo “la nostra realtà socio-economica non permette didattica a distanza” più a voler giustificare la loro incapacità ad adeguarsi che a proporre l’effettiva fotografia della condizione della propria classe (chi non possiede un cellulare in famiglia?).
Un po’ meno fretta (di ministero e insegnanti), un fare cadenzato da una più adeguata ponderatezza e una adesione sincronica alla realtà sarebbe stato più utile e minori sarebbero stati i danni anche solo se questi si sono avuti sulla sfera emotiva.
Replica: Scoppiata l’emergenza si è ritenuto, sbagliando assai, molto più di quanto si potesse immaginare, che con le tecnologie usabili, fosse semplice insegnare a distanza semplicemente replicando, appunto “a distanza”, quanto si era abituati a fare, talvolta non benissimo, nelle aule, secondo uno schema classicamente in uso e che è caratterizzato dalla successione (anche temporale) di insegnare, imparare, valutare. Ecco spiegato, dunque, perché quando si parla di valutazione la testa del docente va subito al voto (ma all’aspetto punitivo di esso), alla mancata frequenza del suo corso on line, alla necessità di poter mettere le note disciplinari in caso di assenza protratta. Guarda caso, secondo questa teoria mal sana, demotivante, offensiva della FAD, gli studenti dovranno continuare a fare, in FAD, ciò che hanno sempre fatto, ovvero ascoltare in aula (anche se digitale) e studiare casa (anche in epoca di COVID-19). Vergognoso e offensivo.
Digitale: Dopo un’iniziale corsa alla tecnologia, alla messa a disposizione di tutorial sulle piattaforme digitali, alle circolari ministeriali e agli abbondanti richiami sui DPCM ci si è accorti (forse troppo tardi) che non tutti gli studenti hanno un PC o uno smartphone a casa e che non tutti hanno un’adatta connessione ad Internet. A ciò si aggiunge la grande buffonata di alcune associazioni e di una quantità mortificante di insegnanti che predicano la lotta alla dispersione e la formula “scuola adatta a ciascuno” e poi, senza sapere neppure perché o cosa firmassero, che chiedevano lo storno del finanziamento di 85 milioni finalizzati all’equità d’accesso all’educazione dei propri alunni, per altro settore, per carità importante, del nostro Stato. Come volendo dire, continuiamo così: a far poco (rispetto a ciò che si potrebbe fare), a far male, a non permettere che tutti possano accedere all’educazione e alla formazione.
Innovazione: Finalmente si fa innova, avranno detto in molti. Certo, la cosa era attesa, sperata, voluta ardentemente. Ma in emergenza, in una siffatta condizione è difficile innovare, poi, dall’oggi al domane. Il cambiamento si progetta, si determina con tempi e interventi certi, non avviene in maniera meccanico, per decreto-legge, per circolare, per DPCM e neppure durante una guerra, una pestilenza, una grande crisi economica. La pena innovazione dobbiamo viverla dentro, farla nostra, accarezzarla e possederla, poi le pratiche, buone o cattive che esse siano, seguono.
Cosa fare adesso?
Impazienza nel fare le cose, sbagliata rappresentazione dell’insegnamento FAD, far leva sull’emergenza per far ciò che non si è fatto per decenni, sono gli errori, ma non si può recriminare su essi e stare fermi, in attesa del miracolo che non avverrà mai.
A distanza, se non si è davvero in grado di possedere e utilizzare questa metodologia, è consigliabile lavorare su obiettivi di apprendimento imprescindibili; rinforzare contenuti già facenti parte del bagaglio esperienziale dei nostri alunni; chiedere di produrre qualche cosa senza necessariamente sfoggiare ciò di cui non si sa nulla o si sa pochissimo. Si può predisporre una rielaborazione multidisciplinare di una tematica di impatto sociale, e molto altro ancora, senza necessariamente, sedersi dietro al pc immaginando di essere dietro la cattedra per esercitare un potere che di fatto non si ha mai, se si sente così tanto il bisogno.
I modelli didattici utilizzabili sono parecchi, dai quelli maggiormente strutturati a quelli che risultano più aperti e di più facile utilizzo: Cognitive Flexibilty Hypertexts; Digital Storytelling; WebQuest.
La valutazione autentica
La Valutazione autentica e una rubrica valutativa più snella meno legata ai voti e più ai giudizi (non sintetici) risolverebbe ogni problema.
Dunque, come farlo?
Non tutti gli insegnanti sono uguali ma tutti gli insegnanti hanno l’obbligo di non far resa a questa condizione, per carità, complessa.
I care: La finalità principale della FAD, lo ha ripetuto sino all’esasperazione, il ministro Azzolina (ma i docenti non l’hanno capito e, per questa deficienza, andrebbero valutati) è, far sentire la presenza dell’insegnante e della scuola. È naturale che, tutto quello che facciamo, ma proprio tutto, deve essere finalizzato, senza se e senza ma, a prendersi cura degli alunni. Poi viene l’insegnamento. Poi il registro elettronico. Poi la misurazione della dispersione. Certo non possono mai arrivare le note disciplinari. Chiaramente ed evidentemente.
Slow learning: Poche cose ma importanti. Anche in condizioni “normali” si deve evitare di intervenire didatticamente ingozzando gli studenti come se fossero delle oche. In condizioni di emergenza, come quello del Coronavirus, va applicato il principio della lentezza.
Keep calm: Facciamo tutto con calma, senza ansie da prestazione, senza far confondere nessuno e, principalmente, misurando le priorità. Solo così, tutto andrà benissimo.
Low tech: La FAD potrebbe ingrandire e non ridurre il digital divide; ecco perché affidarci ad una FAD con soluzioni aperte, sviluppate e mantenute da comunità di utenti. Non sperimentiamoci per forza, ora e subito.
Per non disperdere gli alunni, infatti, non serve solo la tecnologia, serve l’umanità di insegnanti capaci di sapere cosa fare, quando farlo, come farlo e chi coinvolgere.
Perché fare l’insegnante, oggi più di ieri, è complicatissimo.
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