Pubblicato da tupaia, 26 giu 2011
Supponiamo che io sia indeciso se parlarvi, in questo post, di una nuova specie di sanguisuga che scava coi denti in corrispondenza degli orifizi dei mammiferi o se, in alternativa, sarebbe invece meglio scrivere un post sulla necessità evolutiva della macchiettatura del pelo del cucciolo di Odocoileus Virginianus, per gli amici Bambi.
L’esperienza maturata in quattro anni di vita di questo blog (buon compleanno, Orologiaio) e molte altre esperienze più o meno professionali non mi lasciano dubbio alcuno: se desidero che il post abbia traffico devo scrivere della sanguisuga, perché Bambi non se lo filerebbe nessuno.
Si, certo, tutti si intenerirebbero a guardare questa foto:
Ma alla fine il testo sarebbe accolto tiepidamente e dopo una lettura veloce (se pure) tutti se ne dimenticherebbero.
D’altro canto, un post sulla sanguisuga che infesta gli orifizi umani (tutti), corredato di foto, mi farebbe facilmente saltare in testa alle classifiche dei blog scientifici, se riuscissi ad entrarvi, perché tutti i vari Tumbir, Facebook, liste di discussione etc se lo reimpallerebbero, come è già successo per il candirù, per la Sacculina carcini e per un sacco di altre bestie schifose di cui questo blog vi ha intrepidamente raccontato negli ultimi quattro anni.
Questo è un fatto accertato, ma è curiosamente in contrasto con quello che io chiamo l’effetto Bambi, una inconscia “scala naturae” che ci fa preferire alcune bestie piuttosto che altre, Bambi ai nematodi, il volpacchiotto al topo, la coccinella al ragno e per cui si è “specisti” se si mangia agnello arrosto ma non se si fa derattizzazione.
Non c’è dubbio alcuno che dovendo scegliere se salvare la vita a Bambi o alla sanguisuga chiunque sceglierebbe Bambi, ma se si tratta di leggerne notizie in proposito tutti vogliamo saperne di più della sanguisuga trovata a vivere nel naso di una ragazzina, per buona pace di Bambi.
Se poi la scelta fosse tra andare a vedere le sanguisughe delle mucose (ce ne sono diverse specie) e andare a vedere Bambi è probabile che ce ne resteremmo a casa, ma se ci imbattessimo nello stesso momento casualmente in Bambi e nella sanguisuga non ho dubbio alcuno su dove si formerebbe il capannello di passanti: Bambi ci rimarrebbe malissimo e la ragazzina peruviana che ospita la sanguisuga nel naso avrebbe la prima pagina di tutti i quotidiani locali.
Questo è quello che io chiamo “effetto gatto spiaccicato”, la controparte dell’effetto Bambi, quel misterioso (almeno per me) e insondabile impulso a guardare il gatto investito sul bordo della strada.
Lo abbiamo intravisto con la coda dell’occhio, guidando, e lo sappiamo che lo spettacolo ci farà star male e ci farà tornare a casa con una sensazione spiacevole in sottofondo. Eppure non riusciamo a non guardare, gli occhi, che sino ad un secondo prima erano fissi sulla strada, vengono magicamente calamitati da quella cosetta sbudellata senza che riusciamo a controllarci: abbiamo bisogno di guardare, abbiamo bisogno di SAPERE e di vedere quanto le budella siano sparpagliate sull’asfalto.
Questa misteriosa leva psicologica è, in fondo, quella che induce molta gente a passare da qui nella inconscia speranza che io abbia parlato della sanguisuga piuttosto che del cervo, e tutto sommato è quello che spinge anche me a scrivere molti dei post di questo blog.
Il terrificante ci attira, piuttosto che respingerci, contrariamente a quello che sarebbe logico aspettarsi.
Io non so nulla di psicologia e di antropologia, purtroppo sono solo un modesto biologo, e ignoro se la forza che ci costringe a guardare il gatto investito e ci fa tornare a leggere degli animali orrendi di cui parla questo blog abbia un nome tecnico e sia parte integrante di qualche meccanismo psicologico ben studiato.
Tutto quello che so è che tutti tendono a guardare l’incidente sulla carreggiata opposta, meglio se c’è sangue, il gatto sbudellato, il ragno grosso quanto un barboncino alle mostre organizzate dal grande Francesco Tommasinelli e a inquietarsi su questo blog leggendo della pulce penetrante.
La mia personale interpretazione dell’effetto gatto spiaccicato è la seguente, per semplice che possa essere:
Se siamo in una foresta, chi è più probabile che sopravviva, quello che guarda affascinato le tarantole e cerca di capire come e quando attacchino, o chi le rifugge a priori?
Se troviamo un animale morto nella stessa foresta, la conoscenza di come è morto può tornare molto utile, soprattutto il sapere se ciò che l’ha ucciso possa uccidere anche noi.
Quello che voglio dire è che l’effetto gatto spiaccicato è la conseguenza di una carattere positivamente selezionato dall’evoluzione in quanto la conoscenza della pericolosità dell’ambiente è sicuramente un’informazione utile per uno scimmione curioso, intelligente e soprattutto senza pelo e senza armi naturali di difesa.
Bambi non è un pericolo, la sanguisuga da orifizio potenzialmente si: su chi conviene focalizzare la nostra attenzione?
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