Da Wired
di Viola Rita, 2 mar 2018
Questo albero conta ben 13 milioni di individui, europei e americani, distribuiti su 11 generazioni, dai nostri giorni fino a 500 anni fa. E fotografa tutte le mifrazioni e i matrimoni, nonché il legame fra genetica e longevità, che non è così forte
Il più grande albero genealogico digitale è stato realizzato oggi da un gruppo di ricercatori statunitensi, che ha analizzato i profili pubblici di milioni di utenti registrati su una piattaforma dedicata, ricostruendone le linee familiari attraverso varie generazioni. Il set di dati ottenuto oggi dagli scienziati fornisce informazioni su matrimoni, migrazioni, rapporto fra legame genetico e longevità delle famiglie dell’America settentrionale per un periodo che va dai nostri giorni fino a ben 500 anni fa. Questo inedito risultato è stato pubblicato su Science.
I ricercatori hanno scaricato i dati dei profili di 86 milioni di persone, per l’85% cittadini europei e dell’America del Nord, registrati su Geni.com, uno dei più vasti network online al mondo sulla genealogia, ed hanno applicato algoritmi basati sulla teoria dei grafi, oggetti matematici formati da un insieme di punti, proprio come avviene nell’albero genealogico. Lo studio è stato possibile grazie ai dati pubblici condivisi da appassionati di genealogia, come sottolineano i ricercatori.
I risultati sono sorprendenti. I ricercatori hanno delineato il singolo albero familiare più esteso al mondo, che conta ben 13 milioni di persone – un numero leggermente maggiore della popolazione di Cuba o del Belgio – distribuite su 11 generazioni. Ma è ancora poco, secondo i ricercatori, dato che per arrivare al primo antenato si dovrebbe andare indietro di altre 65 generazioni. Insomma, ancora non siamo risaliti all’uomo preistorico, anche se questo studio fornisce un primo pilastro digitale per la genealogia: infatti, per la prima volta non ci si è basati sui dati provenienti dagli archivi ecclesiastici o dei registri dei decessi.
“La ricostruzione della genealogia mostra che siamo tutti collegati gli uni agli altri”, ha detto Peter Visscher, un genetista alla University of Queensland, che non ha preso parte allo studio. “Questo elemento è noto a partire dai principi storici delle popolazioni primordiali, ma ciò che gli autori hanno ottenuto è davvero notevole”. E la tecnologia non ha sbagliato, riproducendo dati conformi a quelli analogici: se i risultati sono stati poi validati confrontando un ampio sotto-campione con alcuni registri dello stato del Vermont.
I dati più interessanti riguardano l’andamento delle migrazioni e i matrimoni durante le generazioni, negli scorsi secoli. Ad esempio, a migrare e cambiare paese sono più spesso le donne rispetto agli uomini, anche se gli spostamenti avvengono a distanza ridotta e i paesi di destinazione sono spesso vicini, a differenza di quelli che riguardano il sesso maschile. Anche i matrimoni sono cambiati: prima del 1750, la sposa veniva scelta in media entro i 10 chilometri di distanza dal luogo di nascita, mentre 200 anni dopo, nel 1950, i chilometri sono diventati 100. Prima del 1850, inoltre, prima di sposarsi non si faceva tanto caso al grado di parentela, ad esempio era molto frequente che il matrimonio avvenisse fra cugini di quarto grado, mentre oggi – sempre tenendo conto del fatto che siamo tutti imparentati – avviene fra cugini di settimo grado. Evitare di sposarsi fra parenti è un elemento degli ultimi secoli, dovuto probabilmente al cambiamento delle regole sociali.
A partire dalla vasta quantità di dati disponibili, i ricercatori hanno potuto anche approfondire il legame fra genetica e la longevità.
A partire da un sotto-campione di 3 milioni di individui, tramite algoritmi, gli autori hanno comparato la durata della loro vita col loro grado di parentela, gli autori dello studio hanno sviluppato un modello che ha consentito di capire qual è l’impatto dei geni sulla durata della vita. In base ai risultati, i geni sembrano contribuire per il 16% alla variazione della longevità, almeno stando ai dati analizzati. Inoltre, i geni in questione si esprimono in maniera indipendente l’uno dall’altro, senza interagire fra loro: ciò significa che, invece che unirsi, ciascun gene può modificare l’azione di un altro situato in un locus diverso dello stesso cromosoma. Questo fenomeno, chiamato epistasi, viene confermato anche dallo studio odierno basato su dati genealogici.
Ma nonostante questa possibile interferenza, i ricercatori hanno individuato un collegamento lineare – seppure soltanto con un peso del 16% – fra la genetica e la longevità. In pratica, chi ha questi geni favorevoli, cioè associati a una maggiore longevità, potrebbe vivere in media circa cinque anni in più.“Non è tanto”, sottolinea Yaniv Elrich, co-autore dello studio, computer scientist alla Columbia University, “considerando che studi precedenti avevano dimostrato che il fumo toglie 10 anni di vita. Ciò significa che alcune scelte relative alle nostre abitudini potrebbero pesare molto di più della genetica”.
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