Il critico del New York Times spiega perché l'ultima opera – una banana appesa al muro con lo scotch, poi venduta per 120mila dollari – è arte e non solo uno scherzo
Lun, 9 dic 2019
Da giorni si parla di Comedian (Comico), un’opera d’arte di Maurizio Cattelan esposta alla fiera d’arte contemporanea Art Basel Miami. L’opera è una banana vera attaccata al muro con uno spesso nastro adesivo grigio, venduta per 120 mila dollari (circa 108mila euro). Sabato la banana era stata mangiata da David Datuna, un visitatore a sua volta artista, che l’ha staccata dal muro e si è fatto filmare mentre la mangiava. Datuna ha spiegato che anche la sua era un’esibizione artistica: Hungry artist, cioè Artista affamato.
L’opera è la prima di una serie di tre, e anche la seconda è stata venduta a un prezzo simile. Farebbe riferimento alla battuta di un personaggio della serie tv Arrested Development, Lucille Bluth, sui ricchi che non sanno quanto costa una banana; Cattelan ha spiegato di averla comprata a un mercato locale di Miami pagandola circa 30 centesimi di dollaro. Domenica mattina l’opera è stata ritirata dalla fiera a causa del clamore e della folla eccessiva che si assiepava e ci si fotografava davanti. Come accade spesso, le irriverenti invenzioni di Cattelan provocano sconcerto e indignazione – come può una banana attaccata al muro essere considerata arte? come può qualcuno pagarla 120mila dollari? – e lo stesso gesto di Datuna è difficile da inquadrare come scherzo, riflessione artistica o semplice auto-promozione.
Il critico d’arte del New York Times Jason Farago ha provato a fare un po’ di chiarezza o perlomeno a raccontare il punto di vista di un esperto, in quella che ha definito una «difesa (a denti stretti) della banana da 120mila dollari».
Comedian (EPA/RHONA WISE/ANSA) |
Per prima cosa Farago liquida Datona: «Non ho molto da dire sul tizio che si è mangiato la banana di Cattelan: continua una lunga tradizione di gente che prende le cose alla lettera e a cui piace riportare sulla Terra l’arte concettuale dal regno delle idee. Molti artisti si sono liberati in Fountain, l’urinatoio capovolto di Marcel Duchamp e si racconta che nel 1966 John Lennon avesse preso una mela alla prima installazione di Yoko Ono e le avesse dato un morso. Si conobbero così».
Il fatto che la banana appesa sia stata mangiata, peraltro, non significa che l’opera sia stata distrutta. L’opera è l’idea, non la banana materiale in sé. «Se compri un’opera luminosa di Dan Flavin [artista famoso per le installazioni realizzate con lampade e neon, ndr] e un suo bulbo fluorescente inizia a sfarfallare, lo cambi con uno nuovo», spiega Farago. Con la banana è ancora più facile e lo stesso Cattelan aveva preparato le istruzioni, consigliando di cambiare il frutto una ogni sette-dieci giorni.
«E quindi, è arte?», chiede Farago. «Questa banana non è soltanto una banana ed è anche un contorto commento sulla sessualità maschile, sulle monocolture genetiche o sulla geopolitica centroamericana? […] Lasciate che vi rassicuri, non siete degli ottusi conformisti se trovate tutto un po’ fuori di testa. La follia e la sensazione avvilente che una cultura che un tempo incoraggiava la bellezza sublime e che oggi permette solo giochetti ebeti sono gli strumenti da lavoro di Cattelan. Forse apprezzerete meglio il suo lavoro se considerate due cose: una formale, una sociale».
Per prima cosa, infatti, l’opera non è soltanto una banana ma una banana appesa al muro con del nastro adesivo, che da anni è una delle cifre stilistiche di Cattelan. L’operazione è più complessa di quella che facevano i dadaisti a inizio secolo, quando prendevano un oggetto comune e lo dichiaravano arte, e si inserisce all’interno della decennale riflessione di Cattelan sulla tecnica della sospensione, che «rende l’ovvio ridicolo, sgonfia e sconfigge le pretese dell’arte precedente». Fanno parte di questo filone l’opera Novecento (1997), un cavallo imbalsamato appeso con delle imbracature al barocco soffitto del castello di Rivoli, come fosse un candelabro – «fa collassare sia la pomposità marziale del fascismo sia la futilità dell’arte moderna» – e La Rivoluzione Siamo Noi (2000), una miniatura di Cattelan che penzola da un appendiabiti «come un cosciotto di prosciutto». Anche la sua retrospettiva al Guggenheim nel 2011 venne allestita appendendo le opere al soffitto del museo, «come panni stesi ad asciugare».
Novecento di Maurizio Cattelan esposto al Blenheim Palace, Woodstock, Regno Unito, 12 set 2019 (Leon Neal/Getty Images) |
La sospensione resa attraverso il nastro isolante ha una storia nell’arte di Cattelan, e forse l’antecedente più importante è A Perfect Day (1999), esistita per poche ore durante l’inaugurazione di una mostra, quando Cattelan appese il suo gallerista Massimo De Carlo a un muro bianco con il nastro adesivo «in una grottesca ma non meno impressionante crocifissione».
L’altro punto da considerare, secondo Farago, è che Cattelan rivolge queste prese in giro al mondo dell’arte dall’interno, e non dal di fuori in modo cinico e semplicistico: «La sua intera carriera è un manifesto sul desiderio impossibile di creare arte in modo sincero, districandosi dal denaro e dai suoi stessi dubbi». In questo Cattelan è l’opposto di Banksy, il più noto artista di graffiti al mondo, critico e sprezzante verso il mondo dell’arte, i suoi meccanismi e la sua mercificazione. Banksy raffigurò la vendita di un quadro con sopra scritto solo: «Non posso credere che voi coglioni compriate (ma anche “crediate a”) questa merda», e nel febbraio del 2019 nel momento in cui un suo quadro venne battuto all’asta da Sotheby’s per 1,8 milioni di euro si attivò un meccanismo che lo tagliò a strisce e lo distrusse parzialmente, cosa che ne aumentò il valore.
Una nota opera di Banksy, in cui è messo in vendita un quadro con scritto: «Non posso credere che voi tonti compriate (ma anche “crediate a”) questa merda» (Banksy) |
Secondo Farago l’atteggiamento di Banksy asseconda la convinzione diffusa che gli artisti siano tutti impostori, e che i musei, i collezionisti e i critici siano tonti o truffatori: è per il comportamento «fraudolento» – ma la parola italiana più adatta, per quanto volgare, sarebbe “paraculo” – di gente come Banksy che il pubblico crede che sia stato lo stesso Cattelan a rubare il suo water d’oro dal palazzo inglese, a settembre scorso.
«I veri artisti non ti ingannano. Quello che rende Cattelan un artista avvincente e quello che invece rende Banksy un buffone noioso e culturalmente irrilevante è precisamente la volontà di Cattelan di inserire se stesso nel sistema economico, sociale, riflessivo che struttura quello che vediamo e come lo valutiamo. Ha senso che un artista trovi questi sistemi scoraggianti e che la banana attaccata con lo scotch e il cavallo sospeso testimonino il suo e il nostro essere confinati nel mercato e nella storia. Per questo il titolo, Comico, è ironico: per Cattelan, come per tutti i migliori clown, è la tragedia a rendere le nostre certezze scivolose come una buccia di banana».
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