Cosa rende geniali?
Walter Isaacson è CEO dell’Aspen Institute, è stato presidente e amministratore delegato della ‘CNN’ e caporedattore del ‘Time’, autore di ‘Benjamin Franklin: An American Life’, ‘Einstein: His Life and Universe’, ‘Steve Jobs and Leonardo Da Vinci’, da cui sono tratti i seguenti brani.
Essere un genio è diverso che essere super-intelligente. Ha a che fare con la creatività, la capacità di applicare l’immaginazione praticamente a qualsiasi situazione.
Prendete Benjamin Franklin: da autodidatta è diventato l’inventore più grande dell’Illuminismo americano, diplomatico, scienziato, scrittore e stratega negli affari. Inventò il parafulmine, le lenti bifocali, l’armonica a bicchieri e un tipo di umorismo unico.
Albert Einstein seguì un percorso simile. Fu lento ad imparare a parlare da piccolo, al punto che i genitori consultarono un medico. La domestica lo chiamava ‘il tonto’, un altro parente ‘quasi ritardato’. Albert nutriva una certa insofferenza per l’autorità, fu cacciato da un maestro e un altro gli disse che nella vita non sarebbe andato da nessuna parte. Queste caratteristiche resero Einstein il santo patrono degli scolari distratti ovunque nel mondo.
Ma il disprezzo per l’autorità lo portò ad interrogarsi sulla libertà in un modo che gli accademici non avevano mai contemplato, e il ritardo nel parlare gli permise di osservare con stupore ciò che gli altri davano per scontato. Rivoluzionò la nostra idea di universo e rivelò due pilastri della fisica contemporanea: teoria quantistica e della relatività. Oggi la sua faccia e il suo nome sono sinonimo di genio.
Poi c’è
Steve Jobs. Come Einstein, che suonava Mozart con il violino quando voleva riconnettersi alle armonie del cosmo, Jobs credeva che la bellezza contasse e che le arti, le scienze e l’umanistica, dovessero connettersi. Mollato il college, Jobs fece lezioni di danza e calligrafia, prima di cercare illuminazione in India. Il che significa che ogni suo prodotto, dal Mac all’iPhone, aveva bellezza quasi spirituale in natura, diversa dai suoi competitor.
Credo che Leonardo da Vinci sia il genio più creativo della storia.
E, di nuovo, non sembrava la persona più intelligente. Non aveva l’intelligenza teorica sovrumana di Newton o Einstein, o le capacità matematiche del suo amico Luca Pacioli. Ma sapeva pensare come un artista e uno scienziato, e questo gli diede una cosa preziosa: l’abilità di visualizzare i suoi concetti teorici. Pacioli ha espanso le teorie di Euclide per produrre influenti studi sulle prospettive matematiche e le proporzioni geometriche, ma furono le illustrazioni leonardesche a dare loro vita. Negli anni fece lo stesso nel campo della geografia e dell’anatomia, creando grandi opere d’arte.
Come Franklin, da Vinci era per lo più un autodidatta. Come Einstein, aveva un problema con l’autorità. Ignorò i dogmi medievali e la scolastica impolverata. A suo dire, fu discepolo dell’esperienza e dell’esperimento. Un approccio rivoluzionario, che anticipava il metodo scientifico sviluppato il secolo dopo da Francis Bacon e Galileo Galilei.
Come in Einstein, il suo tratto distintivo fu la curiosità, e a dimostrarlo ci sono pagine e pagine di appunti zeppi di domande. La sua nobile ambizione era di conoscere tutto il conoscibile, incluso il cosmo e il nostro ruolo al suo interno. Non smise mai di osservare. Quando guardava il castello di Milano, mentre passeggiava, quando vedeva gli uccelli o i visi delle persone. Il suo uomo vitruviano, esattezza anatomica combinata a bellezza, divenne il simbolo della connessione fra arte e scienza.
Alcuni sono geni in ambiti precisi, tipo Leonhard Euler nella matematica o Wolfgang Amadeus Mozart nella musica, ma per me i geni più interessanti sono quelli che vedono schemi nelle infinite bellezze della natura. Nessuno unì anatomia, matematica, studio dell’universo, a dipinti come la Gioconda o L’ultima Cena. Da Vinci fu un genio, ma non perché era intelligente. Era, innanzitutto, il modello della mente universale, la persona più curiosa della storia.