La dieta ipocalorica è un regime alimentare che prevede un apporto caloricoenergetico quotidiano inferiore a quello richiesto dall’organismo nell’arco della giornata.
La dieta ipocalorica dovrebbe escludere qualunque finalità estetica, poiché il suo utilizzo prolungato (considerato tale oltre i 6-8 mesi) comporta uno stress evidente per il soggetto, sia a livello fisico, sia a livello psicologico; anche se, ovviamente, le diete ipocaloriche non sono tutte uguali.
Quali cibi sono adatti a una dieta ipocalorica?
Per avere risultati è sufficiente fare il conteggio delle calorie e avere l’accortezza di inserire nel programma dietetico tutte le classi alimentari. La dieta ipocalorica per essere efficace e nello stesso tempo salutare deve essere varia e rispondere alle necessità caloriche del singolo. Non ci sono pertanto dei cibi che devono essere eliminati in assoluto. Anche i cibi ritenuti ingrassanti come pasta, pane e patate sono importanti. Da ricordarsi che proprio questi alimenti contribuiscono ad una adeguata sensazione di sazietà e, se in porzioni adeguate e conditi semplicemente, sono sani e non eccessivamente calorici.
Quali potrebbero essere i giusti comportamenti da seguire mentre si sta seguendo un regime di dieta ipocalorica?
Come prima regola si dovrebbe fare movimento: organizzare una regolare attività fisica può essere utile per riuscire a combattere la naturale reazione del nostro organismo a dover andare avanti con poche calorie. Se per un periodo di oltre 3 settimane l’alimentazione diventa ipocalorica l’organismo comincia a risparmiare e non si dimagrisce anche se si mangia meno! Non bisogna strafare o sudare copiosamente è sufficiente rispettare un ritmo accettabile nell’allenamento.
Si dovrebbe aver cura di frazionare i pasti in 4 o 5 piccoli pasti, avendo cura di fare sempre la prima colazione. È necessario consumare molta verdura (almeno 3 porzioni al giorno) bene anche la frutta che non deve essere però assunta in quantità troppo elevata per compensare una mancanza di sazietà dato che questo non sempre può essere una scelta vantaggiosa (alcuni frutti contengono elevate quantità di zuccheri e quindi calorie).
Molto importante in una dieta ipocalorica é infine la scelta dei condimenti: si dovrebbero prediligere l’olio extravergine d’oliva e l’utilizzo di poco sale e si dovrebbe avere l’accortezza di utilizzare il cucchiaio come unità di misura per olio e sughi. Proponetevi obiettivi raggiungibili e non esagerati: il primo passo può essere voler rientrare in quel vestito che abbiamo appena abbandonato e poi procedere con i passi successivi. Ricordarsi di non utilizzare la bilancia in maniera maniacale, è sufficiente pesarsi una volta a settimana.
Dieta ipocalorica: il menù
Colazione: un bicchiere di latte parzialmente scremato (g 150); caffè, un cucchiaino di zucchero, due fette biscottate; oppure g 20 di biscotti, oppure g 20 di cereali. Metà mattina: uno yogurt magro da g 125 anche alla frutta; oppure un cappuccino con un cucchiaino di zucchero; oppure un pacchetto di crackers da g 25; oppure un frutto di stagione.
Pranzo: due uova (1 volta alla settimana); oppure tonno sott’olio sgocciolato una confezione da g 80; oppure prosciutto crudo o cotto o speck o bresaola g 70; oppure arrosto di tacchino g 80 oppure 4-5 bastoncini di pesce impanati (cotti al forno); oppure g 120 di carne oppure g 130 di pesce fresco o surgelato oppure g 60/70 di formaggio light.
Contorno: verdure crude o cotte, quantità a piacere, condito con un cucchiaino di olio extravergine di oliva, non mangiare patate, legumi e mais.
Pane: g 40 (mezza rosetta).
Pomeriggio: uno yogurt magro da g 125 anche alla frutta; oppure g 20 di cioccolata o due cioccolatini; oppure una spremuta di arancia oppure un cappuccino con un cucchiaino di zucchero oppure una barretta di cereali; oppure un ghiacciolo o un mini gelatino: oppure un tè con un cucchiaino di zucchero e 2-3 pasticcini.
Cena: a piacere a base di carne o di pesce cucinato e condito secondo le proprie abitudini alimentari (non mangiare alimenti fritti e carni insaccate); oppure g 80 di qualsiasi tipo formaggio (una volta alla settimana): oppure come una delle alternative indicate per il secondo piatto del pranzo.
Contorno: di verdure crude o cotte, quantità a piacere, condito con un cucchiaino di non mangiare patate, legumi e mais.
Pane: g 40 (mezza rosetta) o una porzione di legumi freschi o di patate (g 150 circa).
Durante la dieta ipocalorica è necessario escludere: zucchero, bevande alcoliche, latte intero, grassi animali come condimento, farinacei e cereali in genere.
Dobbiamo essere realisti: c’è solo un modo per vivere in salute e cercare quantomeno di vivere più a lungo, tutto questo dipende anche dalla velocità con cui invecchiamo, e cercare di avere una buona alimentazione evitando abbuffate può essere la soluzione. Dagli ultimi rumour che girano Web sembrerebbe che abituarsi a seguire una dieta ipocalorica possa essere la soluzione per un elisir di lunga vita.
Sappiamo ormai già da molto tempo che seguire una dieta ipocalorica influisca sul metabolismo rallentandolo, ma i risultati di un nuovo studio sollevano la speranza che possa mantenere le persone in buona salute anche in età avanzata e persino allungare la vita.
Lo studio in questione fa parte della serie di studi chiamati CALERIE, sponsorizzati dal National Institutes of Health degli Stati Uniti, e per ora sono stati condotti solo su animali come vermi, mosche e topi, dimostrando che le restrizioni caloriche rallentano il metabolismo e prolungano la durata della vita.
Sono però animali con una vita breve, questi, pertanto esperimenti su esseri umani – che vivono più a lungo – e su altre specie sono più difficili da condurre dunque, in tal senso, ancora non si hanno delle conclusioni basate sulla scienza.
DIETA IPOCALORICA STANDARD
Colazione
g 150 di latte parz. scremato (1,8%)
caffè a piacere
1 cucchiaino di zucchero (5 g)
2 fette biscottate
oppure 20 g di cereali
oppure 20 g di biscotti (es.4 bisc. Oro Saiwa)
Oppure al bar cappuccino
1 cucchiaino di zucchero
1 cornetto
Metà mattinata
1 mela/pera/kiwi
1 yogurt magro da 125 g
1 cappuccino
1 spremuta d’arancia
1 tè con due fette biscottate
Pranzo a casa
2° piatto 60 g di prosciutto crudo/cotto/speck/bresaola
80 g di tacchino arrosto
80 g di tonno al naturale
90 g di carne Simmenthal
2 uova (sode/coque/in camicia)
4-5 bastoncini di pesce surg. al forno
130 g di pesce (peso netto crudo)
120 g di carne alla piastra
100 g di hamburger
100 g di ricotta magra
100 g di Yocca
150 g di “fiocchi di latte”
60 g di mozzarella/formaggio light
contorno quantità a piacere di tutte le verdure esclusi legumi, mais e patate
le verdure del contorno possono essere utilizzate per un minestrone
condimento 1 cucchiaio di olio extravergine di d’oliva
aceto o succo di limone a piacere
pane 40 g di pane o 25 g di cracker
30 g di riso o di pasta nel minestrone
frutta 1 mela o una pera o un kiwi o un’arancia
150 g di fragole
fuori casa
un toast o un tramezzino o un medaglione
130/150 g di pizza al taglio
80 g di pane/pizza bianca con 50 g di companatico
un’insalata di tonno e/o uova
condita con un cucchiaino di olio
40 g di pane o 25 g di cracker (un pacchetto)
un’insalata di tonno e/o uova, mais, patate
condita con un cucchiaino di olio
a mensa
2°piatto una porzione di arrosto/roast beef, oppure un petto di pollo,
oppure 1/4 di pollo arrosto, oppure un hamburger, oppure un
piatto di carne o di pesce; una volta alla settimana una porzione
di formaggio o di mozzarella; una volta alla settimana una porzione
di prosciutto crudo o cotto; non mangiare fritti e carni insaccate;
contorno verdure a piacere condite con un cucchiaio di olio
limone o aceto se graditi, non consumare legumi, patate e mais
pane
40 g (mezza rosetta o una fetta
piccola casereccio) una fetta piccola di pane casereccio)
oppure 25 g di cracker o grissini o una porzione di patate
frutta un frutto o una macedonia di frutta fresca di stagione
oppure una volta a settimana:
un primo piatto a piacere e un contorno come sopra oppure una
macedonia una macedonia di frutta frescadi stagione
Pomeriggio
una mela/pera/kiwi/arancia; oppure uno yogurt da 125g magro
oppure un cappuccino, oppure un succo di frutta, oppure un mandarancio
oppure una barretta di cioccolata da 20 g (tipo Kinder ai cereali)
oppure un cremino Algida, oppure un Fiordifragola, oppur un cappuccino
oppure un tè con due fette biscottate
Cena a casa
2° piatto una porzione a piacere di carne o di pesce cucinato a piacere
oppure una delle alternative del secondo piatto del pranzo
non mangiare fritti, carni insaccate e formaggi
contorno qualsiasi verdura compresi fagiolini e funghi; niente legumi, patate e mais
condimento un cucchiaio di olio extravergine d’oliva; limone o aceto a piacere
pane 1/2 rosetta o una porzione moderata di patate o legumi freschi (150 g)
frutta 1 mela/pera/kiwi oppure 200 g di ananas o di fragole oppure un mandarancio
Dopo cena 1 pacchetto di Pavesini/cracker da 25 g; oppure uno yogurt da 125 g magro
oppure un fiordifragola, oppure un piccolo cono gelato alla frutta
oppure una barretta di cioccolata da 20g tipo Kinder ai cereali
oppure un cioccolatino fondente, oppure tre noci
Una volta alla settimana tutta la cena può essere sostituita da:
primo piatto
una porzione a piacere di pasta al pesto, al ragù, alle vongole,
riso e piselli, pasta e fagioli………
pasta o riso 80 g, pomodori pelati a piacere, 20 g di tonno o di carne trita,
50 g di vongole, o un cucchiaio di pesto o due cucchiaini di formaggio,
contorno, condimento e frutta come quello previsto per la cena
Informazioni utili
Si può invertire il pranzo con la cena
Tra le carni preferire quelle bianche
E’ consigliabile che almeno quattro pasti alla settimana siano a base di pesce
Per i condimenti aceto e limone si possono usare liberamente
Aglio, cipolla, pomodori pelati, erbe aromatiche e spezie si possono consumare liberamente per rendere più
gustosi i cibe e, soprattutto, per limitare il consumo di sale
Bere almeno 2 l di acqua al giorno, 3 quando ti alleni
Evitare i superalcolici, tollerato un bicchiere di vino a cena
Caffè e tè non zuccherati si posso bere liberamente
Se si è “costretti” a partecipare ad un pranzo o una cena “importante” si può mangiare di tutto in porzioni moderate avendo cura, nelle 24 ore successive, di ridurre di circa la metà i cibi previsti mentre la quantità di frutta e verdura e di bevande deve rimanere costante o addirittura aumentare
Non pesarti tutti giorni, se fai attività motoria pesante inizialmente il peso potrebbe rimanere costante, ma poi dovrebbe scendere.
Invece di vedere la bilancia controlla la cintura dei pantaloni! In bocca…al lupo
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IL DIABETE
Il diabete rappresenta una sfida per le persone che ne sono affette e devono essere protagoniste della cura, per i medici e gli altri professionisti che devono diagnosticarlo, monitorarlo e trattarlo conoscendone le innumerevoli sfaccettature, per gli amministratori della salute e i politici che devono poter garantire l’accesso alle cure migliori e all’innovazione nel rispetto della sostenibilità e dei principi di equità e uguaglianza. Questo volume è il terzo, dopo quelli del 1996 e del 2012, che la Società Italiana di Diabetologia pubblica per fare il punto sullo stato del diabete in Italia. Il volume raccoglie contributi scritti da membri autorevoli delle maggiori istituzioni pubbliche, da medici, specialisti e non, e da altri professionisti esperti della malattia, da rappresentanti delle persone con diabete. L’obiettivo del volume è illustrare al lettore i principali aspetti epidemiologici e clinici della malattia, focalizzando non tanto eziologia, patogenesi e fisiopatologia ma piuttosto l’organizzazione dell’assistenza, cioè quello che l’Italia mette in campo per la lotta al diabete. La malattia è comune, cronica, complessa, sistemica nell’origine e nell’espressione clinica, eterogenea ed estremamente dispendiosa, sia in termini economici che di energie profuse da chi la cura e da chi viene curato. Il diabete richiede un approccio multidisciplinare e multiprofessionale, perfettamente inserito nel modello italiano di cura, basato su interazioni virtuose e sinergie vere fra team specialistici e medici di famiglia. Sono in tanti in Italia ad occuparsi di diabete e sono in tanti gli Italiani con la malattia. Questo volume vuole contribuire a far sì che i primi possano fornire il meglio possibile ai secondi.
Il diabete mellito sta dilagando nel mondo. Una crescita inarrestabile ovunque: nei paesi sviluppati, in quelli emergenti e in quelli ancora in via di sviluppo. Nelle zone del mondo più sviluppate (Europa, Nord America, Australia) cresce meno che in Africa, Asia e Sud America ma cresce comunque moltissimo. Gli individui affetti dalla malattia nel mondo sono ormai vicini ai 400 milioni e la stima è che raggiungano i 600 milioni entro il 2035 .
Per questo la lotta al diabete è una delle tre emergenze sanitarie identificate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO), insieme alla malaria e alla tubercolosi, unica delle tre ad essere malattia non trasmissibile, anche se questo concetto, come scritto più avanti, potrebbe non essere del tutto corretto. Cresce soprattutto il diabete tipo 2, che rappresenta circa il 90% dei casi in Italia , fortemente legato anche nel nostro Paese all’eccesso ponderale, a sua volta riferibile a iperalimentazione e a scarsa attività fisica ma anche alla struttura stessa della società. Una società che sembra essere infettata da un “virus” che lentamente condiziona lo sviluppo della malattia in tante persone.
Un “virus” che è alimentato da industrializzazione, meccanizzazione, urbanizzazione, stress psico-fisico, ricerca di una facile ricompensa nel cibo che, d’altro canto, è di semplice accesso, larga diffusione di alimenti ad elevato tenore calorico, grande pressione pubblicitaria nei confronti di prodotti alimentari, modificazioni dieto-indotte e di tipo obesiogeno e diabetogeno della flora batterica dell’intestino, probabile presenza di sostanze con azioni negative (endocrine disruptors) sui meccanismi di controllo della glicemia in quello che mangiamo, beviamo e respiriamo. Un “virus” che, accanto alla forte componente genetica, fa dubitare del fatto che il diabete debba continuare ad essere annoverato fra le malattie non trasmissibili.
La malattia ovviamente non è virale e tecnicamente non è trasmissibile ma esiste una predisposizione al diabete che viene ereditata e gli individui che lasciano alle generazioni successive questa eredità sono sempre più numerosi. Esiste poi la trasmissione da una generazione all’altra di uno stile di vita malsano (troppo cibo e poca attività fisica) e di un ambiente poco salutare. Condizioni che sono largamente indipendenti dal libero arbitrio dell’individuo e che vanno ricondotte ai contesti familiari e sociali in cui gli individui nascono, crescono e vivono. Ci sono zone del mondo in cui al momento della nascita l’individuo ha una probabilità di quasi il 100% di sviluppare diabete tipo 2 nel corso della vita. Questa probabilità sta diventando elevata, troppo elevata, anche per chi nasce in Italia, nonostante la malattia sia poligenica e multifattoriale e non monogenica.
L’imprinting diabetogeno è importante: se in casa c’è abbondanza di dolciumi, il bambino considererà che fanno parte dell’alimentazione quotidiana. Se in casa nessuno mangia verdura, l’adolescente crederà che sia normale non nutrirsene. Se nel frigorifero di casa accanto all’acqua minerale c’è la bottiglia della bibita zuccherata i minori riterranno quella un liquido alternativo con cui dissetarsi. Se in famiglia nessuno fa attività fisica ma si passa il tempo libero davanti alla TV o al computer, quel comportamento sarà considerato il riferimento a cui ispirarsi. Il diabete tipo 2 non è virale ma lo stile di vita diabetogeno lo è. E sta infettando il mondo. Il diabete ha un notevole impatto socio-sanitario ma esso stesso ha una forte spinta da parte della società moderna.
Non cresce solo il diabete tipo 2 ma cresce anche il diabete tipo 1, seppure meno in termini assoluti, causato da una aggressione autoimmune: il proprio viene considerato estraneo e da distruggere e in questo caso si tratta delle cellule che producono insulina. Una autoimmunità che non sembra essere estranea a fattori ambientali patogeni la cui natura è poco definita ma che sembrano in parte coincidenti con alimenti, farmaci, inquinamento. Anche in questo caso, quindi, la struttura della società moderna contribuisce allo sviluppo della malattia. Il diabete tipo 1 è la varietà di malattia che più colpisce l’opinione pubblica per la necessità delle persone affette di somministrarsi insulina più volte al giorno e per il fatto di comparire soprattutto in bambini, talora piccolissimi, adolescenti o giovani adulti.
Il diabete tipo 2 ancora oggi purtroppo viene sottovalutato, sia da chi ne è affetto che dai suoi familiari e, non raramente, anche dagli “addetti ai lavori”. Fra i primi sono ancora troppo diffuse espressioni gergali come “ho un po’ di diabete”, “porto la glicemia alta”, “ha un po’ di zucchero nel sangue” oppure “ho il diabete alimentare ma se mi impegno scompare” o “ha il diabete che viene agli anziani”. Fra i secondi è abbastanza frequente rilevare che il diabete è considerato una malattia cronica che, in quanto molto diffusa, può essere affrontata con un approccio minimalista. In effetti la percezione di malattia è spesso errata: il diabete è una malattia molto complessa, sistemica e da affrontare seriamente perché può condizionare in maniera importante la vita di chi ne è affetto. Il diabete non è curabile ma è controllabile e il buon controllo permette di avere una vita piena di gioie e soddisfazioni nella famiglia, nel lavoro, nello sport. Il cattivo controllo, però, può portare a disabilità e anche premorienza. In Italia i casi noti di diabete erano circa 1,5 milioni nel 1985 e si avvicinano ora ai 4 milioni, quindi sono più che raddoppiati in 30 anni.
Si tratta di un caso ogni 16 residenti. E accanto ai casi noti non vanno dimenticati i casi non diagnosticati perché spesso, e talora per anni e anni, la malattia non dà segni di sé. Si stima che siano un milione gli italiani con la malattia misconosciuta. In totale, quindi, circa 5 milioni di persone in Italia ha il diabete, pari ad 1 caso ogni 12 residenti. E il numero degli individui affetti salirà probabilmente a 7 milioni fra 15-20 anni. I dati epidemiologici italiani suggeriscono circa 250.000 nuove diagnosi di diabete tipo 2 e circa 25.000 nuove diagnosi di diabete tipo 1 ogni anno.
Il diabete ha una rilevanza sociale oltre che sanitaria e questo è stato sancito, in Italia prima ancora che negli altri Paesi del mondo, da una legge (n. 115 del 1987) che è diventata un punto di riferimento ineludibile. Una legge che ha anche valorizzato il ruolo dell’assistenza da parte dei centri diabetologici. Una legge che ha largamente ispirato numerosi documenti nazionali e regionali dei successivi 30 anni (11) e anche il Piano Nazionale della Malattia Diabetica deliberato nel 2013 dal Ministero della Salute . Un Piano che ha consolidato il modello italiano di cura della malattia e identificato diverse aree di intervento per rendere omogenei gli interventi di prevenzione, diagnosi, monitoraggio e cura delle persone con diabete che vivono in Italia.
Un modello che consta, oltre che dei medici di famiglia, di una rete capillare di centri specialistici diffusi su tutto il territorio nazionale, basati su competenze multiprofessionali (diabetologo, infermiere, dietista, talora psicologo e/o podologo, e secondo necessità cardiologo, nefrologo, neurologo, oculista, ecc.) e che forniscono con regolarità consulenze per circa il 50% delle persone con diabete, prevalentemente, ma non esclusivamente, quelle con malattia più complessa e/o complicata. Per effetto di questa rete l’Italia è il Paese occidentale con il più basso livello medio di HbA1c e i più bassi tassi di complicanze croniche e di eccesso di mortalità nelle persone con diabete. A tale proposito va sottolineato il ruolo dell’assistenza diabetologica nel ridurre la mortalità nelle persone con diabete: coloro che sono assistiti nei centri diabetologici hanno una minore mortalità totale e cardiovascolare rispetto a chi non li frequenta .
Anche per questo il Piano Nazionale della Malattia Diabetica prevede una presa in carico di tutte le persone con diabete da parte dei centri diabetologici, con l’applicazione di una incisiva gestione integrata con i medici di famiglia. Una presa in carico che è previsto avvenga già nella fase iniziale della malattia. È stato infatti recepito il concetto che il team diabetologico non dovrebbe intervenire per la prima volta quando si è sviluppato grave scompenso metabolico o quando si sono sviluppate complicanze della malattia perché la comparsa di queste condizioni cliniche testimonierebbe l’inefficacia di quello che è accaduto prima di quel momento e sancirebbe il fallimento del sistema di cura. Sarebbe paradossale se l’assistenza specialistica non svolgesse la sua parte quando potrebbe cambiare la storia naturale della beta-cellula e, quindi, della malattia ma venisse chiamata di fatto a decretare un insuccesso. E sarebbe parimenti paradossale che i circa 2500 diabetologi italiani e i loro team non fossero coinvolti nella cura quando questa mira a prevenire il danno d’organo e venissero chiamati in causa solo quando questo si è verificato, talora in maniera eclatante (infarto, ictus, insufficienza renale avanzata, retinopatia grave, piede diabetico, ecc.).
I team diabetologici italiani costano circa 1% del totale della spesa sostenuta per curare le persone con diabete e possono incidere in misura assai significativa sull’altro 99%, riducendolo. Prevenendo le complicanze croniche che rappresentano il 90% della spesa, fra ricoveri, specialistica e farmaci. Accorciando la durata delle degenze con una presa in carico al momento dell’accoglimento nei reparti di chirurgia, ortopedia, ginecologia, ecc. Ottimizzando l’uso dei farmaci anti-iperglicemizzanti e dei dispositivi per il monitoraggio e la cura. Evitando sprechi con la terapia insulinica (la voce di spesa maggiore fra i farmaci antidiabetici). Osservando una scrupolosa appropriatezza nelle prescrizioni di esami di laboratorio e strumentali.
Collaborando nelle scelte sulle strategie di cura operate a livello nazionale, regionale e locale. Il team diabetologico è importante ma la persona con il diabete deve essere protagonista della cura. Non esiste alcuna altra malattia cronica in cui il ruolo dell’individuo affetto è così importante e decisivo sull’esito. Un ruolo che è tanto maggiore quanto più precocemente compare la malattia, considerando che questa, al giorno d’oggi, grazie ai successi della cura, può durare molte decadi. L’età media alla diagnosi del diabete tipo 2 in Italia è attualmente 50-55 anni ma ormai non pochi soggetti con questa varietà di diabete ne ricevono la diagnosi prima di aver compiuto 30 anni, soprattutto nelle etnie non caucasiche, ed hanno quindi la prospettiva di vivere con la malattia per 50-60 anni. Senza dimenticare che i diabetici tipo 1, la cui diagnosi avviene quasi sempre prima dei 20 anni e non infrequentemente nei prima anni di vita, spesso raggiungono e superano gli 80 anni di età e totalizzano quindi una durata di malattia di 7-8 decadi e anche più.
Si tratta di persone che vivono con la malattia gli anni della scuola, dell’attività sportiva e del lavoro, con quello che questo comporta in termini di inserimento in contesti dove il diabete talora è erroneamente interpretato da terzi come un problema, una limitazione, un ostacolo, una disabilità. Ignorando il fatto che una persona con diabete può raggiungere tutti i traguardi nella vita: dalla possibilità di essere più volte madre al successo come attore, cantante, musicista o uomo di stato, dal vincere molteplici medaglie olimpiche al conquistare la vetta di altissime montagne. Ciononostante, è innegabile che il prezzo da pagare per questi e altri successi, solo apparentemente meno importanti, consista in una meticolosa applicazione personale nella cura.
La stima è che nel corso della vita una persona con diabete debba imporsi un’azione specifica in termini di alimentazione, attività fisica, assunzione di farmaci, controlli glicemici domiciliari, esecuzione di esami di laboratorio o strumentali, visite mediche da 100 a 500 mila volte, in rapporto alla durata della sua malattia. Questa persona, quindi, va educata alla gestione della malattia in tutte le sue numerose sfaccettature. E vanno educati anche coloro che stanno intorno alla persona con diabete: nella famiglia, nella scuola, nell’ambiente di lavoro o ricreativo. Quella persona potrebbe avere bisogno dell’assistenza degli altri e gli altri non possono ignorare di cosa ha bisogno una persona con diabete per poter esprimere sé stessa in tutti gli ambiti e non possono ignorare cosa devono fare in alcune circostanze per una persona con diabete (ad esempio in occasione di una ipoglicemia severa). Considerando i 4 milioni di cittadini affetti da diabete, è possibile affermare che praticamente la malattia è oggi presente in ogni famiglia italiana, se la consideriamo allargata ai parenti di secondo/terzo grado. Se non è un genitore o un figlio, si tratta di un fratello, un nonno, uno zio, un nipote.
Una famiglia in cui avere un proprio membro, e talora più membri, con il diabete significa modificare, a volte o sempre, le abitudini alimentari per non creare troppe difformità a tavola fra chi ha e chi non ha il diabete o, più saggiamente, per seguire tutti uno stile di vita più sano che riduca il rischio che altri della famiglia sviluppino la malattia. Una famiglia in cui la presenza del diabete in un proprio membro comporta, se questo è un piccolo bambino oppure un anziano o una persona non autosufficiente, la necessità di aiutarlo, se non proprio accudirlo, nelle sue necessità quotidiane o periodiche: assumere farmaci, misurare la glicemia, fare sport o anche solo una passeggiata, andare dal pediatra o dal medico di famiglia, recarsi in ospedale dal diabetologo, ecc.
Una famiglia in cui assistere una persona con diabete può determinare assenza dal lavoro o rinuncia ad attività ricreative o alle vacanze. Tutti segni inequivocabili del peso sociale della malattia. Il diabete, è inutile celarlo, può diventare una malattia grave, con un impatto notevolissimo sulla qualità della vita quando causa disabilità. Il diabete è la prima causa di cecità, la seconda causa di insufficienza renale terminale con necessità di dialisi o trapianto, la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori, una concausa di metà degli infarti e degli ictus. I dati epidemiologici documentano che in Italia ogni 7 minuti una persona con diabete ha un attacco cardiaco, ogni 26 minuti una persona con diabete sviluppa un’insufficienza renale, ogni 30 minuti una persona con diabete ha un ictus, ogni 90 minuti una persona subisce un’amputazione a causa del diabete e ogni 3 ore una persona con diabete entra in dialisi. Complicanze tanto gravi da far sì che il diabete sia responsabile di una premorienza stimata mediamente in 7-8 anni.
Il diabete non è una malattia fastidiosa, un numero asteriscato su un referto di laboratorio, con cui convivere. Il diabete, sarebbe sbagliato nasconderlo, è una malattia che può uccidere e non poche volte lo fa senza dare grossi segni della sua presenza, come un killer silenzioso. In Italia ogni 20 minuti una persona muore a causa del diabete anche se il diabete spesso non è menzionato nella sua scheda di morte. Il diabete costa moltissimo alla comunità. In Italia la quota di spesa che il Fondo Sanitario Nazionale si accolla per curare le persone con diabete, una malattia che condiziona un più facile sviluppo di qualsiasi altra malattia, è di circa 15 miliardi di euro all’anno, pari ad oltre il 10% del totale.
Questa somma è calcolata utilizzando i costi reali dei ricoveri e della varie prestazioni specialistiche e non le tariffe virtuali. Utilizzando questi ultimi, comunque, la spesa, seppure inferiore a quella di altri Paesi occidentali, è comunque ingente e ammonta a circa 10 miliardi di euro per anno. A questa grande quantità di denaro pubblico vanno aggiunti circa 3 miliardi di euro di spese dirette sostenute dalle persone e dalle loro famiglie e non meno di 10-12 miliardi di euro di costi indiretti, molti dei quali a carico delle casse dello stato per prepensionamenti e assenze dal lavoro. Il totale ammonta a 25-30 miliardi di euro, l’equivalente di una finanziaria o, come si usa dire oggi, di un patto di stabilità. Una somma in continuo aumento e che fra poco non sarà più sostenibile se non si riuscirà a circoscrivere la diffusione del “virus”. Per questo “virus” esiste un solo vaccino: la conoscenza della malattia, dei suoi fattori di rischio, del modo di prevenirla cambiando lo stile di vita degli individui ma anche cambiando la struttura della società per evitare il “contagio”.
Il diabete è una patologia caratterizzata da un innalzamento del glucosio ematico a digiuno, dovuto a una carenza relativa o assoluta di insulina. E’ la causa principale di cecità e di amputazione dell’adulto, ed è una delle principali nei casi di insufficienza renale, attacchi cardiaci e ictus. Il diabete mellito viene classificato in due gruppi: -tipo 1 (diabete mellito dipendente dall’insulina) -tipo 2 (diabete mellito non dipendente dall’insulina). Negli USA sono diagnosticati ca. 30000 nuovi casi di d.m. di tipo 1 e ca. 625000 di tipo 2 dovuti all’invecchiamento, all’obesità e a stili di vita sedentari. Il d.m. di tipo 2 è in forte aumento anche nei bambini. In Italia il diabete colpisce il 4% della popolazione (ca. 3 milioni di individui) di cui il 10% è affetto dal tipo 1 e il 90% dal tipo 2. Nel mondo ci sarebbero oltre 190 milioni di diabetici.
Il diabete di tipo 1 Negli USA, le persone affette dal diabete di tipo 1 sono circa il 10% della popolazione diabetica totale. La malattia è caratterizzata da una totale mancanza dell’insulina, dovuta a un’aggressione autoimmune alle cellule β del pancreas. L’infiltrazione di linfociti T attivati negli isolotti di Langerhans conduce a una condizione denominata insulite, che negli anni porta ad un graduale impoverimento delle cellule β. I sintomi compaiono all’improvviso quando dall’80% al 90% delle cellule β sono state distrutte. Il pancreas non risponde in modo adeguato all’assunzione di glucosio quindi si deve iniettare insulina per ripristinare il controllo metabolico e impedire una chetoacidosi potenzialmente letale. La distruzione delle cellule pancreatiche richiede sia uno stimolo proveniente dall’ambiente (come un’infezione virale), sia un determinante genetico, attraverso cui le cellule β sono riconosciute come estranee. Due gemelli monozigoti (identici) uno sviluppa il diabete di tipo 1, l’altro ne ha la probabilità solo al 30-50%. Nel diabete di tipo 2 se uno dei due si ammala anche l’altro sviluppa il diabete.
La diagnosi del diabete di tipo 1 L’esordio del diabete di tipo 1 avviene tipicamente nell’infanzia o alla pubertà e i sintomi evolvono. I pazienti mostrano la comparsa improvvisa di poliuria (urinazione frequente), polidipsia (sete eccessiva) e polifagia (fame eccessiva), spesso innescate da un evento stressante o da una malattia. Tali sintomi si accompagnano generalmente ad affaticamento, perdita di peso e debolezza. La diagnosi è confermata da un livello ematico del glucosio a digiuno superiore a 126mg/dL, solitamente accompagnato da una chetoacidosi. Test di tolleranza al glucosio: dopo un digiuno di 8 ore si somministrano al paziente 75g di glucosio per via orale. Paziente diabetico a digiuno glucosio ematico 126mg/dL, aumenta oltre 200mg/dL (glicosuria). Soggetti normali a digiuno glucosio ematico al di sotto di 114mg/dL aumenta fino a 140mg/dL. Falsi positivi: sono dovuti allo stato di stress indotto dal test che stimola la liberazione di adrenalina,che a sua volta fa diminuire la secrezione di insulina dalle cellule β, che ostacola la risposta al carico di glucosio. Il test di tolleranza al glucosio si utilizza solo nei casi in cui la diagnosi è incerta o per fare la diagnosi nelle gestanti.Test glucosio ematico a digiuno.
Cambiamenti metabolici nel diabete di tipo 1 Le anomalie metaboliche del diabete mellito derivano da una carenza di insulina e da un relativo eccesso di glucagone. Questa alterazione dei livelli ormonali influenza profondamente il metabolismo soprattutto in tre tessuti: il fegato, il muscolo e il tessuto adiposo. Iperglicemia e chetoacidosi (25-40%)(infezione o non adeguata risposta alla terapia). Terapia chetoacidosi : somministrazione di fluidi ed elettroliti seguita da insulina a dosi basse per evitare la ipoglicemia. Ipertriacilglicerolemia: nel tessuto adiposo dei diabetici la degradazione delle lipoproteine catalizzata dalla lipoproteina lipasi è ridotta perché diminuisce la sintesi dell’enzima in quanto il livello dell’insulina è basso, per cui il livello plasmatico dei chilomicroni e delle VLDL è elevato.
Confronto tra il diabete di tipo 1 e il digiuno Molti dei cambiamenti metabolici che si verificano nel diabete somigliano a quelli descritti per il digiuno, anche se nel diabete sono molto amplificati. Tuttavia, l’individuazione delle differenze tra il diabete e il digiuno è fondamentale per la comprensione della malattia. Esse includono: a) il livello dell’insulina; b) il livello ematico del glucosio; c) la chetosi; d) l’ipertriacilglicerolemia.
Il trattamento del diabete di tipo 1 Dato che nei pazienti affetti dai diabete di tipo 1, praticamente non ci sono cellule β funzionanti, per tenere sotto controllo l’iperglicemia e la chetoacidosi, si deve somministrare per iniezione sottocutanea insulina esogena. Ci sono due regimi terapeutici di impiego: (1) trattamento standard con insulina, (2) trattamento intensivo con insulina. Trattamento standard rispetto al trattamento intensivo: -due iniezioni al giorno di insulina glicemia 225÷275mg/dL, HbA1c 8-9% Hb totale; – tre o più iniezioni al giorno glicemia 150mg/dL HbA1c circa 7% Hb totale; valore medio normale di glicemia 114mg/dL, HbA1c fino al 6%. I pazienti in terapia intensiva mostrano una riduzione del 60% delle complicanze a lungo termine del diabete (retinopatia, nefropatia e neuropatia).
Ipoglicemia nel diabete di tipo 1 Per minimizzare l’insorgenza di complicanze a lungo termine della malattia bisogna far diminuire la glicemia, ma ciò non è facile perché nel 90% dei pazienti si può verificare ipoglicemia con coma e crisi convulsive. Nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 si sviluppa una carente secrezione di glucagone sia precocemente che a distanza di 4 anni dalla diagnosi. Quindi per impedire una grave ipoglicemia si deve avere un aumento della secrezione di adrenalina ma, con il progredire della malattia si manifesta una neuropatia diabetica del sistema autonomo con una diminuita capacità di secernere adrenalina in risposta all’ipoglicemia. La carenza combinata di glucagone e adrenalina genera una condizione chiamata ipoglicemia asintomatica. L’ipoglicemia può essere anche provocata dall’esercizio fisico intenso (controllo glicemia prima e dopo attività fisica intensa).
La glicemia è la misura della quantità di glucosio presente nel sangue. Per un diabetico è un parametro importante da tenere sotto controllo ed è importante che le complicanze dovute alle variazioni di questo valore siano ben comprese da chi è vicino ad un bambino diabetico. Un valore di glicemia normale è compreso tra i 70 e i 110 milligrammi per decilitro (mg/dl). In tutte le attività che ci coinvolgono durante la giornata e anche in quei casi in cui è maggiore la necessità di glucosio (sport, attività fisica intensa, ecc.) o se saltiamo un pasto, non reintegrando il glucosio consumato dall’organismo, il nostro corpo riesce a mantenere costante il livello di zucchero presente nel sangue, grazie alle riserve contenute nel fegato. Nelle persone diabetiche l’insulina viene iniettata dall’esterno in quantità predeterminata e non sempre corrisponde alle necessità del momento. Per questo il controllo glicemico di un bambino diabetico non può essere così fine come quello di un bambino non diabetico e soprattutto il valore di glicemia può subire degli sbalzi; se la glicemia si abbassa troppo si parla di ipoglicemia, se la glicemia è troppo alta si parla di iperglicemia .
Ipoglicemia . L’ipoglicemia si verifica quando i valori di zucchero nel sangue sono troppo bassi, inferiore a 70mg/dl, ed è uno dei problemi più frequenti che un bambino diabetico si trova ad affrontare nella sua vita sociale. Se un bambino non ha mangiato o ha consumato un pasto troppo leggero, ha saltato la merenda, ha fatto troppa attività fisica o vi è una presenza eccessiva di insulina, la glicemia si abbassa troppo. L’ipoglicemia si verifica quando i valori di zucchero nel sangue sono troppo bassi, inferiori a 70mg/dl L’ipoglicemia di solito è preceduta da alcuni sintomi premonitori (descritti più avanti) e va corretta immediatamente, dando al bambino del cibo e delle bevande contenenti zucchero per innalzare il livello di glucosio nel sangue. L’ipoglicemia non va sottovalutata: se infatti la glicemia si abbassa troppo la sintomatologia potrebbe peggiorare portando a convulsioni, perdita di conoscenza, fino al coma.
Iperglicemia. L’iperglicemia si verifica quando i valori di zucchero nel sangue sono troppo alti, maggiori di 120 mg/dl a digiuno o 180 mg/dl se dopo un pasto. Se il bambino ha consumato un pasto troppo sostanzioso o se ha assunto una quantità insufficiente di insulina la quantità di zucchero nel sangue è alta. Una condizione di iperglicemia saltuaria non è pericolosa per il bambino. In condizione di grave iperglicemia prolungata (superiore a 300 mg/dl) il bambino può apparire debole o assonnato, ha sete e deve urinare molto frequentemente, spesso lamenta una fame eccessiva ed è irritabile. Questa è una situazione di L’iperglicemia pericolo che va corretta.
Se il bambino presenta questi sintomi è opportuno fare immediatamente una misurazione della glicemia e, se bassa, correggerla assumendo degli alimenti e delle bevande contenenti zucchero. I genitori imparano a riconoscere quali sono i sintomi più frequenti nel proprio fi glio facendo attenzione che il bambino quando è in ipoglicemia non va mai lasciato solo. In alcuni casi uno stato ipoglicemico può presentarsi anche in completa assenza di sintomi. I momenti della giornata in cui è più probabile per un bambino diabetico avere un’ipoglicemia sono solitamente prima del pranzo oppure durante o dopo un’intensa attività motoria, corsa prolungata o gioco movimentato. Di seguito sono riportati alcuni esempi di correzione: per ogni bambino si dovrà fare riferimento alla scheda individuale tenendo conto dell’età e del peso.
Quando la glicemia è molto bassa il bambino potrebbe essere in uno stato soporoso e parzialmente cosciente; potrebbe non essere in grado di parlare, di reagire agli stimoli esterni e avere uno sguardo fisso e vuoto. Quando il bambino è in questo stato e non è in grado di alimentarsi da solo può essere pericoloso inserire degli alimenti in bocca perché potrebbero finire nelle vie aeree. > Può essere utile la somministrazione di glucagone (1 fiala) intramuscolo > Il glucagone aiuta ad aumentare la glicemia. > Va contattato il presidio medico di pronto intervento (118) e successivamente va contattato il genitore. Successivamente, quando il bambino è cosciente, l’ipoglicemia può essere corretta con l’alimentazione per bocca.
Una crisi ipoglicemica grave con perdita di conoscenza e convulsioni è un evento raro in un diabetico con un buon controllo glicemico, ma chi è accanto ad un bimbo.