sabato 2 maggio 2020

Intervista a Massimo Cacciari sulla situazione post-pandemia...



Francesco Bei per la Stampa, 1 mag 2020

Il Coronavirus come «formidabile acceleratore» di una gigantesca trasformazione del capitalismo, una rivoluzione che «investirà in maniera irreversibile il lavoro» e determinerà non solo il destino personale di milioni di persone, ma la stessa possibilità di sopravvivenza della democrazia. Di fronte alla pandemia, il filosofo Massimo Cacciari osserva questo Primo Maggio senza lavoro come l' alba di una nuova era. Gravida di incognite e pericoli per il mondo come l' abbiamo conosciuto finora.


Non possiamo che iniziare dall' Organizzazione mondiale del lavoro: dicono che un miliardo e mezzo di persone - la metà degli occupati del pianeta - potrebbe perdere i propri mezzi di sussistenza a causa del Covid. È davvero questa la dimensione della crisi che stiamo vivendo?

«È come nella Grande Crisi del 1929, solo che stavolta stiamo assistendo un cambiamento profondo dei rapporti di forza all' interno del capitalismo e tra Capitale e Lavoro. Ci sono settori distrutti e altri, come il sistema dei Big Data e l' e-commerce, che stanno realizzando guadagni strepitosi. Il gioco prevede vincitori e vinti».

Gli sconfitti chi sono?

«Non c' è dubbio che la crisi del Coronavirus abbia portato alle estreme conseguenze tendenze già in atto da tempo. Si è rivelata come un formidabile acceleratore della trasformazione del lavoro e della sostituzione della attività umane più "meccaniche" con la tecnologia. La velocità del cambiamento è tale che rende quasi impossibile governarlo e dirigerlo. Quale politica è in grado di farvi fronte?».

Appunto, la democrazia non rischia di restarne schiacciata insieme al lavoro?

«C' è da temerlo. Se in pochi mesi in Italia raddoppia il numero già alto dei disoccupati, si pongono problemi sociali ed economici gravissimi. Si impone l' esigenza di immaginare interventi assistenziali poderosi. Il Reddito di cittadinanza, nonostante tutte le critiche, si è dimostrato un' idea necessaria, perché la tendenza è quella».

È possibile che almeno una parte di questi milioni di lavoratori si possa reimpiegare nei settori della cura alla persona, nella scuola, nella sanità?

«È quello che va fatto. Ma se vuoi permettere alle persone di reinventarsi nel campo dei servizi ti devi porre il problema delle risorse, di come fare ad accompagnare in questo percorso chi deve cambiare strada».

Il pasto non è mai gratis. Lo Stato si può indebitare senza limiti?

«Ovviamente la risposta è no, quindi il passo successivo è chiedere qualcosa in più a quei settori industriali che sono sulla frontiera di queste innovazioni e ne stanno traendo legittimi e grandi profitti».
Il problema è come tassarli, sono quasi tutti all' estero «Infatti deve essere l' Unione europea a lottare senza indugio contro i paradisi fiscali, a partire da quegli Stati canaglia dentro i suoi confini. Se non c' è un sistema fiscale equo, all' altezza della sfida che viviamo, non ne usciamo».

Lo Stato come ne esce dalla crisi?

«Parliamoci chiaro, se si può sperare che l' emergenza sanitaria finisca presto, le trasformazioni innescate saranno perenni. Tra queste, lo Stato sarà spinto ad assumere una fisionomia decisionista-autoritaria».

Il lavoro e i sindacati che fine faranno?

«Stiamo assistendo in corpore vivi a un esperimento di scomposizione totale dell' organizzazione del lavoro. È la nascita del lavoro virtuale, con il lavoratore che resta a casa sua: ma così lavora il doppio e costa all' azienda la metà. È chiaro che, con i lavoratori soli a casa, anche il sindacato - che già viveva una sua crisi di rappresentanza - sparisce definitivamente».

Parliamo di Conte? Il governo come ha gestito questo cigno nero?

«La risposta del governo è stata occasionale, la vicenda dei "congiunti" dimostra lo stato confusionale che regna. La crisi ha fatto venire alla luce i vizi storici del sistema italiano, a partire dalla fragilità delle Regioni. È evidente che il sistema regionalistico così non funziona e va rivisto. Mi chiedo, ad esempio, se avessimo avuto un Senato delle Regioni ci sarebbe stato questo caos? E con le macro-Regioni?»

Glielo richiedo. La democrazia sopravviverà a queste spinte?

«Dipende. La politica deve mettersi gli stivaloni magici del gatto e dobbiamo tutti sperare che si metta a correre davvero. Perché, se non ce la fa, sarebbe l' infarto delle democrazie liberali e già si vedono i modelli che riscuotono più consenso: la Cina e la Russia sono davanti a noi. La sfanghiamo se tutti i leader europei diventano consapevoli del rischio».

Altrimenti?

«Altrimenti finiamo lì».



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