Via alle celebrazioni per il 750mo anniversario della nascita del Poeta.Reporter, astronomo, teologo, ultrà "pazzo" come un rapper medioevale
di Stefano Mannucci, 5 mag 2015
Un inviato speciale a caccia di scoop in mondi ultraterreni, ma anche un astronomo che neppure Hawking.
Un neoaristotelico un po’ trombone ma anche un canzonettaro della prima ora.
Un diplomatico alla Ban Ki-Moon ma anche una testa calda, un ultrà da campo di battaglia.
Un sentimentale, di quelli che si innamorano a prima vista, si sposano un’altra, e poi ci scrivono su per una vita, anche senza lucchetti sul ponte.
Un politico cattolico raffinato, da corrente Dc della Prima Repubblica - gigliata, però (malgrado Benigni ipotizzi che «Dante volesse fondare il Pd dell’epoca, e aveva un caratt eraccio come certi leader fiorentini»).
Era questo e molto altro, l’Alighieri.
Soprattutto, un meraviglioso pazzo.
Uno che trascorre buona parte dell’esistenza a sistemare il canovaccio di una storia iniziatica "on the road": fragori di sesso & dark-rock nelle prime scene, un finale con le visioni e una mezza esclusiva con Dio, roba allucinogena da far invidia ai Pink Floyd.
Detta così, pare un pastiche, e in una lingua praticamente inventata, plasmata per l’occasione, quel "volgare" che attraeva il Sommo Poeta come la "panthera redolens" dei bestiari dell’epoca.
Divorato, il Nostro rapper medioevale, da una scellerata voglia di "italiano" che - lui abituato a esprimersi nel latino accademico - lo spingeva a immaginare una scrittura fintamente "bassa", alla portata di un popolo che tuttavia - all’alba del Trecento - era in massima parte analfabeta, figurarsi decifrare quelle terzine dai significati simbolici, allusivi, esoterici, scientifici, sociopolitici, teologici. Una selva linguistica e semantica dannatamente oscura per quasi tutti i lettori, tranne quei 25 dotti amici dell’Autore.
Roba che oggi, sette secoli dopo, a presentarla a un editore qualunque Dante si sentirebbe rispondere: «La storia è appassionante, anche se molto carica. Me la riscriva, Alighieri, proceda per sottrazione. Semplifichi, sfrondi e chiarisca. Metta al centro del plot Paolo e Francesca, regali loro altre scene di passione clandestina, è quella la trovata che ci garantirà il best-seller. Mi dia retta. Vedrà che poi ven deremo pure i diritti per una serie tv».
Mica facile: anche i più grandi registi del cinema, ingrifati dal miraggio di rendere visivamente la "Commedia", si sono dovuti arrendere all’impossibilità di un "adattamento" per il grande schermo. Decenni fa si era parlato di un progettone con tre Maestri, uno per ogni Cantica: Fellini, Kurosawa e Bergman. A sorpresa, il Sor Federico, anziché scegliere il plastico "Inferno" che sembrava tagliato su misura per la sua cifra, si incapricciò del "Paradiso". Era affascinato, spiegava, dalla Luce Divina: ma alla fine non se ne fece più nulla. Perché Dante si può al massimo citare, od omaggiare con la penna (vedi le folgorazioni di Pound ed Eliot), o meglio ancora declamare. Come insiste a fare Benigni: ieri, nel giorno di apertura del 750mo anniversario della presunta nascita di Dante (collocabile, stando agli indizi disseminati nella Commedia, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265, sotto il segno dei Gemelli), il premio Oscar ha fatto risuonare in Senato i versi dell’Ultimo del Paradiso, alla presenza di Mattarella, Grasso e Franceschini. Benigni ha definito quel Canto - abbacinante nella sua suprema bellezza - come «un diamante», «di una perfezione da mozzare il fiato». Vero, verissimo. Ma immalinconisce pensare che un solo divulgatore, sia pure un geniale battutista pop (e colto, va da sè) abbia giovato alla causa dantesca molto più delle schiere di professori che per secoli hanno tediato i liceali inducendoli ad allontanarsi da questo kolossal, il capolavoro che secondo Borges è «il più alto della letteratura universale di tutti i tempi» e il cui Autore, secondo Bergoglio, resta un «profeta di liberazione, speranza e cambiamento».
Certo: purché si abbia il coraggio e l’idea giusta per far tuffare i ragazzi dell ’era dei selfie, degli sms con gli emoticon e dei 140 caratteri di twitter e delle 50 sfumature di grigio, dentro questo "viaggio" mirabilmente lento, misterico, epifanico anche se criptico. Servono altri divulgatori, con facce e linguaggio da kulturmarket e platee messe lì con altri pretesti - come gli adolescenti del pubblico di "Amici", che si sono visti donare da Saviano (nella puntata che andrà in onda sabato) una copia a testa de "Le notti bianche" dostoevskijane, perché, spiegava lui, «si deve leggere per vivere».
Giusto. E iniziando da un punto qualunque, anche dalla biografia di Dante, che sarebbe già una fiction con i fiocchi, un romanzone di vita vissuta che parte magari dal colpo di fulmine per Beatrice e finisce con quel cenotafio ravennate che nell’Ottocento si scoprì vuoto, tranne tre falangi. Su quella tomba la città romagnola e Firenze ancora si accapigliano. Ora Palazzo Vecchio, orfano di Renzi, promette di far votare «la richiesta per la revoca dell’esilio» di Alighieri. Ci sono voluti settecento e passa anni: chissà se potrà tornare finalmente a casa quel povero mattocchio di un guelfo.
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