di Stefano Mizio, lug 2013
Da decenni si discute dell’inerzia che caratterizza le aziende di successo
destinate, spesso, a soccombere nel lungo periodo a causa di fenomeni
esterni legati all’introduzione e commercializzazione di nuove tecnologie, a
cambiamenti sociali o crisi economiche.
La speranza di vita del genere umano negli ultimi 75 anni è cresciuta in modo
significativo passando da 61 anni (per uomini e donne) nel 1937, a 77,5 anni
nel 2012. Nello stesso periodo la vita di un ‘azienda si è ridotta da 75 anni a
15 anni (elenco S&P 500).
In questo mondo le grandi aziende sono percepite – per parafrasare un noto
libro – “too big to innovate”, perché progettate esclusivamente per fare
efficienza, cust cutting ed innovazione incrementale dei propri servizi e
prodotti, assillate dalla paura di cannibalizzare le fonti di ricavo e di profitto
attuali.
Contemporaneamente sull’onda dei successi planetari di Google, Facebook
e della mitologia che avvolge il mondo delle startups americane, l’innovazione
sembra essere esclusivo appannaggio di startup agili, veloci, aggressive che
senza la zavorra di processi ed infrastrutture organizzative pesanti sono in
grado di innovare in modo “disruptive.
L’elemento di assoluta novità è la democratizzazione della tecnologia che ha
permesso, a poco più che ventenni, di costruire nei garage delle loro
abitazioni prodotti e servizi dirompenti e che ora minaccia la sopravvivenza
delle stesse startup.
Nel 1998 Google era il 18simo contendente nel mercato dei motori di ricerca
ed ha avuto tutto il tempo per consolidare la propria posizione di mercato.
Oggi Groupon deve confrontarsi con centinaia di competitors che hanno
velocemente replicato la piattaforma tecnologica su cui Groupon stessa ha
costruito il suo iniziale successo.
In questo contesto dove i cicli di sviluppo e di vita dei nuovi prodotti e servizi
si riducono in maniera vertiginosa, innovare i propri modelli di business può
costituire una strategia efficace soprattutto se perseguita da aziende con
asset importanti che possono trovare modi nuovi – incrementali e/o
disruptive - di generare valore per i propri clienti facendo leva su risorse
“difficili da replicare” da giovani startup.
Oggi si parla di “Corporate Garage” per caratterizzare quella che viene
definita una nuova “era” nella quale le grandi aziende possono riconquistare
un ruolo centrale nei modelli e nei processi di innovazione.
Il Garage, infatti, rimanda al luogo fisico dove il mito delle startup statunitensi
le colloca: un luogo frugale pieno di attrezzi che, nel caso delle medie e
grandi aziende, possono essere la brand reputation, i canali commerciali, le
risorse fisiche e finanziarie, la capacità di stringere partnerships,l’ eccellenza
nei processi.
Alle organizzazioni è chiesto di ricombinare queste risorse e di
cercarne di nuove anche all’esterno delle stesse imprese, creando allo stesso
tempo un contesto che non penalizzi la sperimentazione e la ricerca di nuove
occasioni per creare valore.
Un modello di business è la storia di come un’organizzazione crea,
distribuisce e cattura valore; è il modo in cui i ”pezzi” del business si
incastrano tra di loro.
Apple, Starbucks, Amazon, Nespresso (Nestlè) sono solo i casi più famosi di
come aziende consolidate siano andate oltre la semplice innovazione di
prodotto seguendo un approccio olistico all’innovazione e spesso sfruttando
innovazioni tecnologiche già esistenti (il caso dell’iPod di Apple: nel 2001 i
lettori musicali erano già presenti sul mercato ma Apple è stata la prima
computer company ad includere la distribuzione della musica tra le sue
attività).
Il caso Amazon è emblematico di come un’azienda sia riuscita a sfruttare
alcuni suoi asset – canali di distribuzione - per entrare in un mercato – quello
degli e-reader (Kindle) – senza avere competenze dirette di dispositivi
elettronici. Nel 2007 nessuno avrebbe mai immaginato che Amazon o
Barnes&Noble con il suo Nook, sarebbero diventate leader nel mercato degli
e-reader.
Sfruttare asset esistenti per innovare, anche in modo incrementale, il proprio
modello di business è ciò che ha fatto McDonald’s con l’iniziativa McCafè.
I suoi clienti tradizionali vogliono un pasto veloce, precotto e secondo menù
rigidi. L’obiettivo dell’azienda è servire il maggior numero di clienti nel minor
tempo possibile. L’innovazione con McCafè è consistita nel pensare a clienti
che invece hanno voglia di sedersi e gustare un caffè (da ordinare) assieme
ad una torta, un dolce (preparato) in un’area separata – ma all’interno di
spazi già esistenti. Quindi una nuova offerta di valore per i propri clienti ma
anche per chi non era mai entrato in un McDonald’s, sfruttando risorse (la
location) e competenze (preparazione di cibo) esistenti ,semplicemente
guardando ai “non clienti” di McDonald’s (consumatori desiderosi di gustare
con calma una tazza di caffè alla “ Starbucks”).
Si fa innovazione anche in mercati maturi o dove i propri prodotti sono delle
commodity. Esempi? Starbucks. Cosa c’è di più commodity di una tazza di
caffè? Eppure Starbucks ha innovato offrendo molto di più di un prodotto:
un’esperienza per la quale si è disposti a pagare 4 euro.
Eccellente servizio
clienti, ambiente accattivante, sedie comode e wifi gratuito.
Starbucks si è concentrata su tutto ciò che circonda il prodotto, piuttosto che
sul prodotto stesso (la tazza di caffè).
L’innovazione che può spazzare via il bisogno dei nostri prodotti può arrivare
anche da settori lontani dal nostro, rendendo costosa e vana la competizione.
Ma se il prodotto fosse “inserito” in un modello di business innovativo? Il già
citato caso dell’iPod di Apple mostra quanto sia efficace “posizionare” il
nostro prodotto all’interno di un modello di business. Qualcuno potrebbe
arrivare sul mercato con un lettore MP3 migliore di quello di Apple, ma pochi
dei milioni di clienti possessori di un iPods ed un account su iTunes
sarebbero disposti a cambiare brand.
Un modello di business fresco può creare e sfruttare opportunità di nuovi
flussi di ricavi e profitti in modo da controbilanciare un modello che sta
velocemente invecchiando legando l’organizzazione ad un ciclo di ricavi e
profitti decrescenti.
Un esempio: il mondo dell’editoria
L’ingresso di Amazon nel settore degli e-reader e la diffusione dei tablet
stanno modificando il mondo in cui operano i tradizionali player di settore,
quello in cui il processo di pubblicazione e distribuzione di libri e riviste è
rimasto sostanzialmente immutato per decenni. La sfida che si profila per i
player esistenti è quella di trovare soluzioni per la crescente domanda di
creazione e distribuzione di contenuti digitali su dispositivi portatili
preservando, nello stesso tempo, e incrementando il valore legato ai flussi di
ricavi e profitti tradizionali.
Indirizzare la domanda di maggiori contenuti digitali comporta la necessità di
aggiungere nuove attività a quelle che caratterizzano l’attuale modello di
business (ad esempio la gestione e l’ottimizzazione del catalogo online con le
associate attività di marketing). La relazione con partner quali Apple o
Amazon per la distribuzione digitale: ad esempio la scelta se distribuire con
un proprio dispositivo o con una delle soluzioni offerte da Amazon (Kindle) o
Apple (iPad) e quindi facendo leva sulla loro forte posizione di mercato. Ed
ancora più importante, con quale modelli di ricavi: una sottoscrizione singola
con la quale scaricare tutti i libri digitali che si desidera?
Contemporaneamente i player del settore posseggono una estesa rete di
distribuzione con librerie e bookstore che costituiscono un asset straordinario
ed un’opportunità per innovare la shopping experience.
Gli store come luogo dove fare un’esperienza reale capace di lasciare il
segno attraverso l’uso della tecnologia già oggi disponibile (ad esempio
quella del digital signage).
Lo store come il luogo dove i marchi potranno
rinforzare una relazione con i propri clienti, vissuta attraverso più canali di
acquisto (online, in mobilità e nel punto vendita).
Guardare al proprio modello di business immaginando in che modo legare i
diversi canali di fruizione dei servizi è un esercizio che può innescare
opportunità nuove facendo leva su asset esistenti (le location, gli store, il
brand) integrandoli con elementi di novità (si consideri come l’adozione dei
Google Glass – gli occhiali di Google che permettono un’esperienza di
navigazione senza mani – potrà modificare la fruizione di un trailer di
presentazione di un libro mentre si osservano i volumi sullo scaffale magari
somministrando della pubblicità al cliente che si trova dentro il bookstore e
supportandolo nella ricerca dei libri – ricordando come una delle forze che
hanno decretato il successo del bookstore online di Amazon è proprio il suo
motore di ricerca e recommendation).
Fornire una esperienza accattivante ed utile potrebbe riportare negli store chi
oggi preferisce un click su Amazon perché non percepisce valore nel
muoversi tra scaffali pieni di libri e riviste difficili da trovare e senza avere, in
tempo reale, raccomandazioni e suggerimenti.
Quali implicazioni per i modelli di business attuali? Quali relazioni con nuovi
partner tecnologici (per lo sviluppo del software, la registrazione dei trailer di
promozione di autori e libri)?
Sarà sempre più importante immaginare ed implementare la tecnologia e la
capacità di gestione di partnership, per spingere la vendita di libri cartacei e
per portare più clienti, consumatori nei luoghi fisici - gli store - attratti da
un’esperienza di fruizione diversa da quella tradizionale del semplice acquisto
di un libro.
Esiste il rischio che mentre si pedala la bicicletta del modello di business
attuale, in un contesto in cui il mondo dei media e dell’intrattenimento è al
centro di una tempesta perfetta, la crescente richiesta ed offerta di
personalizzazione dei contenuti, possa spazzare via, ad esempio, i
magazine tradizionali.
Si guardi a piattaforme come Flipboard o Pulse che aggregano e mostrano –
gratuitamente – contenuti del Web su tablet e smartphone ad utenti che si
aspettano esperienze ritagliate sui propri interessi.
Investire sull’innovazione dei propri modelli di business è un processo che
può svilupparsi partendo dalla fotografia di come oggi l’impresa genera valore
verso i propri clienti.
E’ possibile farlo sfruttando metodologie in grado di generare conversazioni
strategiche per catturare l’insieme delle elementi che costituiscono un
modello di business e le loro relazioni; con un processo di analisi dei suoi
blocchi costituitivi, seguito da un’attività di studio e generazione di ipotesi di
variazione, introduzione, eliminazione di elementi nella propria offerta (McCafè di McDonald’s con nuovi prodotti) o di sfruttamento di attività ed
asset esistenti (le competenze di Amazon nella gestione della propria
piattaforma tecnologica alla base del suo ingresso nel mondo della fornitura
di servizi di Cloud computing).
Il Business Model Canvas con i suoi nove blocchi è un potente strumento di
sintesi visiva in grado di cogliere, in modo olistico, il modello di business di
un’organizzazione
L’esempio che segue riguarda la fotografia del modello di business di una
media company.
Dove in evidenza – blocchi in blu – si vedono gli elementi di novità generati
dalle nuove tecnologie che impongono, ad esempio, di contemplare nella
propria “value proposition” l’offerta di contenuti personalizzati (on demand) e
tra le attività che l’organizzazione deve presidiare (Key activities), quella di governance dell’ecosistema di sviluppo dei contenuti o, ancora, l’introduzione
di nuovi canali di vendita come smartphone e tablets (Channels).
Ricercare innovazione nei propri modelli di business è come guardare la
foresta piuttosto che i singoli alberi.
Innovare il proprio modello di business è una priorità per tutte le
organizzazioni, anche per quelle che attraversano una fase di crescita.
La storia di Blockbuster e di Netflix è l’esempio recente di come un’azienda
florida e ricca come Blockbuster non si sia accorta dell’ingresso di una
piccola startup – Netflix – che ha sfruttato tecnologia esistente (DVD) e
successivamente lo streaming video, per innovare un modello di business
su cui Blockbuster aveva costruito il proprio successo. Il DVD aveva
permesso a Netflix nel 1997 di distribuire i film – che venivano ordinati da
casa dal cliente – attraverso un efficiente servizio di mailing evitando il
viaggio presso lo store (modalità che un cliente di Blockbuster doveva invece
seguire).
Nel 1999 Netflix aveva introdotto un modello di sottoscrizione con
una "flat fee", allontanandosi dal modello pay-per-rental di Blockbuster.
Il resto è storia: nel 2010 Blockbuster è fallita mentre Netflix ha registrato
ricavi superiori ai 2 miliardi di dollari. Blockbuster ha trascurato la minaccia di una nuova tecnologia e di un
innovativo modello di business fino a quando non è stato troppo tardi per
porvi rimedio.
Un nuovo verbo ha fatto la sua comparsa nel vocabolario: netflix; netflixed
per indicare la distruzione di un modello di business di successo o per
spiegare il rischio di essere distrutti, rimpiazzati da un nuovo modello di
business.
Innovare il proprio modello di business o rischiare di essere netflixed?
Vedi anche il blog dell'autore: stefanomizio.blogspot.it/
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