giovedì 22 aprile 2021

Il futuro del "remote working" nelle "big tech"...

Da Business Insider

Da Google ad Amazon, le big tech contro il remote working: la rivoluzione è già finita?

Chiara Merico, 13 apr 2021

La sede di Google a Berlino - TOBIAS SCHWARZ/AFP via Getty Images

Un conto è lavorare da remoto quando lo fanno tutti, o quasi: altra storia è mantenere le nuove abitudini quando il mondo si dirige verso il cosiddetto “new normal”, che per certi versi sembra assomigliare sempre più al vecchio sistema. Il lavoro agile rischia di diventare un ricordo, e a guidare quella che appare una clamorosa marcia indietro sono proprio le grandi multinazionali del tech, finora considerate all’avanguardia nell’adozione di formule di lavoro flessibile.

Dipendenti negli uffici di Google a New York City – Spencer Platt/Getty Images


Lavorare da casa, o comunque da remoto in qualsiasi città del mondo, resterà invece un’ipotesi irrealizzabile per la maggior parte dei dipendenti di Google. In una lettera inviata ai dipendenti la settimana scorsa, il capo del personale Fiona Cicconi ha rivelato la prossima strategia di Big G: dal primo settembre partirà ufficialmente il piano di rientro in ufficioChi vorrà lavorare da remoto per più di 14 giorni all’anno dovrà presentare formale richiesta, per un periodo fino a 12 mesi, e solo le istanze presentate da chi dimostrerà di trovarsi in “circostanze eccezionali” saranno accolte. “Crediamo fermamente che vedersi di persona, stare insieme, avere un senso di comunità sia molto importante quando si devono risolvere grandi problemi e creare qualcosa di nuovo. Ma pensiamo di aver bisogno di creare più flessibilità e più modelli ibridi”, ha spiegato il ceo Sundar Pichai. In ogni caso i dipendenti di Google dovranno risiedere “a breve distanza” dagli uffici, cioè in località raggiungibili con uno spostamento da pendolari. Vale a dire che, anche se ci sarà maggiore flessibilità rispetto al pre pandemia, molti di loro dovranno rientrare in ufficio, dove troveranno “molte cose diverse da come le ricordate”, ha spiegato Cicconi, ma anche “pasti, snack e altri benefit” per rendere più agevole il rientro, come la campagna Dooglers che consente ai lavoratori di portarsi dietro il cane.

 

Un approccio in controtendenza rispetto agli annunci di altre big tech, o forse no. Prendiamo a esempio il caso delle dichiarazioni di Jack Dorsey, fondatore di Twitter, che lo scorso maggio aveva annunciato che i dipendenti del social cinguettante avrebbero potuto “lavorare da casa per sempre”. Parole che molti avevano visto come il manifesto di una nuova Silicon Valley, con uffici popolati solo da una piccola parte di dipendenti essenziali e una forza lavoro completamente “agile”, distribuita in tutto il mondo. Come osserva la Bbc, in realtà le frasi usate da Dorsey e da altri dirigenti, se analizzate con attenzione, raccontano un’altra storia. Lo stesso numero uno di Twitter ha infatti precisato che potranno lavorare da casa i dipendenti che si trovano “in un ruolo o in una situazione che glielo permetta”: una clausola non da poco.


Il cofondatore e ceo di Twitter Jack Dorsey – PRAKASH SINGH/AFP via Getty Images


E quasi tutti i modelli di lavoro “flessibile” o “ibrido” annunciati dalle grandi aziende della Silicon Valley si prestano a più di un’interpretazione. “Flessibile” può voler dire tutto e niente, dai venerdì liberi a una diversa relazione con il lavoro, ma nell’ambito di un orario canonico. O una soluzione come quella di Microsoft, il cui nuovo standard prevede il “lavoro da casa per meno del 50% del tempo per la maggior parte dei ruoli”: meno del 50% è una percentuale che abbraccia un ampio spettro di soluzioni, alcune molto diverse tra loro. Ancora più chiaro il messaggio mandato da Amazon ai dipendenti, sempre la scorsa settimana: “Il nostro piano è tornare a una cultura basata sulla presenza in ufficio, che crediamo ci consenta di inventare, collaborare e imparare insieme in maniera più efficace”. Non esattamente quello che si chiama un endorsement per il lavoro agile. Sull’altra sponda si colloca invece Spotify, che ancora a febbraio aveva dichiarato che i dipendenti potevano “lavorare sempre in ufficio, sempre da remoto o scegliere un mix tra le due modalità”, in proporzioni che “ogni lavoratore potrà decidere in accordo con il suo manager”, pur ammettendo che “alcuni aggiustamenti saranno possibili in corso d’opera”.


Lavoro da remoto – Sean Gallup/Getty Images)


La riapertura degli uffici, almeno al 50% della capacità, sarà infatti il grande test per la tenuta del lavoro da remoto. Quando le riunioni saranno svolte per metà in presenza e per metà in videocall, il sistema funzionerà? E quando alcuni lavoratori potranno interagire con capi e colleghi di persona, gli altri saranno svantaggiati? Interrogativi per i quali manca ancora una risposta, e che probabilmente sono alla base della clamorosa retromarcia delle big del tech, esempi di innovazione ai quali il resto del mondo guarda sempre con interesse.








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