di Annamaria Testa, 16 nov 2015
È una parola rubata alla tecnologia dei materiali.
Per dirla in modo semplice, indica la capacità di un materiale di assorbire e rilasciare l’energia (per esempio, un urto) che lo potrebbe deformare, tornando allo stato iniziale.
È una faccenda di elasticità, insomma. Il termine resilienza è stato poi adottato sia dai sistemi informatici (è riferito alla capacità di resistere all’usura), sia dall’architettura (è resiliente l’edificio che può resistere a un evento atmosferico estremo come un terremoto o un’inondazione).
Ma si parla di resilienza anche a proposito di sistemi biologici ed ecologici (la resilienza, in questo caso, consiste nella capacità di ciò che è vivo di riparare un danno, o di tornare allo stato precedente un’aggressione esterna).
C’è una resilienza propria delle organizzazioni sociali (in questo caso, il termine sta a indicare la capacità di prevedere danni o aggressioni possibili, di rispondere in modo adeguato, di rimediare rapidamente). Oggi si parla diffusamente di resilienza anche in psicologia, per indicare la capacità individuale di affrontare stress e avversità uscendone rafforzati.
Spesso un tracollo è preceduto da fenomeni in lento peggioramento, e bisogna intervenire subito
Il Resilience centre dell’università di Stoccolma elenca sette princìpi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici. Sono princìpi semplici, ma tutti assieme configurano un metodo, e ho la sensazione che valgano per il mantenimento di qualsiasi sistema sociale.
Per questo ve li racconto.
Bisogna mantenere la diversità e la ridondanza. Sistemi che hanno molti componenti diversi, di qualsiasi tipo (dalle specie viventi alle fonti di conoscenza) sono in genere più resilienti dei sistemi fatti di pochi componenti. Quando ruoli e azioni sono duplicati il sistema diventa ridondante, e continua a funzionare anche se alcune parti si perdono o falliscono. In altre parole: “Mai mettere tutte le uova in un solo cesto”.
Bisogna gestire la connettività che, in sé, può essere sia positiva sia negativa: sistemi meglio interconnessi sono di norma più resilienti, ma sistemi “troppo” connessi possono propagare il danno ancor più rapidamente.
Bisogna gestire le variabili lente e le retroazioni. Il concetto che sta dietro a questa affermazione apparentemente oscura è semplice: spesso un tracollo è preceduto da fenomeni in lento peggioramento, e bisogna intervenire subito, prima che la soglia di rischio sia raggiunta e che diventi troppo tardi. E poi: attraverso adeguate e tempestive retroazioni (feedback) si possono ampliare i fenomeni positivi, incoraggiandone la crescita e l’espansione, e si possono contenere quelli negativi, per esempio attraverso sanzioni, limiti, punizioni.
Bisogna imparare a pensare in termini di sistemi complessi che sanno adattarsi. Un sistema complesso adattativo, ecologico o sociale (Cas, Complex adaptive system) incorpora numerosi collegamenti, su molti livelli. È progettato a partire da prospettive molteplici, prevede la fluttuazione delle condizioni ambientali ed è strutturato per affrontare l’imprevisto e l’incertezza.
Bisogna incoraggiare l’apprendimento. I sistemi ecologici e sociali si sviluppano continuamente, e quindi devono di continuo affrontare il cambiamento e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri.
Bisogna allargare la partecipazione. Un gruppo informato, e che funziona bene, mette a sistema le conoscenze e produce fiducia e comprensione condivisa: due ingredienti fondamentali per sviluppare un’efficace azione collettiva.
Bisogna promuovere un governo policentrico. Centri di governo diversi possono interagire per costruire e rafforzare regole valide all’interno di un determinato ambito, e possono produrre soluzioni più flessibili e tempestive, basate sull’auto-organizzazione.
Questo tipo di governo, però, è più esposto a tensioni interne e alla possibilità che si sviluppino interazioni negative. Più la struttura che permette alle parti di interagire è forte, e va oltre il puro scambio di informazioni e la cooperazione episodica, più l’intera rete resta salda.
Alcune intuizioni di Bateson potrebbero essere utili a districarci anche nel tempo presente
In conclusione: bisogna essere equilibrati, usare il buonsenso, saper mediare tra esigenze differenti e, a volte, contrastanti.
Limitarsi a rafforzare singoli elementi che già esistono può non bastare, o può esacerbare squilibri che, invece, andrebbero attenuati per costruire un sistema che sappia coniugare stabilità e flessibilità. Qui una trattazione più estesa.
Ho la sensazione che questo approccio, saggio e lucidamente consapevole, debba molto al pensiero multidisciplinare di Gregory Bateson. Antropologo, sociologo, linguista e cibernetico, Bateson è stato, credo, il primo ad applicare, ancora negli anni quaranta, il concetto di “sistema” alle organizzazioni sociali e alla sfera ambientale. Ed è diventato l’ispiratore di tutti noi ecologisti della primissima ora.
Viviamo in tempi complessi, non esistono soluzioni semplici e alcune intuizioni di Bateson potrebbero essere utili a districarci anche nel tempo presente.
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