Da Key4Biz.it
Gli altri ex monopolisti europei possono contare sull'appoggio del Governo-azionista. Cosa che manca a Telecom. A Cattaneo il compito di ricucire i rapporti anche col regolatore.
di Alessandra Talarico, 1 apr 2016
Visto dall’esterno, il compito di Flavio Cattaneo alla guida di Telecom Italia appare come una sfida quasi ciclopica.
Al manager, che pure vanta un curriculum che spazia dalla Rai a Terna per finire ai treni diNTV, l’ardua mission di ricucire i rapporti con l’Agcom e con il Governo.
La prima, nel 2015 ha comminato sanzioni per complessivi 120 milioni di euro (la società ha inoltre effettuato accantonamenti relativi per 400 milioni) e ha recentemente diffidato la società dall’avviare la nuova opzione Tim Prime se non vuole rischiare una multa fino a 2 milioni. I rapporti, insomma, non sono proprio idilliaci.
Così come non sono del tutto in discesa i rapporti col Governo di Matteo Renzi.
Telecom, lo ricordiamo, è – oltre a BT – l’unico ex monopolista europeo completamente privatizzato.
Lo Stato non ha quote di capitale e quindi non ha voce in capitolo nella sua gestione e nelle vicende azionarie.
Pensiamo a quanto sta accadendo in Francia, dove il Governo controlla il 23% di Orange. L’ex France Telecom sta trattando per una fusione con il numero due del mercato, Bouygues Telecom, il cui patron, Martin Bouygues, sta cercando di ottenere in cambio una quota del 15% dell’operatore storico. La scadenza delle trattative era stata fissata per ieri, ma ancora non si è approdato a un nulla di fatto perché il Governo non vuole diluire eccessivamente la sua quota per mantenere i suoi posti in consiglio e il suo potere di veto.
Un po’ ovunque, in Europa, gli ex operatori monopolisti sono coccolati dallo Stato perché portano innovazione e garantiscono occupazione. E, soprattutto, sono tutelati perché è principalmente sulle loro reti che viaggiano le comunicazioni dei cittadini, delle imprese, delle istituzioni. C’è anche, insomma, una questione di sicurezza e interesse nazionale.
Gli investimenti nella banda larga e ultralarga sono inoltre ritenuti fondamentali per la competitività e la crescita economica.
Un altro esempio: il Governo tedesco di Angela Merkel sta facendo pressing sulla Commissione europea per ottenere meno vincoli dalla Ue e andare così incontro alle richieste del campione nazionale Deutsche Telekom, che da tempo sta spingendo per un alleggerimento delle norme in cambio di un’accelerazione sugli investimenti. Anche il regolatore tedesco è finito al centro delle critiche per aver approvato lo scorso anno il piano di investimenti di Deutsche Telekom, basato sul vectoring e sulla tecnologia G.Fast, scatenando le proteste dei concorrenti.
In Italia, invece, le cose stanno andando diversamente. Lo ha sottolineato anche il Wall Street Journal, che parla di un rapporto “sempre più disfunzionale” tra Telecom e le autorità, da quando Renzi è diventato premier nel 2014.
Il Governo sta palesemente spostando il baricentro della fibra ottica sempre più verso Enel, che nelle scorse settimane ha presentato un piano di investimenti da 2,5 miliardi per portare l’ultrabroadband in 224 città tra le più redditizie.
I dettagli del piano si conosceranno il 7 aprile. Quello che si sa è che la compagnia elettrica – di cui lo Stato controlla il 25,5% – ha in ballo accordi commerciali con i due diretti competitor di Telecom Italia: Vodafone e Wind.
E non a caso, la prima tappa dell’ultimo viaggio di Renzi negli Usa (che si concluderà oggi) è stata in Nevada dove il presidente del consiglio ha partecipato all’inaugurazione dell’impianto ibrido rinnovabile di Stillwater di Enel Green Power a Fallon.
Riferendosi alla società di Francesco Starace con l’hashtag #orgoglioItalia, il premier ha affermato “Continueremo a fare crescere Enel, anche attraverso i progetti innovativi della banda larga che presenteremo il prossimo 7 aprile”.
Un annuncio fatto mentre all’orizzonte si staglia lo stanziamento di fondi pubblici per 2,2 miliardi per la banda larga nelle aree a fallimento di mercato.
Cattaneo dovrà insomma destreggiarsi in un contesto non proprio dei più semplici per sbrogliare dossier molto sensibili anche a livello politico, tra i quali la cessione delle torri di Inwit, il piano congiunto con Metroweb per portare la fibra in 250 città (in attesa del via libero Agcom) e il più drastico taglio dei costi preteso da Vivendi.
Dalla sua parte, secondo Equita Sim, la sua esperienza di due anni nel board della compagnia telefonica e un “track record positivo per quanto riguarda l’espansione dei margini, anche attraverso investimenti che offrano soluzioni più efficienti e non solo attraverso il mero taglio dei costi”.
Certo, a differenza del suo predecessore molta differenza la farà l’appoggio di Vincent Bollorè. Un fatto non da poco, riconosciuto come uno degli “aspetti più significativi” della sua nomina dagli analisti di Banca Imi, ma che potrebbe rivelarsi anche un fardello visto che in molti, negli ambienti istituzionali considerano il finanziere bretone un ‘raider’, pronto a cedere, prima o dopo, il suo pacchetto in Telecom a Orange.
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Vivendi torna a investire in Telecom Italia. E vuole controllarne il consiglio di amministrazione: nessuno scandalo, è un suo diritto. Ma la prima responsabilità del board è tutelare gli interessi della società. L'analisi di Salvatore Bragantini
di Salvatore Bragantini, 1 apr 2016
Salvatore Bragantini |
Una nuova stagione della Telecom story
Nuova puntata del serial di Telecom Italia (Ti), ove i nostri capitalisti non si sono coperti di gloria. Nel 1997 il “nocciolino duro” (Ifil e altri) si degnò d’investire su richiesta del governo che doveva privatizzare; sedeva su una miniera d’oro e non lo capì. Poi venne la mega offerta pubblica d’acquisto (Opa) dei capitali coraggiosi di Emilio Gnutti &C, vestiti con la livrea del Granducato, per un veloce capital gain esentasse. Meno bene andò a Pirelli e Marco Tronchetti, che da loro comprarono, perdendo infine una fetta dei lauti profitti dell’affare Corning Glass.
Dopo gli industriali, non fecero meglio i finanzieri; Intesa San Paolo e Mediobanca portarono la spagnola Telefònica, anch’essa uscita nel 2015 con una complessa operazione in cui ha acquistato Gvt, controllata brasiliana nelle telecomunicazioni di Vivendi, media company controllata da François Bolloré. In pagamento, Vivendi ha avuto dagli spagnoli 4 miliardi e l’8 per cento di Telecom. Pareva ovvio che, appena uscita dalle Tlc anche in Francia, cedesse quella quota. Invece, Vivendi torna a investire 3,5 miliardi nelle telecomunicazioni e arriva in Telecom al 24,9 per cento, a un passo dall’obbligo d’Opa; ora vuol controllarne il consiglio di amministrazione e inizia “dimissionando” l’amministratore delegato Marco Patuano.
Il puzzle telecomunicazioni-tv
Molto c’è dire sulla banda larga e altri temi strategici riguardanti Telecom Italia; ci si può dolere dell’ennesimo passaggio di controllo senza Opa, ma se, come pare preferibile per dar certezza al mercato, si fissa una soglia oltre cui scatta l’obbligo, tanti si fermeranno subito sotto.
Qui ci si vuol invece concentrare sul governo dell’impresa, tema sul quale le riflessioni si perdono in mille rivoli, scordando la questione-chiave. In caso di contrasto fra i due, il cda deve perseguire l’interesse dei soci o dell’impresa? Sul ricambio al vertice di Ti nulla da dire; chi investe tanto controlla il consiglio. A questo, però, è affidata la gestione: nell’interesse di Telecom, non già di Vivendi o altri. Qui è il punto chiave.
Bolloré, primo azionista non bancario di Mediobanca all’8 per cento, sta discutendo l’ingresso in Premium, pay-tv controllata da Mediaset – che smentisce; ma la zoppicante Premium ha bisogno di alleanze. È solo l’inizio: la stampa pullula di indiscrezioni, più che di notizie, su una grande alleanza fra Telecomi, Vivendi e Mediaset, nel nome della mitica convergenza fra Tlc e tv. Qualcuno include nell’affresco anche Orange, ex France Telecom, a cui Vivendi potrebbe conferire la quota in Ti. Nella sua campagna italiana Bolloré si avvale di Tarak Ben Ammar, tunisino amico di Silvio Berlusconi, per il quale si spese nei processi di Mani Pulite (Antonio Di Pietro lo definì “L’egiziano strano strano”). Tarak è proteiforme: presente nel consiglio di sorveglianza di Vivendi e nei cda di Telecom e Mediobanca, facilitatore in un ambiente nel quale si mischiano gli interessi di quelle imprese. Deve avere grandi doti per gestire a Parigi gli interessi di Vivendi, a Roma di Telecom e a Milano di Mediobanca; e non dimenticherà di chiedere un consiglio al vecchio amico.
In questo mobilissimo quadro, Inwit, controllata di Telecom e gestrice delle torri di trasmissione dei segnali telefonici, interessa a Ei Towers, controllata Mediaset. Ei Towers vuol comprare meno del 30 per cento di Inwit, evitando così l’Opa, per poi rientrare di parte dell’esborso vendendo alla stessa Inwit proprie torri per 200 milioni. Poiché la prima operazione è subordinata alla seconda, la Consob ravviserà probabilmente nell’accordo un “concerto” volto a schivare l’Opa, bloccando tutto. In campo per Inwit c’è anche un’altra offerta, della spagnola Cellnex e del fondo italiano F2i. Comprerebbero il 45 per cento di Inwit, lanciando un’Opa su un altro 40 per cento; Telecom conserverebbe il 15 per cento. Il prezzo per azione offerto da Ei pare aggirarsi sui 5 euro, quello di Cellnex sui 4,5 euro. Stranamente, i siti delle tre società quotate – Inwit, Ei e Cellnex – neanche menzionano le offerte.
Cda “tutore” di Telecom
Il cda di Telecom ha già sostituito Patuano con Flavio Cattaneo, indimenticato direttore generale della Rai berlusconiana. Il tema, sia chiaro, non è più il conflitto d’interessi dell’ex premier; che curerà bene i propri affari, come sempre, ma ormai politicamente svanisce.
La vera questione è chi penserà agli interessi di Telecom.
Davanti ai grandi temi strategici sopra evocati, è strattonata in diverse direzioni, spinta dai tanti che le ronzano attorno.
Vivendi vuole un nuovo cda, è suo diritto, ma questo non potrà sfuggire a una grande, obbligata responsabilità. Prima che nel merito delle Opa concorrenti, non poi così importanti, è in quel groviglio incrociato che va trovato il bandolo degli interessi di Telecom. Scrive sul Corriere della Serail 31 marzo Federico De Rosa: “Cattaneo dovrà fare un turnaround di Ti in attesa che Vivendi finisca di disporre le sue pedine per giocare la partita europea del riassetto dei media”: veristico, ma impietoso ritratto di una corporate governance malata. Cattaneo e tutto il cda dovranno fare solo quel che conviene a Telecom, che è una persona, sia pur giuridica, il cui interesse è affidato al consiglio di amministrazione: come un minore incapace, nell’interesse del quale opera il tutore. Sarà bene ricordarlo.
Tratto dal sito www.lavoce.info
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