Una classe non dirigente
di Valerio Castronovo, 5 feb 2014
Al terz'ultimo posto, nell'Europa dei Ventotto, soltanto prima di Bulgaria e Romania:
Al terz'ultimo posto, nell'Europa dei Ventotto, soltanto prima di Bulgaria e Romania:
così l'Italia figura, quanto a efficacia delle politiche governative,
nella classifica stilata dall'Unione europea. Pu darsi che a Bruxelles abbiano
calcato la mano, ma non più di tanto.
Da troppo tempo la reciproca delegittimazione dei due principali partiti
della Seconda Repubblica, con uno strascico di acri risentimenti e veti
incrociati (ma anche di logoranti contese intestine), ha determinato una
situazione deprimente di stallo dell'attività legislativa sulle questioni pi
importanti e una penosa impotenza decisionale, nell'esercizio del proprio
mandato, degli esecutivi di diverso colore avvicendatisi di volta in volta sulla
scena.
Si tratta non solo di una seria anomalia sul piano istituzionale ma di
un'ipoteca tanto pi grave e deleteria nel mezzo di una persistente emergenza
economica e sociale, che avrebbe dovuto imporre, per venirne a capo, un forte
impegno politico e quindi scelte coraggiose e appropriate, misure concrete ed
efficaci.
Senonché l'Italia si trova a pagare i costi, non da oggi, ma adesso con un
impatto sempre pi pesante, dovuti alla mancanza di un'autentica classe
dirigente. Ossia, di un ceto politico che coniughi a un alto senso dello Stato
una salda cultura di governo e una coerente visione di prospettiva.
Non con questo, beninteso, che si voglia accomunare indistintamente quanti
svolgono funzioni pubbliche rappresentative in una sorta di "casta" amorfa e
autoreferenziale.
Tra loro vi sono singoli esponenti animati da fervore di
propositi e da spirito costruttivo.
Tuttavia, a giudicare dall'esperienza degli
ultimi anni, non si può certo dire che la classe politica, nel suo insieme, abbia
dato prova di limpida trasparenza, di attitudini innovative, di sagace e
provvida rispondenza alle esigenze cruciali del Paese. N il fatto che vi siano
nella società italiana robuste corporazioni d'interessi arroccate nella
conservazione dell'esistente, può costituire in alcun modo un attenuante; al contrario, un
motivo in pi a carico del ceto politico, poiché era soprattutto di sua pertinenza
il compito di eliminare privilegi inammissibili e ingombranti rendite di
posizione. Ci che evidentemente non ha saputo fare.
D'altra parte, clientelismo e assistenzialismo, alimentati dai rubinetti
della spesa pubblica, sono stati per tanto tempo altrettanti strumenti a portata
di mano e ampiamente utilizzati nelle politiche di governo per rimandare il
momento di fare i conti con la realtà, con i problemi pi duri e scabrosi
destinati perciò a incancrenirsi, e per gestire intanto, in santa pace, grazie a
una crescente dissipazione di risorse, l'organizzazione del consenso. Non avendo
posto fine del tutto a questa prassi, e riproducendo da un lato con qualche
variante schemi ideologici del passato e ripetendo dall'altro copioni
leaderistici esclusivamente personali, l'establishment politico subentrato alla
ribalta dopo l'epilogo della Prima Repubblica ha finito così per appiattirsi e
atrofizzarsi, col risultato di eleggere a catalizzatore del proprio agire il
tatticismo o l'opportunismo, anziché il conseguimento di determinati obiettivi
prioritari d'interesse collettivo.
Questo stagnante immobilismo ha reso perciò estremamente impervio, in mancanza
di adeguate riforme strutturali, l'itinerario del nostro Paese nell'ambito
dell'Unione economica e monetaria.
Sino a poco tempo fa sembrava che il federalismo regionale potesse diventare,
attraverso l'opera dei corpi intermedi di rappresentanza, il vivaio per lo
sviluppo sia di nuove competenze e sperimentazioni progettuali sia di
promettenti rapporti fra le istituzioni pubbliche periferiche e il mondo
dell'impresa, del lavoro e delle professioni. Cos purtroppo non avvenuto. Anzi,
alla fiscalità e alla congerie normativa e burocratica gi esorbitanti
dell'amministrazione centrale sono venute sommandosi quelle di nuovo conio degli
enti locali.
Oltretutto prevalsa in genere una navigazione di piccolo cabotaggio,
inquinata in numerosi casi dalla lebbra tangentizia tant'è che oggi sono ben
diciotto i Consigli regionali che hanno dei loro componenti indagati dalla
magistratura.
Si è così dissolta la prospettiva di un'azione propulsiva dal basso,
dal vivo delle comunità territoriali.
Quella rimasta tuttora in campo appare in sostanza una classe politica priva
del carisma e dei requisiti di una vera e propria classe dirigente. Non ha
promosso un fecondo confronto di idee, n mobilitato nuove energie, ma
soprattutto non ha assunto risolutamente la responsabilità e i relativi rischi di
decidere e di fare, che sono i fondamenti intrinseci all'esercizio di
un'effettiva leadership.
In questo desolante stato di cose, e con un Paese prostrato da una lunga
crisi, il pericolo che corrono le nostre istituzioni, se non si manifesterà un
mutamento di rotta e un ricambio generazionale, duplice: da un lato, che la
diffusa insofferenza verso un sistema di governo rivelatosi per lo pi opaco e
inconcludente si trasformi tout court in una rancorosa deriva antipolitica, in
una sfiducia pregiudiziale nella democrazia parlamentare, sulla spinta di una
prorompente ondata di violenza verbale settaria e di un populismo anarcoide;
dall'altro, che cresca di fatto il potere condizionante, sui processi
legislativi e su quelli attuativi dell'esecutivo, di un'oligarchia burocratica
incardinata nei gangli dell'apparato statale.
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