Da La Repubblica
Judo con le parole: come rispondere a insulti e provocazioni
Chi non sogna di diventare
maestro di dialettica, capace di mettere al tappeto con una risposta pronta e
brillante persone arroganti o aggressive? La vita reale non è un episodio di Mad
Men, e senza copione è difficile mettere in scena uno scambio di battute
perfetto, ma si può impare a confondere l'avversario, come insegna il piccolo
manuale che qui presentiamo
di Michele R. Serra, 23 gen 2014
Alle medie andavo a judo, come tutti quanti. Un cliché per un undicenne. Ero
convinto che con un corso di arti marziali sarei riuscito a superare i limiti
del mio fisico tutt'altro che imponente, addirittura speravo di arrivare a
incutere un reverenziale timore nei miei coetanei, come con naturalezza
riuscivano a fare gli amici meglio equipaggiati in peso e muscolatura. Rimasi
piuttosto deluso quando alla prima lezione - in uno scantinato che puzzava di
muffa - il maestro ci spiegò che la parola judo si poteva tradurre come "via
della gentilezza", e che avremmo imparato a usare la forza dell'avversario per
sottometterlo. Delusione, dicevo: volevo diventare forte, io, dell'avversario me
ne fregavo.
C'è voluto un po' di tempo, prima che capissi quanto poteva essere efficace quell'approccio all'apparenza morbido: lanci e leve funzionavano indipendentemente dalla furia dell'attacco subito. Era affascinante. Non sarei mai diventato il duro che volevo, ma mi sentivo meglio.
JUDO CON LE PAROLE La
stessa sensazione si prova appena chiuso il libro scritto da Barbara Berckhan.
Tedesca, cinquantasette anni, pedagoga e psicologa per formazione, la Berckhan
dai Novanta in poi si è dedicata - come dice lei - "alla ricerca di metodi per
migliorare i rapporti tra le persone": un percorso sfociato nella scrittura di
saggi capaci di vendere un milione e mezzo di copie in dodici paesi, tra i quali
l'Italia. Tra questi il "Piccolo manuale di autodifesa verbale", fresco di
stampa nella collana Urrà dell'editore milanese Apogeo. Il titolo originale a
dire il vero rende meglio l'idea: "Judo mit Worten", "Judo con le parole".
L'approccio, in effetti, è lo stesso dell'arte marziale giapponese: strategie
capaci di rendere inoffensivo un attacco verbale, esclusivamente mirate alla
difesa, mai all'attacco; semplici, facili da memorizzare, senza formulazioni
complesse, applicabili in ogni situazione e quindi universali. Barbara Berckhan
però va oltre le intenzioni del professor Jigoro Kano, fondatore (della versione
fisica) del judo: le tecniche del "Piccolo manuale di autodifesa verbale" non
solo portano alla sconfitta dell'avversario, ma riescono a non intaccare le
vostre relazioni con quest'ultimo. Difficile da credere, a prima vista.
Eppure la tattica morbida serve soprattutto a questo: evitare il combattimento, che provoca strascichi negativi. E poi è fonte di stress, non fa bene alla salute, anche se si vince. L'ormone che ci fa produrre, il cortisolo, attacca il cuore e la circolazione, disturba la digestione e la libido. Meglio farne a meno. Chiaro perciò che il fondamentale presupposto di ogni controstrategia sia sempre lo stesso: rimanere calmi. La lucidità è l'arma più importante.
Racconta Barbara Berckhan che chi frequenta i suoi seminari di comunicazione si presenta spesso davanti a lei con lo stesso atteggiamento con cui io mi sono presentato davanti al primo maestro di judo: sogna di diventare maestro di dialettica, capace di mettere al tappeto con una risposta pronta, brillante e spontanea al tempo stesso, chiunque sia arrogante o irrispettoso. Meglio spegnere subito un'illusione del genere: si tratta di una capacità estremamente ardua da conquistare, nonostante gli illustri esempi di chi, attraverso la storia, si è esercitato nell'arte della tenzone verbale, dai poeti medievali ai rapper. La vita reale non è un episodio di Mad Men, senza copione è difficile mettere in scena uno scambio di battute perfetto. L'unico modo per migliorare la propria capacità di risposta alla provocazione è piuttosto quello di abbassare le aspettative e di conseguenza il proprio livello di stress: ancora una volta, l'ansia da prestazione non è un buon viatico per improvvisare controstrategie verbali efficaci. E poi, spesso non è necessario neppure rispondere: davanti a un'offesa inaspettata si può scegliere il silenzio, che non è una resa a meno che noi stessi non lo interpretiamo come tale. Perché perdere tempo a rispondere allo sconosciuto che ci insulta? Non è necessario alla nostra vita futura, meglio ignorarlo. Quando possibile, ovviamente.
UOMINI E DONNE Le cose si fanno più complicate nel caso in cui le relazioni siano necessarie, ad esempio tra colleghi. E ancora di più quando protagonisti dello scontro sono uomini e donne: più spesso di quanto ci accorgiamo, sostiene la Berckhan, le schermaglie verbali tra i sessi derivano da un atteggiamento innato. Il maschio sarebbe naturalmente più portato, e abituato sin da piccolo, allo scontro verbale (per molti, l'affermazione è valida anche per quanto riguarda lo scontro fisico), che usa come modalità di gioco cameratesco tra pari. Al contrario, se una donna intende combattere con le parole, quasi sempre lo farà in modo serio. Ecco le radici dell'incomprensione: capita che l'uomo voglia "solo giocare", ma lei si offenda. Sembra una spiegazione semplicistica, quante volte ci siamo sentiti dire banalità sulle origini astronomiche della sensibilità maschile e di quella femminile; eppure il discorso dell'autrice appare continuamente confermato dalla nostra esperienza quotidiana, che ci fa morire in gola eventuali obiezioni.
METTERE IN PRATICA Terminata la parte teorica, non mancano idee pratiche, alcune piuttosto creative. Ad esempio, chi penserebbe mai di utilizzare il potere del nonsense per disinnescare un attacco verbale? Afferma Barbara Berckhan che trasformarsi in giullari sia l'arma migliore, contro l'arroganza di chi vuole affermare la propria superiorità: la risposta migliore contro quest'atteggiamento è quella che non ha senso. Ad esempio, a chi dice "Ah, il tuo è proprio l'atteggiamento tipico delle donne!" è giusto rispondere "certo: cuor contento il ciel l'aiuta." Significa qualcosa? No, ma serve. A confondere l'avversario con un atteggiamento molto serio e parole senza senso, confidando sul fatto che l'arrogante non sia, in fondo, né particolarmente intelligente né davvero sicuro di sé.
Così prende forma l'idea fondamentale di questo manuale, che a dispetto del titolo non insegna tanto a controbattere, quanto a essere superiori. Assai diverso dal sentirsi tali.
Barbara Berckhan, Piccolo manuale di autodifesa verbale, Urrà edizioni, 12.50 euro
Eppure la tattica morbida serve soprattutto a questo: evitare il combattimento, che provoca strascichi negativi. E poi è fonte di stress, non fa bene alla salute, anche se si vince. L'ormone che ci fa produrre, il cortisolo, attacca il cuore e la circolazione, disturba la digestione e la libido. Meglio farne a meno. Chiaro perciò che il fondamentale presupposto di ogni controstrategia sia sempre lo stesso: rimanere calmi. La lucidità è l'arma più importante.
Racconta Barbara Berckhan che chi frequenta i suoi seminari di comunicazione si presenta spesso davanti a lei con lo stesso atteggiamento con cui io mi sono presentato davanti al primo maestro di judo: sogna di diventare maestro di dialettica, capace di mettere al tappeto con una risposta pronta, brillante e spontanea al tempo stesso, chiunque sia arrogante o irrispettoso. Meglio spegnere subito un'illusione del genere: si tratta di una capacità estremamente ardua da conquistare, nonostante gli illustri esempi di chi, attraverso la storia, si è esercitato nell'arte della tenzone verbale, dai poeti medievali ai rapper. La vita reale non è un episodio di Mad Men, senza copione è difficile mettere in scena uno scambio di battute perfetto. L'unico modo per migliorare la propria capacità di risposta alla provocazione è piuttosto quello di abbassare le aspettative e di conseguenza il proprio livello di stress: ancora una volta, l'ansia da prestazione non è un buon viatico per improvvisare controstrategie verbali efficaci. E poi, spesso non è necessario neppure rispondere: davanti a un'offesa inaspettata si può scegliere il silenzio, che non è una resa a meno che noi stessi non lo interpretiamo come tale. Perché perdere tempo a rispondere allo sconosciuto che ci insulta? Non è necessario alla nostra vita futura, meglio ignorarlo. Quando possibile, ovviamente.
UOMINI E DONNE Le cose si fanno più complicate nel caso in cui le relazioni siano necessarie, ad esempio tra colleghi. E ancora di più quando protagonisti dello scontro sono uomini e donne: più spesso di quanto ci accorgiamo, sostiene la Berckhan, le schermaglie verbali tra i sessi derivano da un atteggiamento innato. Il maschio sarebbe naturalmente più portato, e abituato sin da piccolo, allo scontro verbale (per molti, l'affermazione è valida anche per quanto riguarda lo scontro fisico), che usa come modalità di gioco cameratesco tra pari. Al contrario, se una donna intende combattere con le parole, quasi sempre lo farà in modo serio. Ecco le radici dell'incomprensione: capita che l'uomo voglia "solo giocare", ma lei si offenda. Sembra una spiegazione semplicistica, quante volte ci siamo sentiti dire banalità sulle origini astronomiche della sensibilità maschile e di quella femminile; eppure il discorso dell'autrice appare continuamente confermato dalla nostra esperienza quotidiana, che ci fa morire in gola eventuali obiezioni.
METTERE IN PRATICA Terminata la parte teorica, non mancano idee pratiche, alcune piuttosto creative. Ad esempio, chi penserebbe mai di utilizzare il potere del nonsense per disinnescare un attacco verbale? Afferma Barbara Berckhan che trasformarsi in giullari sia l'arma migliore, contro l'arroganza di chi vuole affermare la propria superiorità: la risposta migliore contro quest'atteggiamento è quella che non ha senso. Ad esempio, a chi dice "Ah, il tuo è proprio l'atteggiamento tipico delle donne!" è giusto rispondere "certo: cuor contento il ciel l'aiuta." Significa qualcosa? No, ma serve. A confondere l'avversario con un atteggiamento molto serio e parole senza senso, confidando sul fatto che l'arrogante non sia, in fondo, né particolarmente intelligente né davvero sicuro di sé.
Così prende forma l'idea fondamentale di questo manuale, che a dispetto del titolo non insegna tanto a controbattere, quanto a essere superiori. Assai diverso dal sentirsi tali.
Barbara Berckhan, Piccolo manuale di autodifesa verbale, Urrà edizioni, 12.50 euro
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