giovedì 31 marzo 2016

La "Olocrazia", un modello organizzativo senza capi...



Ideata dal programmatore Brian Robertson, poi diventato imprenditore e guru, fino ad ora è stata adottata da 300 grandi e piccole aziende, tra cui Zappos. C'è chi dice che sia la prossima rivoluzione e chi che si tratti di un flop

di Rosita Rijtano
4 feb 2016

Non avrai altro boss all'infuori di te.
 
Potrebbe essere il primo comandamento di Holacracy, in italiano Olocrazia: una nuova forma di organizzazione aziendale che punta a sostituire la tradizionale gerarchia, con un sistema ad autorità distribuita. 
Via il superiore, via il subordinato. Livellata qualsiasi asimmetria, demolita la piramide. Si passa a una struttura composta da cerchi, dove ognuno diventa pienamente responsabile del proprio lavoro. Un approccio elaborato da Brian Robertson: programmatore statunitense che, stufo dei modi di operare sperimentati nelle imprese di cui era dipendente, nel 2001 ha deciso di fondarne una propria: la Ternary Software.

"È stato un laboratorio", ha scritto Robertson nel libro 'Holacracy: The new management system for a rapidly changing world', uscito nel giugno del 2015. "L'ho messa in piedi solo per dare risposta a un quesito che mi affliggeva: Che cosa impedisce alle persone di implementare un'idea? E, più in generale, di progettare ciò che credono di riuscire a fare meglio?". Per individuare la soluzione ha testato nella startup appena creata diversi modelli gestionali. C'è una breve parentesi sociocratica, che prevede politiche adottate in base a un consenso strutturato, poi abbandonata. A far breccia definitivamente nel cuore dell'informatico è invece la teoria degli oloni: parola coniata da un giornalista e scrittore ungaro-britannico, Arthur Koestler, per indicare qualcosa che è allo stesso tempo un intero e una parte. Da qui il nucleo fondante della filosofia Holacracy, con tanto di costituzione, in continua evoluzione. Procedendo per errori e tentativi, si è oggi arrivati alla versione 4.1. E a HolacracyOne, la compagnia che si occupa di svilupparne e diffonderne il verbo.




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È il 2014, quando due aziende italiane che si occupano del trattamento di documenti e banconote nel mondo bancario - con sede a Bollengo e Ivrea - vengono acquisite dalla multinazionale statunitense ARCA. Da quattro mesi i 250 dipendenti stanno testando una nuova forma di organizzazione adottata dall'azienda: Holacracy. Un modello ideato dal programmatore Brian Robertson, dove scompare la tradizionale struttura verticistica. E non ci sono più capi. Al loro posto c'è un'architettura a cerchi che ha l'obiettivo di aumentare responsabilità e autonomia degli impiega.

Una "Stele di Rosetta" per la lingua etrusca?

31 mar 2016


Una scoperta che potrebbe rivelarsi fondamentale per ricostruire il linguaggio degli Etruschi. 

Un gruppo di ricercatori del Mugello Valley Archaeological Project ha portato alla luce una stele recante la scrittura etrusca. 
La scoperta è stata fatta nel sito di Poggio Colla in Toscana. La pietra, 227 chili e alta poco più di un metro, faceva parte di un tempio sacro che 2500 anni fa venne demolito per costruirne uno più grande. 
Nascosta per oltre duemila anni, la stele si presenta ben conservata, solo in parte scheggiata e bruciacchiata. Contiene 70 lettere leggibili e segni di punteggiatura, caratteristiche che la rendono uno dei più lunghi esempi di scrittura etrusca mai rinvenuti finora. 
Gli scienziati sono convinti che le parole e i concetti espressi dalla pietra siano una rarissima testimonianza di questa civiltà, considerando che quello che noi sappiamo degli etruschi, 
lo dobbiamo unicamente a necropoli, tombe e oggetti funerari. La stele ritrovata potrebbe rivelare ulteriori preziosi dettagli sulla religione etrusca e sui nomi delle loro divinità. 
La traduzione verrà fatta dall'università del Massachusetts di Amherst.


Toscana, trovata pietra di 2500 anni fa: potrebbe svelare il mistero della lingua degli Etruschi


Toscana, trovata pietra di 2500 anni fa: potrebbe svelare il mistero della lingua degli Etruschi


Toscana, trovata pietra di 2500 anni fa: potrebbe svelare il mistero della lingua degli Etruschi

martedì 29 marzo 2016

Le città possono trasformarsi in oasi vivibili...



di Giacomo Talignani
9 mar 2016

Le strade sono fatte per le persone o per le auto? 

Per una tesi del suo master all'università di Amsterdam Cornelia Dinca ha dato vita a un progetto che prova a rispondere a questa domanda, cercando di far capire a tutte le città del mondo come e perché la 'Venezia del Nord' si sia trasformata in una città così vivibile e non più auto-centrica. 

Ha preso ispirazione da un tweet di Cycling Professor che mostrando una foto scriveva: "La scusa che la vostra città non è Amsterdam non è valida. Anche Amsterdam prima non era così: c'è voluto tempo e uno sforzo radicale". 
Quella foto mostrava il comune olandese com'era 30 anni fa, pieno d'auto, e come è oggi: un paradiso per pedoni, biciclette e bambini. 

La tesi di Dinca è che tutte le città potrebbero applicare questo modello e cambiare veramente le cose. "Ci sono volute proteste e anni di riforme per arrivare a oggi. Chi scende alla stazione di Amsterdam pensa che sia sempre stata così: 'bike friendly' e a portata di tutti, con poche auto che inquinano. Ma non è così, solo dagli anni Novanta abbiamo cominciato a realizzare tutto ciò". 
Per questo ha lanciato il progetto SustainableAmsterdam, fatto di scatti dell'Amsterdam di allora e quella di adesso: "Che sia di ispirazione per tutti coloro che vogliono cambiare. Noi lo abbiamo fatto".


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam


Le strade sono per le persone o per le auto? La lezione di Amsterdam

lunedì 28 marzo 2016

Poor Kids vs Rich Kids




di Giacomo Talignani
9 mar 2016


Come si risponde alla moda dei "Rich Kids", ragazzi che su Instagram ostentano ricchezze di ogni tipo, macchine di lusso e palate di contanti? 

Mostrando verità e ironia. 
Almeno è quello che devono aver pensato gli autori di diversi profili social che, sotto il nome di "Poor Kids of", stanno provando a replicare alle foto dorate e patinate dei figli di papà di Russia, Turchia, Inghilterra e via dicendo. 
Così i ragazzi poveri di "Theran", "Pakistan", ma anche delle "Università" di molti Paesi, hanno iniziato a raccogliere su vari profili una realtà ben diversa da quella dei loro coetanei pieni di soldi. 
Niente macchinoni ma automobili rotte o modificate, finti marchi Mercedes, frigoriferi vuoti e pranzi miseri, palestre fatte con arnesi di fortuna, ciabatte riciclate e soprattutto tanta povertà. 
Nel più noto, "poorkidsoftehran", che conta 6mila seguaci, vengono pubblicate anche tantissime foto di bambini che soffrono per fame e povertà. Uno schiaffo a chi vive nella bambagia.



"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


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"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


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"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"

"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"


"Poor Kids", verità e ironia per rispondere agli eccessi dei "Rich Kids"

sabato 26 marzo 2016

I figli di Steve Jobs non potevano usare iPhone e iPad



26 feb 2016




Steve Jobs ha cambiato il mondo con la sua tecnologia e costruito un impero, ma non voleva che i suoi figli usassero iPod, iPad e iPhone.

Nella sua casa non amava circondare la sua famiglia di strumenti tecnologici e sottolineava come i figli fossero lontani dal comprendere il funzionamento e le caratteristiche dei dispositivi lanciati di volta in volta sul mercato. "Non li conoscono. Dobbiamo limitare l'uso della tecnologia dentro casa da parte dei nostri bambini", diceva in un intervista al New York Times del 2010 l'amministratore delegato e fondatore di Apple dopo il lancio del primo iPad. 

Un approccio protettivo che lo accomunava ad altri guru della tecnologia. Chris Anderson, ex direttore del magazine Wired e coofondatore di Robotica 3D, ha dichiarato: "Conosco i pericoli della tecnologia, li ho vissuti sulla mia pelle e non voglio che accada lo stesso ai miei figli".

Lo stesso per Evan Williams, fondatore di Twitter, e sua moglie Sara Williams che hanno circondato i figli di libri e non di tecnologia. Tutto dipende dall'età: è necessario che non siano dipendenti e che un po' più grandi conoscano dei limiti nel loro utilizzo.

La famosa ragazza afghana dagli occhi verdi, fotografata da McCurry...




di Giorgio da Batiorco, 15 set 2012


Quella di Sharbat Gula è forse la foto più riconosciuta e riconoscibile della storia del National Geographic. 

Grazie a questa fotografia, la storia della ragazza qui ritratta sembra incredibile, ma non è probabilmente così inusuale per i tempi in cui è stata scattata. Dopo un attacco che uccise i suoi genitori, Sharbat Gula, di etnia Pashtun, fu costretta a scalare le montagne fino ad arrivare al campo rifugiati di Nasir Bagh, nel vicino Pakistan, con i fratelli e la nonna. Fu lì che il fotografo Steve McCurry scattò questa ora famosissima fotografia.

Il suo volto divenne il simbolo del conflitto afgano degli anni ottanta, e della situazione dei rifugiati in tutto il mondo.

Quando questa immagine comparve per la prima volta nella rivista, il suo nome era sconosciuto e venne soprannominata semplicemente “ragazza afgana”.

Sharbat, a quei tempi, aveva circa dodici anni. La fotografia è stata spesso accostata alla Monnalisa di Leonardo da Vinci, al punto di venire spesso soprannominata, appunto, “la Monnalisa afgana”.



Sharbat Gula, 12 anni – 1985


Per più di diciassette anni, il suo nome e la sua identità sono rimasti un mistero, fino a quando McCurry, insieme ad altri del National Geographic, non sono tornati in Afghanistan nel 2002 per cercare di rintracciarla.

Dopo molti falsi avvistamenti finalmente la trovarono attraverso il fratello, che aveva occhi altrettanto verdi, in una delle regioni più remote del paese. Era una donna di circa trent’anni, sposata e madre di tre figlie. Quando a McCurry venne concesso il permesso di incontrarla di nuovo, le disse che la sua immagine era diventata famosa. Sharbat non era particolarmente interessata alla sua personale fama, ma fu felice di sapere di essere diventata un simbolo della dignità e della forza della sua gente. Quando al fratello venne chiesto come fosse la vita della sorella, rispose: cucina, pulisce, lava i panni. Cura i suoi figli; sono il centro della sua vita. Robina ha tredici anni, Zahida ne ha tre e Alia, la più piccola, uno. Una quarta figlia è morta nella prima infanzia.

Sharbat non ha mai vissuto un giorno felice, se non forse quello del suo matrimonio, avvenuto alla fine degli anni ottanta, prima del suo ritorno in Afghanistan, con Rahmat Gul. Shabat non aveva mai visto il suo famoso ritratto fino a quando, allora, non le venne mostrato. Accettò di farsi ritrarre per la secondo volta nella sua vita.

Eccola


Sharbat Gula – 2002


Fatto interessante: il National Geographic fondò un’organizzazione di beneficenza chiamata Afghan Girls Fund, con l’obiettivo di educare le ragazze e le giovani donne afgane. Poi, nel 2008, il fondo venne esteso per includere anche i ragazzi e il nome venne cambiato in Afghan Children’s Fund.



Fonte: da Archivio Caltari del 4 agosto 2011

lunedì 21 marzo 2016

Il monopolio nella carta stampata...



di Alessandro Sallusti
3 mar 2016




Il quotidiano La Stampa di Torino, storico foglio della famiglia Agnelli e di Fiat, si fonde con il gruppo Espresso di Carlo De Benedetti, editore - oltre che del noto settimanale, di sedici importanti quotidiani locali e di famose radio (Dj e Capital) - di la Repubblica, organo ufficiale della sinistra italiana.

Se aggiungiamo che La Stampa è già proprietaria del Secolo XIX di Genova si può dire con certezza che ieri ha preso vita un nuovo mega polo editoriale che controllerà ben oltre il 20 per cento dell'informazione prodotta in Italia. C'è di più. Uno dei due freschi soci, John Elkann, nipote dell'Avvocato e presidente de La Stampa, ha per ora solo annunciato di volersi defilare dal Corriere della Sera, di cui è azionista di riferimento. Non dubitiamo, siamo solo curiosi di vedere quando non sarà certo domani - e come questo accadrà, cioè a chi passerà di mano il controllo del Corriere.

Diciamo la verità. Siamo ammirati perché quando gli imprenditori si muovono e rischiano è cosa positiva. E siamo contenti perché più informazione si omologa e allinea al pensiero unico della sinistra (ieri il comunismo, per vent'anni l'antiberlusconismo, oggi il renzismo in salsa verdiniana) più aumentano gli spazi per chi come noi la pensa diversamente e combatte sul fronte opposto.

Non la meniamo con il conflitto di interessi, a noi le concentrazioni non fanno paura. Questo giornale nasce senza piagnistei proprio contro il monopolio culturale e mediatico. Ma siamo pure divertiti nel vedere come nessuno dei paladini del pluralismo, della libertà di espressione, come quelli del conflitto di interesse permanente, abbia fino ad ora fiatato. Ma come, il grosso dell'informazione finisce nelle mani di un solo uomo è evidente che è De Benedetti che si mangia La Stampa e tutti si allineano? Pensare che gli stessi il circolino che faceva capo alla buonanima di Umberto Eco - volevano fare la rivoluzione quando Mediaset propose di acquistare i tralicci dico tralicci, non canali della Rai per modernizzare i segnali via etere (operazione ovviamente bloccata da Renzi). E dire che ancora oggi è in corso una rivolta per salvare la democrazia dopo che Mondadori ha acquistato, salvandola dal fallimento, la Rizzoli Libri.

A questi cortigiani faziosi abbiamo fatto da tempo il callo. Ci consoliamo con il fatto ed è una bella notizia che dopo un secolo la Fiat si defila dal controllo dell'informazione, che in alcuni periodi è stato assoluto: troppo oneroso e non più strategico per un gruppo ormai internazionale. Grazie Marchionne.

lunedì 14 marzo 2016

"Brain Project": la mappatura del cervello umano



Dal 14 al 20 Marzo si celebra in tutto il mondo la settimana dedicata al nostro organo più importante, che fa di noi animali tanto diversi rispetto agli altri perché “senzienti”. 
Le potenzialità ed i problemi del nostro cervello, che impattano sulla mente e sul corpo: il tempo è essenziale, quanto prima si interviene meglio si affrontano le malattie neurologiche



Tre miliardi di dollari in dieci anni per mappare il cervello: questo il Brain Project lanciato da Obama. A cui ha risposto l’Unione Europea col finanziamento di 1.200 ricerche, per 1 miliardo e 900 milioni di euro. Si cercano i meccanismi che governano quest’organo, e lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di arrestare o curare i veri flagelli del prossimo futuro, le malattie neurodegenerative. 

Ma bisogna fare presto: in Italia quasi un milione di malati d’Alzheimer, un numero imprecisato di chi soffre di demenza senile, e poi 300mila con la malattia di Parkinson, 70mila con sclerosi multipla... “Il fattore tempo è cruciale in medicina e, in particolare, in ambito neurologico. La rapidità e l’accuratezza dell’intervento neurologico, subito dopo la comparsa dei primi sintomi, consentono di ridurre o annullare i danni che spesso condizionano fortemente la qualità di vita dei malati.” 

Così il Prof. Leandro Provinciali, Presidente della SIN, la Società Italiana di Neurologia. 
Ed al tempo è dedicata l’edizione di quest’anno della Settimana del Cervello. Dal tempo che ci si mette ad intervenire si decide ad esempio la prognosi dell’ictus ischemico in fase acuta: la combinazione di trombolisi sistemica e trombectomia meccanica, sono trattamenti tanto più efficaci quanto più sono tempestivi. In particolare, la trombectomia meccanica dovrebbe essere eseguita entro le 6 ore dall’esordio dei sintomi. In questa ottica, è stato introdotto il concetto di ritardo evitabile, ovvero l’efficienza organizzativa del percorso clinico del paziente con ictus acuto. E l’esigenza di rivedere la tempistica assistenziale dei pronto soccorso. Il tempo che passa e le alterazioni che produce sul cervello sono molto evidenti anche nella malattia di Alzheimer, che si manifesta con disturbi iniziali di memoria episodica, cioè della capacità di ricordare eventi legati ad un preciso riferimento temporale, cui si associano nel corso del tempo disturbi del linguaggio, dell’orientamento, delle capacità di ragionamento, critica e giudizio, con perdita progressiva dell’autonomia funzionale. 
Con il termine demenza si intende proprio la perdita di autonomia, mentre per descrivere i disturbi iniziali di memoria, con autonomia interamente conservata, si parla di disturbo cognitivo lieve o “Mild Cognitive Impairment (MCI)”. 

Questa condizione, diagnosticabile con opportune valutazioni neuropsicologiche, spesso precede di alcuni anni la demenza vera e propria. Sappiamo inoltre che il processo patologico che colpisce il cervello e che è responsabile della manifestazione clinica di MCI e poi di demenza precede di vari anni queste condizioni cliniche. Ancora il tempo, e la capacità di intercettarne i danni, alla base del processo neurodegenerativo che porta alla Malattia di Parkinson: inizia molti anni prima della comparsa dei sintomi motori e spesso, durante questa lunga fase, possono essere presente manifestazioni non motorie. Scoperte recenti che hanno una notevole rilevanza, perché se si riuscirà a individuare i soggetti a rischio di sviluppare la malattia si potrà intervenire precocemente con farmaci neuroprotettivi. Ancora: la Sclerosi Multipla. Una malattia che oggi è relativamente agevole identificare, se si è in grado di interpretare i sintomi specifici e gli esami di laboratorio, dalla Risonanza Magnetica all’esame liquorale alla neurofisiologia, che dimostrano l’interessamento diffuso su base autoimmune del sistema nervoso. Se si inizia precocemente una terapia, c’è un minor accumulo di disabilità e una maggiore autonomia. Al contrario, ritardare l’inizio di una terapia, può essere responsabile della comparsa di disturbi non più reversibili e recuperabili. Comprendere in tempi brevi che la terapia effettuata non è pienamente efficace e, quindi, cambiare la cura utilizzando strategie terapeutiche più incisive, può essere cruciale per mantenere condizioni di salute compatibili con una vita pressoché normale.

sabato 5 marzo 2016

Caro figlio mio...

Da HuffingtonPost.it

Caro figlio mio: non dipende da te, ma da me


di Jessica Johnston, 10 mag 2016


Ricordo il primo giorno in cui t'ho stretto fra le braccia. 
Sei venuto al mondo, ed io con te. Sulla paternità ci avevo riflettuto tanto, su come sarei stato, e su come saresti stato tu. Ma ero ancora tanto impreparato. Per un momento Cielo e Terra si sono baciati, e mai nella mia vita mi son sentita più sicuro, e allo stesso tempo più incert0.

Sapevo che sarebbe andato tutto OK, a te e a me. Ma sapevo anche che in un solo istante sarei dovuto crescere, per poter essere tuo padre.

Tu in me ci credevi, io me ne rendevo conto.

M'aspettavo che avrei saputo come fare -- che avrei saputo come amarti e crescerti al meglio in ogni fase della tua vita. Ma non è stato così. Quando non avevi che pochi mesi di vita chiamai il pediatra al telefono all'una di notte, in preda all'ansia perché la febbre aveva provocato qualche convulsione. Eravamo un disastro. Adesso mi ritrovo ad aiutarti ad attraversare gli anni della scuola e ad elaborare il lutto del trasferimento di una persona a te cara. Dovrei saperlo, come si fa, figlio mio, ma a volte proprio non lo so.

Anch'io ti chiedo troppo, figliolo. Ci provo a non farlo, ma lo faccio.

Certe volte le mie insicurezze, nonché le aspettative irrealistiche che ho nei miei confronti tracimano addosso a te, e la cosa mi dispiace tanto. In qualunque istante tu dovessi chiederti che cosa ci sia di sbagliato in ciò che stai facendo, cos'è che non riesci a fare al meglio... ti prego sappi che in realtà stai andando bene. Anch'io quando andavo a scuola sognavo che un giorno avrei avuto te, e che sarei riuscito a trovare un modo per crescerti senza mai dover sapere che cosa fosse il perfezionismo. Senza mai doverti sentir sussurrare nell'orecchio la voce del timore e dell'idealismo, quella che t'ammonisce: "Non rovinare tutto". Ma non ci sono riuscito. Lo vedevo nei tuoi occhi quando eri preoccupato per i compiti in classe, o quando ti rimproveravo troppo duramente per delle inezie.

Mi dispiace, figlio mio. Non dipende da te, ma a da me.

Il fatto è, figliolo, che tu sei perfetto. Perché la perfezione non è ciò che pensiamo. Non è uno standard a cui dobbiamo arrivare, o un'aspettativa impossibile da raggiungere. È l'oro che già c'è in te. È la persona che sei, aldilà di tutti i tuoi errori e dei tuoi successi.

Sono tanto, tanto orgoglioso di te.

Se pure non fossi "bravo", figlio mio, semmai dimenticassi di pensare agli altri, e di essere quello che si "comporta bene", sappi che sono dalla tua parte, ogni singola volta. Tifo per te, e insieme riusciremo a farcela.

Potresti anche andare malissimo a scuola, e non riuscire mai più a superare un altro test di lettura accelerata, o una prova di matematica a tempo, ma la cosa non inciderebbe minimamente sul modo in cui ti guarderei, né su quanto sarei orgoglioso di te.


Sono dalla tua parte, ogni singola volta.   
Tifo per te, e insieme riusciremo a farcela.

Potresti non essertela sentito di praticare gli sport di squadra, o scappare di corsa quando ti chiedono di fare degli esercizi, come hai fatto. Lo capisco, anch'io mi sentivo così. Ma se pensi di deludermi, ti sbagli.

Potresti sposarti, o non sposarti mai, andare all'università, o non farlo. Avere una carriera brillante, o niente di simile. Potresti aver successo, o fare miriadi di errori, e io non andrò da nessuna parte. Non esiste errore o decisione che possa allontanarmi -- alcuno. Non potrei mai esser più orgoglioso di quanto non lo sia già, né volerti più bene di così.

E ogni qual volta dovesse succederti d'avvertire da parte mia dei segnali che ti diano l'impressione che quanto sopra non sia vero, ti prego sappi che ciò non dipenderà da un tuo fallimento, ma dalle mie paure. Ho paura di non fare le cose per bene, o di non essere in grado di darti ciò di cui hai bisogno. Ho paura di non esser tagliato per questo, e che forse gli altri genitori se la cavino meglio di me. Ripenso al fatto che ti lascio giocare, e che non riesca a parlare con te, e mi chiedo se magari io non riesca ad amarti abbastanza. Ripenso a quanto io sia stato molto egoista, e a quanto a volte sia stato talmente concentrato su di me da trascurare te. Ripenso alle aspettative che ti ho scaricato addosso, e a come avevo giurato di non farlo mai. E ho paura, e non son sicuro d'avere la stoffa.

Poi ci sono quelle volte in cui mi comporto in modo frivolo e melodrammatico. Perché i miei pantaloni "tirano" per via degli addominali ormai perduti, e la mia casa è piccola, quasi un disastro, e ho la sensazione d'aver fallito miseramente. A volte è perché cerco di non mangiare formaggi e bere caffè, ma non riesco a pensare ad altro che ai formaggi ed al caffè. È sciocco, è umiliante, ma è vero.

Non dipende da te, figlio mio, ma da me.

Adesso hai sedici anni anni, e a volte mi chiedo se il mio tempo per fare errori non si stia esaurendo. Se uno di questi giorni non mi manderai a quel paese quando pretenderò troppo. Ma tu continui a perdonarmi, a credere e ad aver fiducia in me -- proprio come facevi quand'eri un bebè e io non riuscivo a capire come prendermi cura di te.

Grazie per quanto mi vuoi bene anche nella mia imperfezione. Mi hai migliorato tanto, e continuo a imparare...

Imparo ad accettare me stesso tanto quanto accetto te.

Ti voglio bene, figlio mio, più di quanto le mie parole siano in grado d'esprimere. Grazie per crescere con me.

Con amore,
Tuo padre, per sempre


Questo post è stato pubblicato originariamente su Wonderoak
è stato ripreso daHuffPostUsa e tradotto da Stefano Pitrelli,
adattato alla figura di padre da Alessandro Tagliabue