Da Il Sole 24 Ore
Il loro e nostro interesse
di Roberto Napoletano, 8 dic 2013
Ha accettato l'invito di incontrarci e si è presentato a Milano in una giornata fredda e chiara, alla sede del Sole 24 Ore a Milano in via Monte Rosa, poco dopo le dieci del mattino e ci è rimasto fino alle sedici.
L'ex consigliere economico del cancelliere tedesco Angela Merkel, Jens Weidmann, da due anni e mezzo presidente della Bundesbank, ha risposto a tutte le domande (vedi a fianco l'intervista curata da Alessandro Merli) e non ha esitato un solo secondo a sottolineare che i governatori sono di nomina politica, Hans Tietmeyer era sottosegretario alle Finanze quando è entrato nel consiglio della banca centrale tedesca e lui stesso dalla Merkel ci è andato in prestito proprio dalla Bundesbank. Se penso a quante discussioni, a mio avviso pertinenti, sono state fatte in Italia ogni volta che si è ventilata la scelta di un governatore della Banca d'Italia con incarichi di nomina politica, mi viene istintivo di ragionare sul fatto che a volte siamo i peggiori venditori di noi stessi.
Ho avvertito l'ostinazione dell'uomo quando ha puntigliosamente ribadito che la "droga" della Bce è servita a stabilizzare i mercati e a comprare tempo, ma potrebbe farci ritrovare tra due o tre anni in un nuovo punto di partenza peggiore di quello del novembre del 2011. Un modo come un altro per ricordare una posizione storica della Bundesbank: è vero che il sentimento europeo è messo a dura prova dalla crisi che si "nutre" di mancanza di fiducia e di inimicizia, ma è altrettanto vero che, alla lunga, risulterà ancora più colpevole il comportamento di chi fa credere che c'è un rimedio facile, veloce, ai problemi di ieri e di oggi finendo con il creare un problema più grande dopo, si materializzerà contro «i propri politici nazionali e contro di noi perché la colpa è sempre dei vicini, soprattutto se tedeschi». Sono rimasto colpito dalla fede incrollabile nella convinzione che la leva della politica monetaria da sola non può farcela a salvare l'Italia (e fin qui ci siamo), ma anche in una invocata politica di aggiustamento che passa sempre (e solo) dalla unificazione delle manovre fiscali, dal taglio del costo del lavoro e del debito pubblico che «è lì, ci strozza» e per questo va ridotto subito drasticamente. Non ci sente proprio dall'orecchio di una politica europea di sviluppo che ponga al centro della sua azione gli investimenti in conoscenza e nelle grandi reti materiali e immateriali, si doti di un suo esercito, aiuti a sbloccare il credito impossibile per gran parte dell'economia reale italiana, si renda conto della necessità di arginare e curare la ferita democratica che si è aperta nei popoli del Sud Europa.
Il messaggio è essenzialmente uno: l'Italia può uscire dalla crisi da sola, può e deve farcela da sola; più "droga" le viene somministrata e più aumentano le possibilità che non faccia le riforme di cui ha vitale bisogno per ritrovare un percorso condiviso di rinascita.
Nemmeno le aree crescenti di dissenso verso l'Europa e l'euro, con formazioni politiche partite da zero e ritrovatesi al primo posto nel nostro Paese come nel caso dei grillini, spingono a una riflessione autocritica e suggeriscono di cambiare rotta a favore di un'Europa che completi (davvero) il suo disegno politico e ritrovi lo spirito solidale dei suoi fondatori.
«Non voglio un'Europa germanica ma una Germania europea» ripete spesso Helmut Kohl, un grande tedesco che ha fatto la storia e vive su una sedia a rotelle, è uscito dalla politica ma la sua casa è meta di un pellegrinaggio permanente, arriva tanta gente, è circondato da affetto.
Penso a Kohl, al suo sogno (realizzato) di mettere sul conto delle famiglie e delle imprese tedesche della Germania dell'Ovest la crescita della Germania dell'Est, e chiedo a Weidmann: «Quando scade la tassa di solidarietà pari al 5,5% dell'imposta sui redditi?».
Risposta: «Nel 2019, ogni tanto i liberali cercano di toglierla, ma è sempre lì.
In compenso il Pil pro capite dell'Est è l'80% di quello dell'Ovest».
Pensate che cosa sarebbe successo in Italia se, nel Dopoguerra, si fosse deciso di imporre un prelievo trentennale sull'imposta dei redditi del Nord per finanziare la crescita del Mezzogiorno italiano. Il prelievo non c'è stato, il contributo pubblico infinitamente inferiore è stato in parte sprecato, l'unificazione economica italiana, a differenza di quella tedesca, è tragicamente lontana.
Basta, forse ha proprio ragione Romano Prodi. Bisogna che Francia, Italia e Spagna si facciano sentire e impongano alla Germania della Merkel di recuperare lo spirito di Kohl e di cambiare politica in Europa.
Il punto è che la storia di queste alleanze dimostra che, alla prova dei fatti, il fronte si disunisce e l'obiettivo non viene raggiunto.
Ci auguriamo ovviamente il contrario. C'è un punto, però, che riguarda solo noi e non può essere aggirato.
Dobbiamo fare le cose difficili, non quelle facili. Dalla revisione selettiva dei meccanismi di spesa pubblica dei flussi correnti improduttivi devono uscire le risorse per ridurre il peso dei prelievi fiscali e contributivi che rischia di schiacciare la parte più sana e combattiva dell'economia reale italiana.
Bisogna avere il coraggio di usare fino in fondo la leva fiscale (alla fine le entrate aumenteranno) per incentivare la ricerca tecnica e scientifica e l'investimento in cultura che sono un tutt'uno con la salvaguardia e il consolidamento del made in Italy e della forza storica del suo brand nel mondo. Il 10% delle risorse che verranno da una buona spending review devono andare alla riduzione del debito pubblico perché dobbiamo essere seri al punto da chiedere e ottenere rispetto per un'economia e un patrimonio nazionali che non possono essere mortificati o svenduti sull'altare miope di un eccesso di rigore. Dobbiamo prendere coscienza che, purtroppo, dalla crisi non siamo mai usciti e nessun populismo ci può regalare la scorciatoia italiana di turno.
Dobbiamo prendere coscienza che, senza che nessuno denunci la crisi, è il sistema che sta entrando in crisi. Dobbiamo prendere coscienza (fino in fondo) di tutto ciò per potere reagire facendo a testa alta le cose che sappiamo di dover fare.
Chi spiegherà agli italiani che devono diventare, nel loro interesse, un po' più tedeschi e chi spiegherà ai tedeschi che devono diventare un po' più europei non per fare un favore a noi ma a loro?
Ha accettato l'invito di incontrarci e si è presentato a Milano in una giornata fredda e chiara, alla sede del Sole 24 Ore a Milano in via Monte Rosa, poco dopo le dieci del mattino e ci è rimasto fino alle sedici.
L'ex consigliere economico del cancelliere tedesco Angela Merkel, Jens Weidmann, da due anni e mezzo presidente della Bundesbank, ha risposto a tutte le domande (vedi a fianco l'intervista curata da Alessandro Merli) e non ha esitato un solo secondo a sottolineare che i governatori sono di nomina politica, Hans Tietmeyer era sottosegretario alle Finanze quando è entrato nel consiglio della banca centrale tedesca e lui stesso dalla Merkel ci è andato in prestito proprio dalla Bundesbank. Se penso a quante discussioni, a mio avviso pertinenti, sono state fatte in Italia ogni volta che si è ventilata la scelta di un governatore della Banca d'Italia con incarichi di nomina politica, mi viene istintivo di ragionare sul fatto che a volte siamo i peggiori venditori di noi stessi.
Ho avvertito l'ostinazione dell'uomo quando ha puntigliosamente ribadito che la "droga" della Bce è servita a stabilizzare i mercati e a comprare tempo, ma potrebbe farci ritrovare tra due o tre anni in un nuovo punto di partenza peggiore di quello del novembre del 2011. Un modo come un altro per ricordare una posizione storica della Bundesbank: è vero che il sentimento europeo è messo a dura prova dalla crisi che si "nutre" di mancanza di fiducia e di inimicizia, ma è altrettanto vero che, alla lunga, risulterà ancora più colpevole il comportamento di chi fa credere che c'è un rimedio facile, veloce, ai problemi di ieri e di oggi finendo con il creare un problema più grande dopo, si materializzerà contro «i propri politici nazionali e contro di noi perché la colpa è sempre dei vicini, soprattutto se tedeschi». Sono rimasto colpito dalla fede incrollabile nella convinzione che la leva della politica monetaria da sola non può farcela a salvare l'Italia (e fin qui ci siamo), ma anche in una invocata politica di aggiustamento che passa sempre (e solo) dalla unificazione delle manovre fiscali, dal taglio del costo del lavoro e del debito pubblico che «è lì, ci strozza» e per questo va ridotto subito drasticamente. Non ci sente proprio dall'orecchio di una politica europea di sviluppo che ponga al centro della sua azione gli investimenti in conoscenza e nelle grandi reti materiali e immateriali, si doti di un suo esercito, aiuti a sbloccare il credito impossibile per gran parte dell'economia reale italiana, si renda conto della necessità di arginare e curare la ferita democratica che si è aperta nei popoli del Sud Europa.
Nemmeno le aree crescenti di dissenso verso l'Europa e l'euro, con formazioni politiche partite da zero e ritrovatesi al primo posto nel nostro Paese come nel caso dei grillini, spingono a una riflessione autocritica e suggeriscono di cambiare rotta a favore di un'Europa che completi (davvero) il suo disegno politico e ritrovi lo spirito solidale dei suoi fondatori.
«Non voglio un'Europa germanica ma una Germania europea» ripete spesso Helmut Kohl, un grande tedesco che ha fatto la storia e vive su una sedia a rotelle, è uscito dalla politica ma la sua casa è meta di un pellegrinaggio permanente, arriva tanta gente, è circondato da affetto.
Penso a Kohl, al suo sogno (realizzato) di mettere sul conto delle famiglie e delle imprese tedesche della Germania dell'Ovest la crescita della Germania dell'Est, e chiedo a Weidmann: «Quando scade la tassa di solidarietà pari al 5,5% dell'imposta sui redditi?».
Risposta: «Nel 2019, ogni tanto i liberali cercano di toglierla, ma è sempre lì.
In compenso il Pil pro capite dell'Est è l'80% di quello dell'Ovest».
Pensate che cosa sarebbe successo in Italia se, nel Dopoguerra, si fosse deciso di imporre un prelievo trentennale sull'imposta dei redditi del Nord per finanziare la crescita del Mezzogiorno italiano. Il prelievo non c'è stato, il contributo pubblico infinitamente inferiore è stato in parte sprecato, l'unificazione economica italiana, a differenza di quella tedesca, è tragicamente lontana.
Basta, forse ha proprio ragione Romano Prodi. Bisogna che Francia, Italia e Spagna si facciano sentire e impongano alla Germania della Merkel di recuperare lo spirito di Kohl e di cambiare politica in Europa.
Il punto è che la storia di queste alleanze dimostra che, alla prova dei fatti, il fronte si disunisce e l'obiettivo non viene raggiunto.
Ci auguriamo ovviamente il contrario. C'è un punto, però, che riguarda solo noi e non può essere aggirato.
Dobbiamo fare le cose difficili, non quelle facili. Dalla revisione selettiva dei meccanismi di spesa pubblica dei flussi correnti improduttivi devono uscire le risorse per ridurre il peso dei prelievi fiscali e contributivi che rischia di schiacciare la parte più sana e combattiva dell'economia reale italiana.
Bisogna avere il coraggio di usare fino in fondo la leva fiscale (alla fine le entrate aumenteranno) per incentivare la ricerca tecnica e scientifica e l'investimento in cultura che sono un tutt'uno con la salvaguardia e il consolidamento del made in Italy e della forza storica del suo brand nel mondo. Il 10% delle risorse che verranno da una buona spending review devono andare alla riduzione del debito pubblico perché dobbiamo essere seri al punto da chiedere e ottenere rispetto per un'economia e un patrimonio nazionali che non possono essere mortificati o svenduti sull'altare miope di un eccesso di rigore. Dobbiamo prendere coscienza che, purtroppo, dalla crisi non siamo mai usciti e nessun populismo ci può regalare la scorciatoia italiana di turno.
Dobbiamo prendere coscienza che, senza che nessuno denunci la crisi, è il sistema che sta entrando in crisi. Dobbiamo prendere coscienza (fino in fondo) di tutto ciò per potere reagire facendo a testa alta le cose che sappiamo di dover fare.
Chi spiegherà agli italiani che devono diventare, nel loro interesse, un po' più tedeschi e chi spiegherà ai tedeschi che devono diventare un po' più europei non per fare un favore a noi ma a loro?
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