In una
delle lettere (la settima del terzo libro), Seneca esorta il suo amico
Lucilio, lo esorta a cambiare l'anima e non il cielo sotto cui vive.
I
viaggi, le distrazioni, ma anche la carriera professionale non possono
cambiarci veramente.
Inizia
con una frase chiara ed esplicita: "Tu credi che sia capitato solo a
te, e ti meravigli come di un fatto strano di non esser riuscito a liberarti
della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi
visitati. Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi."
Le
parole di Seneca sono davvero attuali, soprattutto pensando che oggi viviamo in
un mondo frenetico, in una società complessa che sembra offrire innumerevoli
possibilità anche per il nostro mutamento interiore.
In
realtà non è così: Seneca, infatti, incalza con questa ulteriore riflessione:
"Tu corri qua e là per cacciare via il peso che ti opprime e che
diventa più gravoso col tuo stesso agitarti. Similmente sulla nave il carico
esercita minore pressione se è ben fissato, mentre se si sposta disordinatamente,
fa sommergere il fianco su cui viene a gravare. Qualunque cosa tu faccia, la
fai a tuo danno; e con lo stesso movimento ti danneggi, perché scuoti un
ammalato."
Spesso
corriamo inutilmente da un luogo all'altro, da un'attività all'altra, pensando
di vincere le nostre tristezze, di dimenticare i nostri vizi. Ma legare l'anima
ad un luogo, ad una pur brillante carriera lavorativa, ad una scintillante
"vita di società", è destinato inevitabilmente al fallimento: "Potrai
anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare: ogni luogo,
qualunque esso sia, sarà per te ospitale. L'importante è sapere con quale
spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo legare l'animo a nessun
luogo."
Ecco
la traduzione in italiano, e – di seguito – il testo originale in latino:
potrebbe anche essere lo spunto per un esercizio di traduzione …
Lucio
Anneo Seneca, “LETTERE A LUCILIO” (Libro III, Lettera XXXVIII): "E`
l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi"
Tu credi che sia capitato solo a
te, e ti meravigli come
di
un fatto strano di non essere riuscito a liberarti della tristezza e della
noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati.
Il tuo spirito devi mutare, non
il cielo sotto cui vivi.
Anche se attraversi il vasto
oceano; anche se, come dice il nostro Virgilio, "ti lasci dietro terre
e città", dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi.
Disse Socrate ad uno che si
lamentava per lo stesso motivo: "Perché ti meravigli che non ti giovino
i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t'incalza cioè sempre lo stesso
male che t'ha spinto fuori".
Che giovamento può darti la
varietà dei paesaggi o la conoscenza di città e luoghi nuovi?
Tale sballottamento non serve a
nulla. Chiedi perché tu non trovi sollievo nella fuga?
Perché tu fuggi sempre in
compagnia di te stesso. Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il
peso che hai nell'animo.
Pensa che il tuo stato
corrisponde a quello che il nostro Virgilio attribuisce alla profetessa invasata
dal nume, traboccante di un'ispirazione che non procede da lei: "La
profetessa si dibatte furiosa, nello sforzo di scuotere da sé l'azione del dio".
Tu corri qua e là per cacciare
via il peso che ti opprime e che diventa più gravoso col tuo stesso agitarti.
Similmente sulla nave il carico
esercita minore pressione se è ben fissato, mentre, se si sposta
disordinatamente, fa sommergere il fianco su cui viene a gravare.
Qualunque cosa tu faccia, la fai
a tuo danno; e con lo stesso movimento ti danneggi, perché scuoti un ammalato.
Ma quando tu riuscissi ad
estirpare codesto male, ogni cambiamento di luogo ti sarà piacevole. Potrai
anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare; ogni luogo,
qualunque esso sia, sarà per te ospitale.
L'importante è sapere con quale
spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo legare l'animo a
luogo alcuno.
Bisogna vivere con questa
persuasione: "Non sono nato per attaccarmi a un posto. La mia patria è
l'universo intero".
Se la cosa fosse chiara alla tua
mente, non ti meraviglieresti che non ci dia giovamento la varietà delle
regioni in cui ti sposti, sempre annoiato delle precedenti.
Ti sarebbe piaciuta la prima in
cui fossi capitato, se ogni regione la considerassi tua. Ora tu non viaggi, ma
vai errando e sei spinto a passare da un luogo a un altro, mentre quello che
cerchi, la felicità, si trova in ogni luogo.
Qual luogo può esser più
turbolento del foro? Eppure anche li si può trovare il modo di vivere
tranquilli.
Ma se mi fosse consentito di
disporre di me liberamente, fuggirei lontano anche dalla vista e dalle
vicinanze del foro.
Come i luoghi malsani minacciano
anche la salute più solida, cosi anche per un animo buono, ma non ancora maturo
e saldo, alcuni posti sono poco salubri.
Non approvo coloro che si gettano
in mezzo ai flutti e preferiscono una vita tumultuosa, perciò lottano
coraggiosamente con le difficoltà di ogni giorno. Il saggio le saprà tollerare,
ma non le cercherà, e vorrà vivere in pace piuttosto che nei contrasti.
Non giova molto essersi liberato
dai propri vizi, se bisogna poi combattere con quelli degli altri.
Tu dirai: "Trenta tiranni
vissero intorno a Socrate, ma non riuscirono a fiaccarne l'animo". Che
conta quanti siano i tiranni? La schiavitù è una e chi l'ha disprezzata è
libero, qualunque sia il numero dei padroni.
Devo ormai concludere, ma non
senza aver pagato la mia tassa.
"La conoscenza dei propri
difetti è l'inizio della guarigione". Mi sembra che questo motto di
Epicuro sia molto giusto.
Chi non sa di peccare non può
correggersi. Prima di emendarsi, occorre essersi accorti del fallo.
Alcuni si gloriano dei vizi; ma,
se li annoverano fra le virtù, come possono pensare alla guarigione?
Perciò, per quanto puoi, accusati
da te, esamina le tue colpe. Prima esercita la funzione di accusatore, poi
quella di giudice; e in ultimo quella di avvocato difensore.
All'occorrenza, sappi anche
infliggerti una condanna. Addio".
Ecco
il testo latino
XXVIII.
SENECA LUCILIO SUO SALUTEM
[1]
Hoc tibi soli putas accidisse et admiraris quasi rem novam quod peregrinatione
tam longa et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque
mentis? Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet,
ut ait Vergilius noster, terraeque urbesque recedant, sequentur te quocumque
perveneris vitia.
[2]
Hoc idem querenti cuidam Socrates ait, 'quid miraris nihil tibi peregrinationes
prodesse, cum te circumferas? premit te eadem causa quae expulit'. Quid
terrarum iuvare novitas potest? quid cognitio urbium aut locorum? in irritum
cedit ista iactatio. Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis. Onus
animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus.
[3]
Talem nunc esse habitum tuum cogita qualem Vergilius noster vatis inducit iam
concitatae et instigatae multumque habentis se spiritus non sui:bacchatur
vates, magnum si pectore possit excussisse deum.
Vadis huc illuc ut excutias insidens pondus quod ipsa iactatione incommodius fit, sicut in navi onera immota minus urgent, inaequaliter convoluta citius eam partem in quam incubuere demergunt. Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis.
Vadis huc illuc ut excutias insidens pondus quod ipsa iactatione incommodius fit, sicut in navi onera immota minus urgent, inaequaliter convoluta citius eam partem in quam incubuere demergunt. Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis.
[4] At cum istuc exemeris malum, omnis mutatio loci
iucunda fiet; in ultimas expellaris terras licebit, in quolibet barbariae
angulo colloceris, hospitalis tibi illa qualiscumque sedes erit. Magis
quis veneris quam quo interest, et ideo nulli loco addicere debemus animum. Cum
hac persuasione vivendum est: 'non sum uni angulo natus, patria mea totus hic
mundus est'.
[5]
Quod si liqueret tibi, non admirareris nil adiuvari te regionum varietatibus in
quas subinde priorum taedio migras; prima enim quaeque placuisset si omnem tuam
crederes. Nunc <non> peregrinaris sed erras et ageris ac locum ex loco
mutas, cum illud quod quaeris, bene vivere, omni loco positum sit.
[6]
Num quid tam turbidum fieri potest quam forum? ibi quoque licet quiete vivere,
si necesse sit. Sed si liceat disponere se, conspectum quoque et viciniam fori
procul fugiam; nam ut loca gravia etiam firmissimam valetudinem temptant, ita
bonae quoque menti necdum adhuc perfectae et convalescenti sunt aliqua parum
salubria.
[7]
Dissentio ab his qui in fluctus medios eunt et tumultuosam probantes vitam
cotidie cum difficultatibus rerum magno animo colluctantur. Sapiens feret ista,
non eliget, et malet in pace esse quam in pugna; non multum prodest vitia sua
proiecisse, si cum alienis rixandum est.
[8] 'Triginta' inquit 'tyranni Socraten
circumsteterunt nec potuerunt animum eius infringere.' Quid interest
quot domini sint? servitus una est; hanc qui contempsit in quanta libet turba
dominantium liber est.
[9]
Tempus est desinere, sed si prius portorium solvero. 'Initium est salutis
notitia peccati.' Egregie mihi hoc dixisse videtur Epicurus; nam qui peccare se
nescit corrigi non vult; deprehendas te oportet antequam emendes.
[10]
Quidam vitiis gloriantur: tu existimas aliquid de remedio cogitare qui mala sua
virtutum loco numerant? Ideo quantum potes te ipse coargue, inquire in te;
accusatoris primum partibus fungere, deinde iudicis, novissime deprecatoris;
aliquando te offende.
Vale.
Mi associo ai saluti di Seneca, per tutti i lettori.
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