Quella rivoluzione dottrinale che spaventa la gerarchia
L’intervista del Papa a La
Stampa fa il giro del mondo: il commento di Rusconi
di Gian Enrico Rusconi, 16 dic 2013
È spiazzante nella
comunicazione pastorale.
E non mette mai in forse la correttezza dottrinale. Papa
Bergoglio è suggestivo nel suo stile personale di esprimersi, ma controllato,
persino sofisticato, nel mantenere le posizioni tradizionali su punti
controversi. Prendiamo uno dei passaggi più ironici, breve ma significativo,
della sua intervista alla Stampa: «Le donne nella Chiesa devono essere
valorizzate, non clericalizzate, facendole magari cardinali».
L’arguzia dell’affermazione evade la sostanza di un
problema dottrinale irrisolto. Mi sarei atteso che Papa Francesco dicesse: la
donna collocata in posti decisionali e in ruoli istituzionali essenziali, potrà
de-clericalizzare la Chiesa così come è oggi. Perché non ha detto così? Si
tratta di un limite personale o del timore che una autentica innovazione su
questo tema (che implica una seria rivisitazione storico-dottrinale) sarebbe
intollerabile per molti esponenti della gerarchia?
Papa Francesco non è un ingenuo. È consapevole di
muoversi su un crinale fragilissimo: la sua innovazione espressiva nella
pastorale non è un “aggiornamento” vecchia maniera. Molte delle sue parole hanno
un potenziale innovatore che entusiasma ed emoziona - in modo confuso - ampi
strati di popolazione, fedeli credenti e fedeli critici o disillusi. Ma
contemporaneamente inquieta molta parte della gerarchia che non sa decifrare
l’esito di questa emozione collettiva .
Ma il Pontefice non vuole affatto creare tensioni o
divisioni all’interno della Chiesa. Al contrario, come nessun altro dei suoi
predecessori intende valorizzare al massimo le forme di collegialità esistenti.
Prende molto sul serio il fatto che la problematica, apparentemente minore della
comunione ai credenti divorziati risposati, e quella assai più impegnativa di
una riflessione sulla famiglia, sia affidata alla risoluzioni del Sinodo del
2014. Non alla autorevolezza della sua parola ma a processi di convincimento
della comunità dei fedeli sotto la guida dei suoi pastori.
E’ una prospettiva interessante, anche se non credo che
verranno fuori novità. Ma sarà già importante che a livello di società civile,
di dibattito pubblico e soprattutto di normative giuridiche sparisca lo spirito
falsamente militante (legato all’uso e abuso della formula dei “valori non
negoziabili”) a favore di un confronto più maturo e ragionevole fra tutti i
cittadini, credenti e non credenti.
Come si lega tutto questo alle suggestive parole di Papa
Bergoglio sulla “tenerezza” e “la speranza” che è la parte centrale del suo
discorso? Sarebbe facile considerare questa parte una edificante predica
natalizia, meno concreta ad esempio delle puntualizzazioni con cui respinge il
presunto marxismo della sua posizione, rivendicando l’anticapitalismo della
dottrina sociale della Chiesa. Ma l’affermazione «quando i cristiani si
dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda che
non sa dove andare e si imbroglia», introduce considerazioni di sapore mistico
che sono tipiche dello stile di Francesco. Non solo la quasi palpapile
«tenerezza di Dio che ti accarezza» ma anche la dimensione opposta, dura, di Dio
che non parla davanti al perché della sofferenza «Lui non spiega niente. Ma
sento che mi guarda. Tu non me lo dici, ma mi guardi».
Il dramma antico dell’ inspiegabilità del dolore, che
omologa credente e non credente, trova qui la sua via di fuga. Che un Papa
sappia trovare le parole giuste in una intervista ad un giornale e più in
generale padroneggiando con perizia il circuito mediatico, fa parte della
personalità di Bergoglio. Che questa sia la strada per evitare una “Chiesa
fredda” è tutto da verificare.
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