Da La Voce di Fiore
In principio era il Logos. Ermeneutica e Sacre Scritture...
PICCHIARE LE DONNE.
DIO, UOMINI E DONNE: "DARABA".
LALEH BAKHTIAR TRADUCE IL CORANO E SPOSTA LE MONTAGNE DEL SIGNIFICATO.
Mentre il cattolicesimo-romano parla ancora e solo di "guai ai vinti" e di "caro prezzo" (=caritas), il mondo islamico ri-scopre l’amore (= charitas) della Parola e illumina il mondo
[...] Daraba in arabo significa principalmente "picchiare", "battere": è solo la terza persona di un passato, l’equivalente di un infinito per l’italiano, ma per secoli è stata, a seconda dei punti di vista, una parola d’ordine, un precetto sacro, uno spauracchio da temere. Nella Sura (capitoli, a loro volta suddivisi in versetti) 4 del Corano, "daraba" è quello che Allah, tramite Maometto, dice agli uomini di fare alle mogli che non ubbidiscono, dopo aver provato ad ammonirle e a farle dormire in luoghi separati: "Battetele" [...]
Laleh che legge il Corano
POLEMICHE
Una nuova traduzione del libro di Allah
nega che Maometto predicasse di picchiare le mogli.
La firma una studiosa iraniana. E negli Usa è diventata un caso
di Francesca Caferri *
Laleh Bakhtiar lavorava già da due anni alla sua traduzione del Corano quando ha pensato di smettere. A bloccarla una sola parola. Anzi, un verbo: daraba. "Non sapevo davvero cosa fare", racconta oggi, "erano anni che inserivo ogni singola parola del Corano in un database, da cui poi programmavo di ripescarle a una a una e arrivare a una traduzione "scientifica" del libro sacro. Ma di fronte a daraba mi sono arenata e ho pensato di buttare via tutto". Daraba in arabo significa principalmente "picchiare", "battere": è solo la terza persona di un passato, l’equivalente di un infinito per l’italiano, ma per secoli è stata, a seconda dei punti di vista, una parola d’ordine, un precetto sacro, uno spauracchio da temere. Nella Sura (capitoli, a loro volta suddivisi in versetti) 4 del Corano, "daraba" è quello che Allah, tramite Maometto, dice agli uomini di fare alle mogli che non ubbidiscono, dopo aver provato ad ammonirle e a farle dormire in luoghi separati: "Battetele".
Per secoli, questo versetto è stato l’appiglio usato da molti musulmani per usare violenza alle mogli. "Ma io ci ho pensato. Secondo la tradizione, Maometto non ha mai picchiato nessuna delle sue mogli: quando ha avuto diverbi con loro le ha allontanate, ma mai le ha battute. E poi l’Islam è compassione: non potevo credere che Allah imponesse di usare la violenza sulle donne", spiega ancora Bakhtiar. Così, rovistando con cura tra le pagine del dizionario, ha cercato altri significati e ha trovato "mandare via". Da questa sottigliezza linguistica è nata la sua personale rivoluzione cartesiana: una nuova edizione del Corano in lingua inglese che nega agli uomini la possibilità di picchiare le donne.
Arrivata in libreria negli Stati Uniti in aprile, la traduzione del Corano di Laleh Bakhtiar ha creato non poche discussioni in America, riaprendo il dibattito su un tema molto sentito nell’Islam: è possibile "rileggere" il Corano dopo tanti secoli? C’è ancora spazio per nuove interpretazioni della parola di Allah? Secondo i tradizionalisti no: "chiusura delle porte dell’ijthiad" è l’espressione con cui gli esperti spiegano la fine della possibilità di dire qualcosa di nuovo - letteralmente, di interpretare - sul testo sacro dei musulmani. Per tradizione, questa chiusura si situa intorno al XII secolo: da allora, ripetono i sostenitori di questa idea, qualunque cosa sul Corano è già stata detta, e non è lecito discostarsi dalle interpretazioni classiche.
Negli ultimi anni molti hanno provato a riaprire le porte. Il caso più clamoroso è quello di Nasr Abu Zayd, uno dei massimi intellettuali musulmani contemporanei, costretto nel 1995 a lasciare il suo Paese dopo essere stato condannato per apostasia: la sua colpa era quella di voler inquadrare il Corano nell’epoca in cui fu scritto, per distinguere le verità assolute, quelle della fede, dalle norme relative ai tempi di Maometto e oggi non più attuali. Due casi diversi, ma che si possono inserire nella stessa tendenza: "Si tratta di applicare al Corano le norme dell’ermeneutica, per arrivare ad attualizzarne il messaggio", spiega Maria Luisa Albano, docente di lingua e letteratura araba all’università di Macerata ed esperta di letteratura islamica femminile. "È parte di un movimento riformista che sta acquistando forza fra gli intellettuali, ma non funziona in un mondo islamico ancora molto chiuso". Per Albano, così come per altri esperti, "picchiare" è il senso primario di daraba in arabo, ma questo non esclude che non ci sia spazio per altre interpretazioni.
"Più di uno studioso in America ha già detto che tradurre daraba con "mandare via", invece che "picchiare" è ammissibile", dice Margot Badran, membro del Center for Muslim-Christian Understanding alla Georgetown University, specializzata in studi di genere nelle società musulmane, "ma per me il senso più importante di questo nuovo Corano non è tanto nella singola parola, quanto nel dibattito che ha suscitato".
Per Badran il fatto che sull’opera della Bakhtiar si sia accesa una discussione tanto forte è il segno che è forte l’esigenza di ridiscutere verità per lungo tempo date per scontate. "La maggior parte delle traduzioni del Corano in inglese non rispecchiano la lingua dei nostri giorni", prosegue la docente, "molte parlano di "uomo" quando il concetto che il testo vuole esprimere è "essere umano". Ben venga dunque una traduzione attenta alle donne. È un bene, e non solo per le fedeli: questo nuovo testo spinge tutti a interrogarsi e a provare a tornare alle origini del messaggio coranico".
___
Perché Maometto non ha mai battuto le sue mogli
Lo scopo iniziale era fare una versione del Corano accessibile a tutti: musulmani e non, rendendo il messaggio del Profeta in un inglese il più possibile vicino a quello contemporaneo. Una volta completata, l’opera è diventata però oggetto di discussione, e non solo fra gli specialisti di scienze islamiche. E Laleh Bakhtiar, 68 anni, origini iraniane e passaporto americano, autrice e traduttrice di una ventina di volumi sull’Islam, si è trovata al centro di una discussione sempre più accesa, quella sulle donne e il loro rapporto con la religione del Profeta. Al telefono dal suo ufficio di Chicago spiega perché il caso attorno al suo libro fosse inatteso e come però sia ben lieta del dibattito che si è scatenato.
Come mai ha sentito l’esigenza di tradurre di nuovo il Corano? In fondo ne esistono già decine di versioni in inglese: è partita con l’idea di un approccio "femminile"?
"No, affatto. Volevo solo fare una versione accessibile a tutti. Tutte quelle che avevo letto, ed erano decine, mi erano sembrate "respingenti" nei confronti dei non musulmani, difficili, troppo letterarie: io ho voluto dare vita a una traduzione che fosse apprezzabile per tutti, non solo per chi conosce già l’Islam. Ci ho lavorato per sette anni: al secondo, quando mi sono scontrata con daraba, ho pensato di smettere. Oggi sono felice di aver proseguito".
Parliamo appunto di questa parola: come è arrivata a tradurla con "mandar via", quando invece per secoli è stata letta come "picchiare"?
"Ho guardato nelle tremila pagine del vocabolario di Edward William Lane. E ho trovato che daraba vuol dire sì picchiare, ma anche "mandare via". Ho pensato che fosse proprio questo quello che Maometto voleva dire: "mandate vie" le mogli con cui non andate d’accordo, non certo "picchiatele". Del resto, Maometto non ha mai picchiato le sue mogli".
Come di certo saprà, a marzo un giudice tedesco ha assolto un tedesco-marocchino che aveva picchiato la moglie motivando la scelta proprio con il versetto della Sura 4 del Corano. E se davvero invece di "picchiate" Maometto avesse voluto dire "allontanate"? Il giudice, e tanti prima di lui, avrebbe fatto un grosso errore...
"Niente se. Io sono certa che il Profeta non volesse dire di picchiare le donne. C’è un altro verso del Corano, nella Sura 2, di cui nessuno contesta il significato, che dice che se un marito vuole divorziare lo deve fare in modo equo e umano, e che la donna non deve subire abusi né essere trattata con la forza anche se è lei a voler divorziare. Basta leggere questo per capire il resto: se una donna che divorzia non può essere maltrattata, perché dovrebbe esserlo una moglie che disubbidisce? Se così fosse, il Corano promuoverebbe il divorzio invece del matrimonio. Quando ho riflettuto su questo, mi è stato chiaro che l’interpretazione corrente di daraba era sbagliata".
La sua interpretazione è piuttosto contestata, lo sa?
"Certo che lo so. Ma io non voglio fare nessuna rivoluzione, dico soltanto che quella parola ha 25 significati, che secoli fa è stato scelto quello che parla di violenza e che da allora è stata seguita questa traduzione: io non contesto il Corano, contesto una certa interpretazione che ne è stata data e che secondo me, dopo tanti secoli, va guardata con spirito critico, non accettata in maniera pedissequa". Perché nessuno lo ha fatto prima di lei? "In molti lo hanno fatto, su molte parti diverse del Corano. Io mi sono concentrata su questa e sono arrivata a questa conclusione. In linea generale posso dirle che molte autorità religiose non vogliono cambiare lo status quo che è stato loro insegnato e che insegnano: quindi contestano chiunque provi a interpretare il Corano in modo diverso dalla tradizione".
I suoi contestatori dicono anche che lei non parla davvero arabo.
"Io sono iraniana di origine e cittadina americana. Ho imparato l’arabo letterario anni fa, per il mio lavoro di traduttrice. Ho tradotto decine di libri: capisco e leggo senza nessun problema l’arabo classico". L’hanno criticata in tanti? "Sì, ma ho anche incontrato molte persone che mi hanno espresso gratitudine. La prima volta che ho parlato della mia traduzione, è stato a una conferenza del Wise, Women’s islamic initiative in spirituality and equity, lo scorso novembre a New York. C’erano 150 donne arrivate da tutto il mondo, la maggior parte aveva meno di trent’anni: erano credenti come me, e avevano, come me, entusiasmo e orgoglio per la nostra fede comune. Erano entusiaste del mio lavoro. Le donne sono una parte importante dell’Islam, ma hanno bisogno di spazio e voce. Molte mi hanno raccontato di essersi riavvicinate alla religione dopo l’11 settembre, perché si erano sentite insultate da persone che dicevano di agire in nome dell’Islam. È di credenti come loro che è fatto l’Islam oggi. Anche io sono credente: credo e accetto la parola di Dio e la metto in atto con più amore oggi che so che non ha mai detto di picchiare le donne. So che molte persone non sono d’accordo, ma spero che rispettino il punto di vista di una credente".
Cosa c’è di diverso nella sua versione del Corano rispetto alle altre, daraba a parte?
"Ho usato un metodo di traduzione diverso da quelli tradizionali. Per cinque anni ho tradotto una per una le parole del Corano, che sono 90mila, e creato un database: negli ultimi due anni di lavoro ho ricomposto il testo. In questa maniera ho dato a ogni parola il suo significato originario e non mi sono persa in sinonimi che alla lunga diventano fuorvianti: ho rispettato alla lettera lo spirito del testo. Ho scelto di usare termini non violenti, o non respingenti: kufar, che molti hanno tradotto come miscredenti o infedeli, io l’ho reso come ingrati. Sono sempre quelli che non accettano il messaggio di Dio, ma il termine è meno spiacevole. Ho tradotto i nomi dei profeti e degli uomini santi dell’ebraismo e del cristianesimo: Musa e Issa sono Mosè e Gesù. E ho scritto "Dio" invece di "Allah" perché questo è il significato della parola in arabo e penso che così tutti possano sentirla un po’ più vicina a loro. Infine sono stata molto attenta a trasmettere la moralità che c’è nel Corano. È quello che secondo me si perde in molte traduzioni: non riescono a rendere il disegno globale di compassione e amore del nostro libro sacro. E invece è proprio questo quello che c’è bisogno di sottolineare oggi, perché gli estremisti hanno invaso il campo e loro non danno certo un’immagine morale dell’Islam".
Non ha paura che possano prenderla di mira per queste sue parole e per la sua opera?
"Io sono credente: quindi non ho paura. Credo nella volontà di Dio".
Sul tema, si cfr. anche:
Il ministro sottolinea come le violenze sulle donne non derivino
dalle religioni, ma dalle tradizioni culturali di alcuni paesi
Amato: "Picchiare le donne
è tradizione siculo-pakistana"
Prestigiacomo: "Straparla, chieda scusa o lo querelo"*
ROMA - "Nessun Dio autorizza un uomo a picchiare la donna. E’ una tradizione siculo-pakistana che vuole far credere il contrario". Lo ha detto il ministro dell’Interno Amato nel suo intervento al convegno su Islam e integrazione. Amato ha più volte ricordato come solo fino agli anni ’70 si trovavano in Sicilia costumi e tradizioni non molto distanti da quelle che ora in Italia sono importate dagli immigrati di certi gruppi musulmani.
Il ministro ha sottolineato nel suo intervento che l’integrazione "passa anche di qua: attribuire alla tradizione ciò che appartiene alla tradizione che non vuol dire negare Dio" ma semmai "l’io" che domina negli atteggiamenti patriarcali e maschilisti. Dobbiamo evitare di imputare a Dio - ha ribadito - il Dio dei cristiani e dei musulmani, che in realtà è lo stesso, ciò che è da imputare invece agli uomini".
Il ministro dell’Interno ha poi sottolineato come sia necessario evitare, quando pensiamo agli immigrati e in particolare ai musulmani, di avere di fronte dei "blocchi umani" invece che singole persone. "Non esiste il concetto noi contro gli altri - ha sottolineato - se lo deve cacciare fuori di testa tutto l’occidente: ognuno di noi è diverso e questo è importante soprattutto quando si parla di Islam", ha evidenziato, ricordando come questa religione non abbia una autorità gerarchica unica ma una pluralità di voci al suo interno. "Noi siamo gelosi della nostra identità - ha concluso - e ciascuno ha diritto alla sua".
Parole che hanno scatenato l’ira dell’ex ministro delle Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo (che è di Siracusa): "Amato straparla. Chieda subito scusa ai siciliani o lo querelo". Le fa eco Ignazio La Russa, An, anche lui di origini siciliane: "Amato ha compiuto un’operazione inaccettabile per servilismo culturale". Affermazioni "molto gravi" perché "offende la Sicilia, che fa parte dell’Italia", poi perché "vengono offese le stesse donne siciliane". Alessandra Mussolini, segretario nazionale di Azione Sociale ed europarlamentare di Alternativa Sociale. Sandro Bondi, coordinatore di FI, si interroga invece sulla salute del ministro: "Lo stesso Amato profeticamente aveva sostenuto l’impazzimento dell’Italia, pensando di esserne personalmente immune".
* la Repubblica, 11 luglio 2007