Come dichiarare i redditi di Google Adsense
5 mar 2011
Non ho aperto questo blog da moltissimo tempo, ma da ancora meno ho fatto la prima conoscenza con Google adsense. Grazie a questo programma di Google, nel mio blog, come in quello di tanti altri blogger, vengono caricati dei box pubblicitari; i blogger ricevono piccoli compensi ogni volta che i siti pubblicizzati dai link vengono visitati.
Ammetto di aver letto velocemente i termini di contratto di adsense, ma al punto 12.9 dei Termini di contratto adsense c'è scritto: “Lei dovrà pagare tutte le imposte o gli oneri applicati da qualsiasi entità governativa in relazione alla Sua partecipazione al Programma. Google non effettuerà alcun rimborso IVA nei Suoi confronti”. Perciò mi sembra corretto dire che l'imposizione fiscale si baserà esclusivamente sulla normativa fiscale italiana.
Innanzitutto c'è da dire che non è sempre necessario aprire un partita iva per svolgere un'attività lavorativa; gli esempi più importanti sono il lavoro dipendente, il lavoro occasionale, il lavoro che produce redditi diversi ecc. E a me sembra che il reddito derivante dalla pubblicità con adsense appartenga proprio a quest'ultima categoria.
Secondo quanto disposto dalla lettera l), comma 1 dell'art. 67 del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi ex d.p.r. 917/86) sono redditi diversi, tra gli altri, “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”. Personalmente ho pochi dubbi che il nostro caso si configuri come obbligo di permettere. Avete mai visto quei grandi cartelloni pubblicitari in cima ai condomini residenziali? Bene, in quei casi siamo di fronte a un tipico obbligo di permettere: il condominio si impegna a mettere a disposizione di terzi i propri spazi liberi. Lo stesso succede con i nostri blog con l'eccezione che noi mettiamo a disposizione uno spazio virtuale. Tutto qui!
Secondo quanto disposto dalla lettera l), comma 1 dell'art. 67 del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi ex d.p.r. 917/86) sono redditi diversi, tra gli altri, “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”. Personalmente ho pochi dubbi che il nostro caso si configuri come obbligo di permettere. Avete mai visto quei grandi cartelloni pubblicitari in cima ai condomini residenziali? Bene, in quei casi siamo di fronte a un tipico obbligo di permettere: il condominio si impegna a mettere a disposizione di terzi i propri spazi liberi. Lo stesso succede con i nostri blog con l'eccezione che noi mettiamo a disposizione uno spazio virtuale. Tutto qui!
Inquadrata per bene la tipologia di reddito che produciamo con Google adsense non ci resta che capire quale sarà l'imposizione fiscale per questi redditi. Come la maggior parte dei redditi sulle persone fisiche anche i redditi diversi entrano a far parte della base imponibile Irpef e tassati perciò con le aliquote del 23, 27, 38, 41 e 43 per cento. Sempre il TUIR, al comma 5 dell'art. 13 ci dice però che ai redditi di cui ala lettera l), comma 1 dell'art. 67 spetta una detrazione di 1104 euro se il reddito non supera 4800 euro. E se fate i calcoli, il 23% di 4800 è pari a 1104. Volendo semplificare tutto all'osso, si può dire con certezza che CHI RICEVE DA ADSENSE UN REDDITO ANNUO PARI O INFERIORE A 4800 EURO (e non percepisce altri redditi!) NON DEVE DICHIARARE NULLA! Quindi non c'è nessuna evasione fiscale. Occorre tenere presente che per questi redditi la normativa prevede una ritenuta del 20% che non viene effettuata perché Google si serve di una società con sede in Irlanda, quindi soggetto estero che non applica la ritenuta in questione sugli importi che ci corrisponde.
Fin qui tutto bene (citazione di un bel film francese!). Il problema si presenta quando si superano i 4800 euro annui (ma chi è che guadagna così tanto con adsense!), ma soprattutto quando si percepiscono altri redditi. Ad esempio, cosa deve fare un lavoratore dipendente che percepisce redditi da adsense? La risposta è dura: dovrebbe dichiarare tali introiti, che andrebbero a sommarsi a tutti gli altri percepiti dallo stesso soggetto. Perché utilizzo il condizionale? Perché, come hanno scritto anche altri, è vero che l'attenzione dell'Agenzia delle Entrate non si è quasi mai concentrata sul popolo degli internauti “di piccolo cabotaggio” quali noi siamo. Infatti ragazzi, diciamoci la verità, quanto riusciremo a mettere da parte con adsense nel giro di un anno? Pochissimo! E sapete quanto costa all'Agenzia distrarre risorse e uomini per recuperare quei pochi spiccioli derivanti dalla pubblicità sui nostri sconosciuti blog? Molto più di quello che possono recuperare. Insomma, fatevi due conti e tirate le somme. Io ho cominciato da poco con adsense, non ho altri redditi da dichiarare e perciò finché non arriverò a 4800 euro di pubblicità sarò con la coscienza a posto. La domanda è: quando avrò altri redditi? Quando arriveranno (se!) vedremo. Tuttavia ci tengo a precisare che il mio blog non ospiterà per molto tempo la pubblicità di Google! Credo infatti che non sia redditizia, ma soprattutto che non sia "giusta". Intendo dire che non mi sembra giusto corrispondere un certo importo al blogger solo quando la pubblicità viene cliccata. I pagamenti si dovrebbero basare quasi esclusivamente sulle visualizzazioni. Col sistema attuale invece si può ben dire che tutte le volte che un visitatore guarda la pubblicità ma non la clicca a perderci qualcosa sono solo i blogger: la pubblicità raggiunge comunque il suo scopo ma i publisher non ne traggono benefici!
Google Adsense e i redditi della pubblicità
13 gen 2012
Circa un anno fa scrissi il post Come dichiarare i redditi di GoogleAdsense in cui mi pronunciai a favore della possibilità di operare nel settore delle affiliazioni senza aprire la partita Iva. In particolare ragionai nel senso di classificare i redditi di Google Adsense, come anche quelli erogati da altre società concorrenti, come redditi diversi derivanti da un obbligo di permettere. Da allora ho ricevuto numerose critiche (che accetto volentieri!) e credo sia arrivato il momento di fare chiarezza sulla mia posizione, che ricordo a tutti, non va intesa come consulenza fiscale professionale, perlomeno non in questa sede.
Secondo l'articolo 3 del decreto Iva 633/1972 si considerano prestazioni di servizi «le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte» e quindi risulta chiaro che il reddito derivante da obbligo di permettere è rilevante ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
Ciononostante è in ragione della non abitualità della prestazione del servizio che può essere giustificato il conseguimento di un reddito diverso ex art. 67 del Tuir senza necessità di posizione identificativa Iva.
Attenzione perché quando si parla di non abitualità non occorre cristallizzarsi sul significato temporale del termine, risultando utile una sua analisi anche in termini di professionalità delle prestazioni rese.
Poiché la discussione sul tema ruota intorno all'apertura o meno della partita Iva, nessun testo normativo può rivelarsi più utile del decreto Iva 633/72.
Il primo articolo del citato decreto solennemente dichiara che «l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o nell'esercizio di arti e professioni […]». Proviamo allora a capire cosa intende il legislatore per “esercizio di imprese” ed “esercizio di arti e professioni”.
Riguardo alla prima delle due attività, l'articolo 4 recita che «per esercizio di imprese si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali […]» di cui all'articolo 2195 del codice civile; riguardo invece alla seconda attività, l'articolo 5 recita che «per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche […]».
Arrivati sin qui la questione si restringe come fosse un collo di bottiglia che infine ci conduce a valutare caso per caso la sussistenza o meno dell'esercizio dell'attività per professione abituale.
Per favore nei prossimi giorni non scrivetemi che al telefono o allo sportello il funzionario dell'Agenzia delle Entrate vi ha detto di aprire la partita Iva, perché è naturale che un esponente dell'amministrazione finanziaria propenda per il comportamento massimamente prudenziale.
E d'altronde se il Fisco avesse in ogni caso ragione i tributaristi non sarebbero sempre lì, letteralmente a pendere dalle labbra dei giudici di Cassazione.
Ripeto ancora che occorre valutare caso per caso l'abitualità dell'attività esercitata in funzione di numerose variabili tra le quali vale la pena ricordare come le più importanti il volume d'affari generato e il peso specifico del reddito conseguito con l'attività di blogger rispetto al reddito complessivo del soggetto stesso.
Non considerate questo post alla stregua di una consulenza professionale giacché mi rendo conto che in giro per la rete l'orientamento maggioritario è quello opposto.
Io per me... continuo secondo quella che sono convinto sia un'interpretazione ragionevole della normativa.