di Giacomo Zucco, 11 gennaio
2014
Molti dei
commenti a precedenti post rispolverano il tipico mantra usato da chi
si ritrova a corto di argomenti di fronte alla devastante e innegabile
rapina fiscale italiana: il feticcio
dell’evasione.
I più sobri utilizzatori di tale scappatoia
retorica si limitano a ripetere il ritornello secondo cui “in Italia le tasse
sono altissime perché l’evasione è altissima: se pagassero tutti pagheremmo di
meno”, i più avventurosi invece si lanciano in accuse dirette nei confronti
dell’interlocutore: “Vuoi meno tasse? Evasore!!!”
Tralascio queste ultime affermazioni, per quanto
sarebbe abbastanza facile ricordare che un evasore che protesta per le tasse
alte è tanto probabile quanto un vegetariano che protesta per l’eccessivo costo
delle bistecche.
Evito anche di discutere qui della legittimità
del rifiuto di pagare le tasse (discussione che si infrange spesso contro slogan
come: “la legge dello Stato va rispettata sempre e comunque”, ripetuti da chi
dimentica che questo principio astratto genera mostri quando le leggi dello
Stato in questione sono mostruose, come quelle razziali del ventennio, quelle
sul figlio unico in Cina o sulla lapidazione delle adultere in Iran; e dimentica
che in Italia in molti casi sono le tasse stesse ad essere
illegali, tanto da poter considerare uno sciopero fiscale come un atto di coerenza con il principio di
legalità), limitandomi a citare Luigi Einaudi:
“La
frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri
reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché
le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente
contro le esorbitanze del fisco”.
Assumiamo per assurdo
che pagare le imposte che i politici stabiliscono sia sempre e comunque un
obbligo indiscutibile (anche a costo della distruzione di imprese, famiglie e
intere economie) e chiediamoci se è vero quello che si dice sugli effetti e
sulle cause del fenomeno dell’evasione, sfatando qualche mito.
Primo mito: “L’Italia ha
una pressione fiscale tra le più alte al mondo, ma anche
un’evasione fiscale tra le più alte al mondo”. La prima parte della frase è
verissima (il total tax rate arriva quasi al 70%: triste record del mondo
sviluppato), la seconda del tutto falsa. Va premesso che spesso le cifre
ripetute da esattori e politicanti a beneficio di telecamera non provengono da
revisori indipendenti, ma dagli esattori stessi (una fonte di sicuro non molto
imparziale), sulla base di metodi nella migliore ipotesi soggetti ad enormi
fluttuazioni, nella peggiore arbitrari e manipolabili. Da un po’ di confronti tra fonti si ottiene una percentuale media
nazionale vicina al 17%, ben lontana dall’essere un record
mondiale come la nostra tassazione: la media europea è del 14%, con paesi come
Grecia e Polonia che superano il 20% (pur avendo total tax rate molto inferiori
a quello record italiano, rispettivamente intorno al 45 e 40%).
Secondo mito: “L’evasione
fiscale di cui sopra è cagionata tipicamente dal piccolo imprenditore
brianzolo con il Suv”. Immagine macchiettistica e totalmente fuorviante: le
piccole imprese della Lombardia (Regione in cui la percentuale di evasione si
aggira intorno al 10%: non solo molto inferiore alla media europea, ma persino a
quella tedesca o francese) contribuiscono al fenomeno per pochi miliardi di
euro, mentre molta dell’evasione stimata proviene dal grosso business contiguo
al potere statale (banche, concessionari del gioco, ecc.) e dal
lavoro nero svolto nell’Italia del sud (con questa
constatazione non intendo certo svilire il Meridione italiano, né tantomeno chi
preferisce lavorare in nero per portare a casa il pane piuttosto che elemosinare
soldi altrui da qualche politico in cambio di voti).
Terzo mito: “Se pagassero tutti pagheremmo di meno”. Falso.
Logicamente, contabilmente e storicamente falso. Immaginiamo che da domani ogni
persona, impresa e partita Iva inizi a pagare fino all’ultimo centesimo quanto
richiesto dallo Stato italiano, dal canone Rai fino ai
contributi sulle ripetizioni di matematica dello studente universitario.
L’Italia sarebbe più ricca? Ovviamente no: molte imprese e molti esercizi
commerciali semplicemente chiuderebbero, molte transazioni private (a partire
dai lavori di baby-sitting e da molti affitti di studenti fuorisede) si
rivelerebbero non più sostenibili e sparirebbero dal mercato, il Pil
italiano scenderebbe di diversi punti percentuali in pochi mesi. Sul
brevissimo termine, tuttavia, potrebbe anche esserci un aumento delle entrate
statali.
Lo Stato italiano diventerebbe più assennato nelle
scelte di spesa? Ovviamente no: non c’è motivo per cui un aumento di
entrate debba convincere politicanti e burocrati ad eliminare sprechi,
spese clientelari, episodi di corruzione… anzi, ci sarebbe un nuovo “tesoretto”
da spartirsi e da spendere. Questa nuova spesa diventerebbe un’aspettativa
storica da parte dei beneficiati, tanto facile da elargire la prima volta quanto
difficilissima da negare in seguito, insomma: un “diritto acquisito”, per pagare
il quale nel contesto di un’economia contratta e azzoppata dalla sparizione di
tante transazioni l’unica possibilità sarebbe quella di alzare la pressione
fiscale! Esattamente: se pagassero tutti, pagheremmo di più!
Per corroborare l’esperimento mentale con i dati di fatto basta guardare le serie storiche: l’aumento di recupero dell’evasione fiscale è
sempre stata accompagnata dalla trasformazione dei “tesoretti” in nuova spesa
statale, a sua volta seguita da nuova tassazione. Nemmeno un centesimo del
recuperato è stato mai utilizzato per la riduzione delle tasse, e ad ogni
aumento delle entrate fiscali è sempre corrisposto un incremento delle
spese e, di conseguenza, delle pretese tributarie.
Nella lettera al Corriere di cui sopra, Einaudi scriveva anche:
“Non
è male che il tentativo della Finanza di costringere tutti a pagare le altissime
aliquote italiane incontri una vivace resistenza nei privati. Se questi si
acquetassero, e pagassero senza fiatare, anche la Finanza si adagerebbe sulle
alte quote, paga dei guadagnati allori. La frode persistente la costringe a
riflettere se non le convenga di ridurre le aliquote per indurre i contribuenti
a miglior consiglio o per scemare il premio della
frode”.
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