Poste Italiane, la guerra latente dei partiti alla privatizzazione
di Edoardo Petti, 22 gen 2014
Riserve, critiche e scetticismo accomunano le forze politiche riguardo al
progetto di vendita del 40 per cento del colosso pubblico annunciato dal
governo. Infatti nel corso di un'audizione del viceministro allo Sviluppo
economico, Antonio Catricalà...
Un gigante industriale detenuto dal Tesoro, direttamente o tramite la Cassa
depositi e prestiti. Una galassia produttiva che ingloba banca, servizi
finanziari, assicurazioni, telefonia mobile, provider Internet,
logistica, corriere, recapito. Il più grande datore di lavoro in Italia con
145mila funzionari, 400 miliardi di risparmi raccolti, 13 miliardi di premi
assicurativi sulla vita. Conglomerato più diversificato rispetto alla
“consorella” tedesca, Poste Italiane fattura oltre 24 miliardi di ricavi
e 1 miliardo di utili ogni anno.
Il governo vuole promuovere entro il 2014 una vendita parziale del colosso
pubblico mettendo sul mercato il 40 per cento delle azioni e puntando a
guadagnare 4,8 miliardi. Un tipo di privatizzazione che anche su Formiche.net ha alimentato le riflessioni di esperti e che
ieri è stata illustrata dal vice-ministro per lo Sviluppo economico Antonio
Catricalà in Commissione Trasporti della Camera dei deputati.
COME PRIVATIZZARE
L’iniziativa, che rientra nel programma di collocazione sul mercato del capitale di gruppi
imprenditoriali di Stato, non prevede nessuno “spezzatino dei rami
aziendali”. La notevole diversificazione dei servizi, l’integrazione delle
piattaforme, la valorizzazione del prodotto – ha spiegato l’esponente
dell’esecutivo – richiedono il mantenimento dell’unitarietà di Poste. Pertanto
la privatizzazione riguarderà porzioni del capitale azionario e non asset
produttivi. Le forme concrete di vendita – quotazione in Borsa o alienazione con
trattativa diretta – verranno stabilite dal Comitato per le privatizzazioni
presso il Ministero dell’Economia e Finanze. Controllo e maggioranza
proprietaria resteranno in ogni caso in mano allo Stato. Mentre le risorse
derivanti dalla cessione saranno destinate al miglioramento e ampliamento
dell’offerta di servizi e al fondo di riduzione del debito pubblico.
LA CONVENZIONE CON LA CDP
Tema nevralgico è il rapporto di Poste con Cassa depositi e prestiti. Come
messo in rilievo da un articolo pubblicato sul Corriere Economia di lunedì
scorso, l’azienda di spedizione e recapiti vende nei propri sportelli i prodotti
di CDP come libretti e buoni fruttiferi. Per retribuire questo servizio
l’istituto finanziario presieduto da Franco Bassanini versa ogni anno una
quota, 1,6 miliardi nel 2012. La convenzione finora è stata annuale ed è scaduta
il 31 dicembre 2013. È per tale ragione che l’amministratore delegato di Poste
Massimo Sarmi, in vista della vendita parziale ha chiesto per i prossimi
tre anni la garanzia statale di circa 5 miliardi come compenso complessivo per
la gestione e la raccolta del risparmio postale. L’accordo, rileva Catricalà, è
in corso di rinegoziazione. Ma un dato è certo: “I contenuti devono essere
inseriti in un contratto pluriennale”.
LAVORATORI AZIONISTI
Altro punto qualificante del progetto governativo è il via libera
all’ingresso dei lavoratori di Poste nel capitale aziendale. Ai dipendenti, ha
spiegato l’ex presidente dell’Antitrust, saranno riservate gratuitamente azioni
per un’entità da definire. L’esecutivo guarda a esperienze internazionali “che
hanno coinvolto e responsabilizzato i lavoratori nella migliore gestione
industriale”. Un modello effettivamente seguito da 5 operatori postali europei
su 6 quotati in Borsa: la portoghese Ctt che ha ceduto azioni a sconto per il 5
per cento del capitale, l’inglese Royal Mail con il 10 di quote gratuite, la
belga Bpost con lo 0,46, la tedesca Deutsche Post Dhl con il 6, l’austriaca Post
con il 5,4.
LA POSIZIONE DEI SINDACATI
Ma un’innovazione così originale rischia di provocare una frattura tra le più
rappresentative organizzazioni sindacali. A riprova di un’antica divaricazione
culturale sul ruolo dei lavoratori in un’azienda e sui confini del rapporto tra
management e maestranze. Mentre la CGIL conferma l’ostilità alla rappresentanza
dei lavoratori nel consiglio d’amministrazione di Poste “poiché il rischio
d’impresa va assunto dai manager”, la CISL ritiene che investire anche i lavoratori grazie a una quota
proprietaria, seppur minoritaria, possa stimolare una maggiore
produttività.
POLITICA OSTILE?
Un sentimento di opposizione e scetticismo verso il progetto di vendita
parziale di Poste giunge, in modo apparentemente sorprendente e trasversale, da
tutti i gruppi parlamentari.
Per bocca di Ivan Catalano il Movimento Cinque Stelle ha puntato il
dito contro una cessione compiuta “per delegare a gruppi privati la gestione di
complicate e impopolari vertenze amministrative e lavorative”. Ed evoca lo
spettro della svendita di una realtà produttiva cruciale pari a quelle di Telecom e Alitalia, “che concorre a vanificare l’universalità
dell’offerta e non contribuisce a risolvere il problema del debito
pubblico”.
Sconfessando il richiamo ormai remoto a un orizzonte liberale-liberista, le
forze del centro-destra sembrano ritrovare un terreno unificante. Forza Italia
ha manifestato con Sandro Biasiotti molte perplessità sulla
privatizzazione di un’azienda “che va bene perché gestita al 100 per cento dallo
Stato”. E teme il ripetersi della vicenda Telecom con il controllo e gestione
industriale da parte di gruppi privati detentori di una porzione irrilevante del
capitale. Il Nuovo Centro-destra tramite Vincenzo Garofalo ha espresso
l’esigenza di maggiore chiarezza sugli assetti di governance e chiede di
valorizzare adeguatamente il capitale di Poste “per evitare l’ennesima
spoliazione di industrie nazionali con finalità speculative”.
Fortemente contrarie le formazioni progressiste. Paolo Coppola del
Partito democratico non riesce a capire come il semplice ingresso di un socio
privato possa rendere più efficiente l’offerta aziendale. E la sua collega
Romina Mura “anticipa lo scenario di privatizzazione di un servizio
pubblico universale” denunciando il malfunzionamento dell’ufficio di smistamento
di Poste, affidato in gestione a privati che hanno sostituito il personale
qualificato con addetti generici. Mentre Stefano Quaranta di Sinistra e
Libertà evidenzia le contraddizioni di una privatizzazione in antitesi con il ruolo di Poste nel capitale di Alitalia. E ricorda come lo
stesso Sarmi fosse contrario alle strategie di vendita ai privati.
Critiche a cui Catricalà replica riconoscendo che “privatizzazione è una
brutta parola ripensando a operazioni quali Telecom”. Ma ne rivendica il valore
osservando che la vendita di quote minoritarie può esercitare una forza di
attrazione per gli investitori di mercato, anche grazie agli stimoli derivanti
da partnership pubblico-privata nell’azienda”.
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