Di Stefano Consiglio, 1 ago 2014
Da ben 25 giorni Israele e Palestina stanno combattendo l'ennesimo conflitto che li vede contrapposti. In questo contesto, in cui la Striscia di Gaza è continuamente bombardata dall'aviazione israeliana, una domanda sorge spontanea: come funziona l'economia palestinese? Con quattro semplici quesiti cercheremo di rispondere a questo interrogativo.
1) Quanto è esteso il territorio della Palestina?
Per comprendere l'economia palestinese è necessario, anzitutto, stabilire
quali territori debbano essere considerati parte della Palestina. Dal
punto di vista giuridico la Palestina si qualifica come uno Stato dichiarato
unilateralmente e non riconosciuto unanimemente a livello
internazionale.
La sua autonomia è stata rivendicata a seguito della
dichiarazione dello Stato palestinese di Algeri del 15 novembre 1988 da parte
dell'OLP.
La sovranità dell'Autorità Nazionale Palestinese è stata riconosciuta
di diritto a seguito degli Accordi di Oslo del 1993, tuttavia molti esperti di
diritto internazionale dubitano della soggettività giuridica dello Stato
palestinese. Ciò dipende da una serie di ragioni: anzitutto gli accordi di Oslo
non hanno mai trovato piena attuazione.
In secondo luogo i territori concessi
all'ANP sono soggetti al controllo delle forze militari israeliane.
L'ANP,
infine, ha lo status di osservatore e non di membro presso l'Assemblea generale
dell'Onu.
La Striscia
di Gaza è stata occupata nel 2007 dalle milizie di Hamas, uscite vincitrici alle
elezioni politiche del 2006 con il 43% dei voti.
In quel momento si creò una
frattura tra l'Autorità Nazionale Palestinese, riconosciuta a livello
internazionale come unica guida politica della Palestina, e Hamas.
Nonostante la
recente riconciliazione, realizzatasi nell'aprile del 2014 grazie ad uno storico
accordo tra Abu Mazen e i leader di Hamas, la situazione di questi due territori
appare assai differente sia da un punto di vista politico sia da un punto di
vista economico.
Per questo motivo è utile, quando si parla di economia
palestinese, distinguere la situazione esistente in Cisgiordania dalla politica
economica seguita nella Striscia di Gaza.
2) Come funziona l'economia della Cisgiordania?
La situazione economica esistente in Cisgiordania dipende da una serie di
fattori, interni ed esterni, la cui analisi disgiunta ne faciliterà la
comprensione.
I rapporti con Israele.
È bene ricordare che gran parte della Cisgiordania è
occupata da Israele, che ha invaso queste terre durante la guerra dei sei giorni
del 1967.
A seguito degli accordi di Oslo del 1993, lo Stato di Israele ha
diviso la Cisgiordania in tre settori: l'area A, che corrisponde al 17% di
territorio della Cisgiordania; l'area B, equivalente al 24%; l'area C, la più
estesa, che copre il 59% dei territori di questa regione.
È importante
sottolineare che il 96% dei palestinesi vive nelle aree A e B, mentre l'area C è
occupata quasi totalmente da coloni israeliani.
Questa divisione è importante
non soltanto da un punto di vista politico-amministrativo ma anche considerando
le connesse implicazioni economiche. Le parti A e B, infatti, corrispondono a
territori poveri di risorse naturali a differenza dell'area C, che avendo
accesso al Mar Morto, offre ottime opportunità sia nel settore dell'estrazione
mineraria sia in quello del turismo. Secondo un recente studio compiuto dalla
World Bank, 3,4 miliardi di dollari potrebbero essere aggiunti all'economia
della Cisgiordania qualora alla popolazione palestinese fosse garantito il pieno
controllo dell'area C.
La situazione in Cisgiordania è ulteriormente complicata dalla così detta
barriera di separazione israeliana, un muro lungo circa 700 km che separa la
Cisgiordania dallo Stato di Israele. Il tracciato di questa barriera è
irregolare, per questo motivo diversi palestinesi hanno visto la loro proprietà
bloccata al di là del muro. Gli agricoltori che utilizzavano queste terre per il
loro sostentamento, sono stati costretti a chiedere un'autorizzazione al Governo
Israeliano, la cui disponibilità a rilasciare visti sembra assottigliarsi con il
passare del tempo. Nella città di Akaba, ad esempio, nel 2011 gli israeliani
hanno rilasciato il 49% dei permessi richiesti, mentre nel 2012 tale valore è
sceso al 20% .
Quanto detto non deve far dimenticare, tuttavia, che circa 87mila palestinesi
che vivono in Cisgiordania, su un totale di circa 2 milioni di abitanti,
lavorano per Israele. La manodopera palestinese è utilizzata nei settori delle
costruzioni, della manifattura e nel settore agricolo. Secondo un sondaggio
compiuto dalla Palestinian General Federation of Trade Unions, tuttavia, i
lavoratori palestinesi ricevono una paga nettamente inferiore rispetto ai loro
omologhi israeliani e il 65% di essi viene utilizzato per lavori pericolosi, in
particolare mansioni che li espongono a gas tossici.
I principali settori economici.
Nonostante il fatto che le autorità palestinesi controllino
solamente il 41% del territorio della Cisgiordania, i lavoratori della Palestina
sono attivi in diversi settori tra cui il più importante è quello
agricolo.
Secondo i dati forniti dal Council for European
Palestinian Relations, il settore agricolo impiega in modo regolare il 13,4% dei
palestinesi, un dato che sale al 90% se aggiungiamo i lavoratori assunti
illegalmente. Questo settore, sebbene rimanga ancora la principale fonte di
occupazione per la popolazione palestinese, è fortemente in declino.
Una serie di concause stanno determinando il collasso dell'agricoltura, tra
cui l'occupazione militare delle terre da parte di Israele, la divisione della
Cisgiordania , la creazione della barriera di protezione e, infine, la carenza
di acqua.
La quasi totalità delle risorse idriche del paese, consistenti
essenzialmente nel fiume Giordano e nella falda acquifera che passa sotto
Israele e Cisgiordania, vengono infatti controllate da Israele. Ciò, ovviamente,
ha un chiaro effetto sugli agricoltori palestinesi, sovente costretti ad
acquistare l'acqua da Israele a prezzi decisamente maggiorati. L'enorme consumo
di acqua da parte di Israele, inoltre, sta riducendo il livello della falda
acquifera, il che a sua volta sta determinando l'infiltrazione di acqua
salmastra, estremamente dannosa per i raccolti.
Il settore turistico in Cisgiordania è stato fiorente fino
all'occupazione militare del 1967. Negli anni successivi vi è stato un costante
declino che si è tuttavia interrotto con gli accordi di Oslo del 1993. Quando
nel 2000 è esplosa la seconda intifada questo settore ha subito un crollo pari
al 90% da cui la regione si è lentamente ripresa nel corso degli anni.
Oggi la Cisgiordania ospita siti turistici importanti come Betlemme e Gerico,
visitati ogni anno da milioni di turisti e pellegrini. Il numero di turisti ha
registrato, negli ultimi anni, un trend positivo. Nel 2010, infatti, 4,6 milioni
di persone avevano visitato i territori palestinesi contro le 2,6 milioni di
persone del 2009.
Occorre tuttavia precisare che la maggior parte di questi visitatori si reca
nei territori palestinesi della Cisgiordania solamente per una breve visita,
scegliendo di risiedere all'interno di strutture israeliane. Le autorità
palestinesi e il ministro del Turismo israeliano hanno cercato di cooperare onde
incentivare il turismo in Cisgiordania, ma senza successo. L'attuale conflitto,
infine, sta assestando un duro colpo al settore turistico. Dal 23 luglio,
infatti, le principali compagnie aeree europee e americane hanno sospeso i voli
diretti a Tel Aviv.
L'industria manifatturiera e tessile è, anch'essa, diffusa
in tutta la Cisgiordania dove vengono venduti oggetti di ceramica, vetro, legno
di olivo, varie tipologie di tessuti e, infine, la pietra, ricavata attraverso
processi di estrazione e rifinitura portati avanti dalle circa 650 aziende
operanti nella regione.
Gli aiuti internazionali
L'economia palestinese dipende fortemente dagli aiuti
economici internazionali. Ciò è stato ampiamente dimostrato nel 2013 quando il
PIL della Palestina è precipitato a causa di una netta diminuzione negli aiuti
umanitari forniti dagli Stati Uniti. Ad oggi gli USA rimangono i principali
finanziatori della Palestina, seguiti da Unione Europea, Regno Unito, Svezia,
Germania e Francia.
È interessante notare che gli Stati Uniti sono anche i principali
finanziatori di Israele, a cui fornisce 3 miliardi di dollari l'anno in
finanziamenti diretti. Gli aiuti internazionali corrispondono a circa il 30% del
PIL palestinese, e vengono utilizzati dall'Autorità Nazionale Palestinese anche
per pagare i suoi circa 140 mila dipendenti. Questi finanziamenti, che hanno un
valore annuale che si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari, garantiscono
servizi essenziali a circa metà della popolazione palestinese.
Le autorità palestinesi.
Secondo i dati forniti dalla Coalition for Integrity and Accountability,
un'organizzazione palestinese che si occupa di verificare il livello di
corruzione degli organi di Governo, questo fenomeno è assai diffuso nelle
istituzioni palestinesi. Secondo un sondaggio compiuto nel 2012, il 40% degli
abitanti della Palestina ha ammesso di aver corrotto dei funzionari pubblici
allo scopo di ottenere servizi necessari per se o per la propria famiglia.
Diverse aziende farmaceutiche vendono ai palestinesi farmaci o alimenti
scaduti, che vengono tuttavia accettati dalla bisognosa popolazione palestinese
rendendo molto difficile l'identificazione di questi episodi. L'evasione
fiscale, infine, è incredibilmente elevata. Secondo i dati forniti da questa
organizzazione, tale fenomeno avrebbe un valore pari al 40% delle entrate
complessive ottenute dal Governo palestinese grazie alla tassazione.
3) Qual è la situazione economica nella Striscia di Gaza?
Se la situazione economica esistente in Cisgiordania appare complicata, nella
Striscia di Gaza la popolazione sta letteralmente lottando per sopravvivere.
Anche prima dell'ultimo attacco lanciato da Israele contro la Striscia, che ha
causato finora 1456 morti tra la popolazione palestinese,
l'economia di questa regione era caratterizzata da una flessione negativa.
A partire dal giugno del 2007, cioè dall'occupazione della Striscia di Gaza
da parte di Hamas, Egitto e Israele hanno imposto un embargo
strenuamente supportato dagli Stati Uniti. Le Nazioni Unite invece, pur
condannando la conquista della Striscia da parte di Hamas, hanno ripetutamente
criticato questo embargo, sostenendo che esso non trova alcuna conferma nelle
risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza, in primis nella risoluzione
1860 del 2009. Per cercare di aggirare questo blocco economico, una serie di
tunnel sono stati costruiti da Hamas allo scopo di collegare la Striscia di Gaza
con l'Egitto, corridoio di ingresso di armi, medicinali e viveri, molti dei
quali provenienti dall'Iran.
Allo stato attuale circa l'85% della popolazione della Striscia di
Gaza vive al di sotto della soglia di povertà.
Questo territorio ha una
popolazione complessiva di circa un milione e seicentomila abitanti, concentrati
maggiormente nella città di Gaza, situata nella parte nord orientale della
Striscia. Prima dell'imposizione dell'embargo, circa 25 mila abitanti della
Striscia di Gaza si recavano ogni giorno in territorio israeliano per lavorare.
Il settore turistico era in sviluppo così come il settore agricolo e quello
manifatturiero, nonostante la produzione economica avesse subito una battuta
d'arresto tra 1992 e il 1996.
Attualmente il blocco economico imposto sulla Striscia di
Gaza, unitamente alla chiusura delle frontiere con Israele, impediscono alla
popolazione Palestinese di prestare i propri servizi all'interno dei territori
israeliani.
L'agricoltura è anch'essa in declino a causa del
forte inquinamento, nella sovrappopolazione e della scarsità d'acqua il cui
controllo, come detto in precedenza, è saldamente nelle mani dei politici
israeliani.
Il settore turistico è praticamente inesistente, gli
alberghi attualmente presenti a Gaza vengono utilizzati quasi esclusivamente da
giornalisti, operatori ONU o membri di altre organizzazioni nazionali o
internazionali. La decisione dell'Egitto di chiudere le numerose gallerie che
collegano la Striscia di Gaza con il Sinai sta incrementando ulteriormente la
povertà già ampiamente diffusa tra la popolazione palestinese. I prezzi dei
prodotti contrabbandati attraverso i tunnel non fanno che aumentare, tanto che
un sacco di farina può costare anche più di 60 dollari.
4) Esiste qualcosa in comune tra Israele e Palestina?
Le differenze esistenti tra l'economia israeliana e quella Palestinese sono
enormi. Basti pensare che il PIL pro capite di Israele è pari a circa 32 mila
dollari mentre quello della Palestina è di 1200 dollari. Il tasso di
disoccupazione di Israele è pari al 6,9% contro il 26,2% dello Stato
palestinese.
Esiste dunque qualcosa che questi due popoli hanno in comune? la
risposta è sì: la moneta. Sia palestinesi che israeliani, infatti,
utilizzano il Nuovo Siclo Israeliano (abbreviato in NIS, sigla di New
Israeli Shekel ). Il problema è che anche la valuta, condivisa da questi
due popoli, non fa altro che peggiorare la situazione economica palestinese.
Questa moneta, infatti, viene emessa esclusivamente dalla Banca Centrale
Israeliana, relegando la Palestina in uno Stato di totale dipendenza economica.
L'uso del NIS da parte della popolazione palestinese è stato ufficializzato con
il protocollo economico firmato a Parigi nel 1994. Questo documento ha garantito
un totale controllo di Israele sull'economia palestinese, attraverso la
regolamentazione di tutte le esportazioni e importazioni.
Il governo di Tel Aviv, infatti, ha il potere di stabilire i documenti
necessari al transito delle merci, l'entità delle tasse doganali e ogni altra
procedura da seguire. In questo modo Israele facilita il transito dei propri
prodotti all'interno dei territori palestinesi, obbligando la popolazione locale
ad acquistarli. Secondo Basel Natsheh, professore di economia all'Università di
Hebron, l'80% della frutta e della verdura mangiata dai palestinesi proviene da
Israele o da colonie israeliane.
La condivisione di una moneta, che dovrebbe simbolicamente rappresentare
l'unione di popoli, è stata dunque trasformata in un meccanismo di controllo.
Auspicando una rapida cessazione del conflitto attualmente in corso, qualunque
negoziato di pace tra Palestina e Israele dovrà andare ben oltre gli accordi
siglati a Parigi nel 1994. Sia che venga seguita la così detta "soluzione dei
due Stati" sia che si adottino nuovi modelli, la predisposizione di obiettivi e
ideali comuni è l'unica strada possibile se si vuole finalmente giungere alla
pace.
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