mercoledì 6 agosto 2014

Un'interessante intervista al Ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan.



di Roberto Napoletano, 6 ago 2014

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Il Ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan

Sulla faccia di Pier Carlo Padoan, persona seria e timoniere dell'Economia, è stampata la delicatezza del momento, l'attesa dei dati dell'Istat di questa mattina per lui è già un'amara realtà, il ciclo non si è invertito e non siamo nemmeno immobili, la verità è che continuiamo a scendere, il motore dell'economia italiana perde giri.

«Finiremo con la troika» butto lì. 
«No, no, assolutamente no» urla e aggiunge: «La prego, lo scriva a caratteri cubitali». Si ferma un attimo, ancora uno scatto, e poi di getto: «Il Paese deve riformarsi da solo e lo sta facendo. Dobbiamo farlo ancora più in fretta». 

Sulla crescita in Europa quasi tutti sono messi male, ma noi stiamo sempre peggio di tutti e abbiamo un debito pubblico che non teme confronti. Sulla debolezza italiana pesano ovviamente i focolai di crisi internazionale, soprattutto quelli che riguardano l'energia e l'Ucraina, dobbiamo coprirci da nuovi rischi. Il quadro finale non può che uscire ulteriormente deteriorato e alimentare gli interrogativi dei mercati. «Io so, e i mercati sanno, che il Paese è fortemente orientato a sostenere la crescita, ci vorrà più tempo ma non li deluderemo», scandisce con voce ferma.

Ministro Padoan è un po' di tempo che la sentiamo ripetere che l'economia è ferma, non si riprende. Che fa: si iscrive anche lei al partito dei gufi?
No, non mi iscrivo a nessun partito dei gufi, sono sempre stato iscritto al partito dei realisti e qui resto. I dati dell'economia anche più recenti confermano un'economia che stenta a uscire dalla recessione. Rimango, però, convinto che esistano segnali positivi che andranno apprezzandosi nei prossimi trimestri e nei prossimi anni. 
Parlo del 2015 e del 2016. E dico questo non per una banalità contabile, ma perché è importante mantenere una prospettiva di medio periodo e i primi atti del governo Renzi sono, per me, tutti orientati a un obiettivo: realizzare politiche con impatto duraturo e crescente nel lungo termine.


Non ho capito: è vero o no che l'economia sta andando male, male, non è ferma, addirittura in recessione?
I dati negativi che ci arrivano dall'Istat riguardano, soprattutto, gli investimenti mentre, invece, i dati su consumi e esportazioni sono moderatamente positivi. Questo fa sperare bene sul recupero di fiducia delle famiglie e conferma che c'è una fase di uscita dalla recessione che è molto faticosa perché la recessione è davvero profonda. Non dimentichiamoci che il 2013 ha chiuso con un risultato finale di meno 1,9.


Il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, ha detto che l'effetto degli 80 euro è «quasi invisibile». Renzi ha risposto che la ripresa è come l'estate: prima o poi arriva. Si è mai pentito di avere iniziato dal bonus Irpef e non dall'Irap?
No, non mi sono mai pentito, naturalmente avrei voluto avere a disposizione risorse per fare di più, ma è importante del bonus Irpef ricordare due cose. La prima: riguarda 11 milioni di persone. La seconda: sarà permanente. Questo è importante perchè le famiglie devono avere più risorse e più fiducia per fare sì che queste risorse vengano spese.


Quanto dell'aumento record della Tasi, da un capo all'altro del Paese, è dovuto indirettamente alla copertura del bonus Irpef?
L'aumento della Tasi è slegato da coperture del bonus, ha a che fare con politiche fiscali del governo precedente che noi abbiamo ereditato. 


Insisto: se i Comuni non sono in grado di fare i tagli richiesti, non crede che seguano la scorciatoia di aumentare la Tasi e, quindi, mettano una parte del bonus sul conto a carico dei contribuenti?
Questa è una scelta successiva, i Comuni hanno a disposizione questo strumento, ma certo il Governo Renzi non vuole utilizzare la Tasi per finanziare il bonus.


Se la crescita è zero o addirittura negativa e non 0,8, la strada che ci separa dal 3% di deficit/pil si stringe pericolosamente. Sarà larga a sufficienza per evitare una manovra in autunno?
Il 3% nel 2014, e anche nel 2015, non sarà superato.
Non ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva.


Sia sincero, ministro: premesso che il Paese non è in grado di sopportare un'altra manovra, come fa con questi numeri a essere così sicuro di poterla evitare?
In base alle informazioni che ho adesso e alle previsioni che abbiamo aggiornato con le nuove informazioni Istat, ribadisco quello che ho appena detto.


Nel Def di aprile è scritto che, con la legge di stabilità, si devono fare 15 miliardi di tagli della spesa. Si possono conseguire tagli selettivi per un importo così rilevante in un tempo così breve? Non sarà che alla fine arriverà, come sempre, la doppia scure dei tagli lineari e di nuove tasse?
I tagli buoni e giusti si possono fare e il Governo farà di tutto per evitare l'applicazione di misure di salvaguardia come sono quelle dei tagli lineari o nuove tasse. 
Io penso che si possano fare.


Come la mettiamo con Bruxelles che ci ha, di fatto, negato il rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016 e, anzi, ci ha chiesto sforzi aggiuntivi già da quest'anno. Chi glielo dice a Renzi? Lei ci riesce?
Renzi lo sa benissimo e sicuramente il quadro macroeconomico che si sta delineando in questi mesi e in queste settimane è molto più deteriorato di quello di qualche settimana fa e, naturalmente, l'obiettivo di riequilibri strutturali tiene conto dell'andamento del ciclo. 
L'Italia stenta a uscire dalla crisi perché ha accumulato ostacoli strutturali. 
Per riprendere a crescere non ci sono scorciatoie: dobbiamo rimuovere quegli ostacoli con riforme strutturali.


A febbraio avevate fatto una scommessa: facciamo le riforme, otteniamo la flessibilità in Europa, abbiamo una crescita del pil e tutto si sistema. La flessibilità europea è in alto mare, i falchi del Nord ci guardano con sospetto, mi spiega perchè avete dato la precedenza alle riforme istituzionali rispetto a quelle del fisco, del lavoro e della macchina dello Stato?
Le riforme strutturali sono la caratteristica fondamentale della strategia del governo. 
Tra le riforme è fondamentale includere le riforme istituzionali anche perchè queste hanno un impatto molto importante sul funzionamento dell'economia e cito due ragioni evidenti. 
La prima: la semplificazione del processo legislativo. 
La seconda: la certezza della durata dei governi. Questi due fattori sono estremamente importanti per stabilizzare la fiducia e le aspettative di imprese, famiglie e investitori internazionali. Naturalmente le altre riforme sono altrettanto importanti.


Altrettanto o, forse, anche di più vista la delicatezza dell'economia del momento?
Altrettanto. Penso alla riforma del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e alla riforma fiscale. Sono queste le scelte che migliorano la competitività e la crescita del Paese nel medio lungo periodo. 


E qui come siamo messi, non mi pare proprio che siamo messi bene?
Siamo messi che molte di queste riforme sono in via di realizzazione, come nel caso della delega fiscale, e altre saranno approvate presto dal Parlamento, l'implementazione sta cominciando, per vederne i benefici reali in un orizzonte di medio periodo. 


La situazione dell'economia reale è sotto gli occhi di tutti, non migliora, si può dire ottimisticamente che è ferma, in realtà peggiora. Questa situazione lei la conosce molto bene. Non crede che sia necessario fare subito un fischio di fine partita per iniziarne un'altra? Che cosa impedisce di fare partire subito tutto ciò che è cantierabile e varare un bel credito d'imposta per ricerca e innovazione, evitare di promettere ciò che non si può dare (vedi pensioni agli insegnanti) e fare invece sul serio su privatizzazioni e lavoro? Alcune misure già indicate sono state già approvate con il decreto competitività, quelle del cosiddetto sblocca-Italia sono già state presentate nelle linee-guida e saranno approvate con il Consiglio dei ministri di fine agosto. Per quanto riguarda le misure come quelle relative alla "quota 96", come è noto, sono state ritirate dal governo e saranno affrontate in modo organico nei prossimi mesi.

Dove è finita la spending review? Resterà Cottarelli? Anche per lei farne a meno non è così grave?
La spending review è viva e vegeta, continua e viene introitata nel lavoro dei ministeri. 
Sicuramente sarà un elemento importante della costruzione della legge di stabilità del 2015. 
Su Cottarelli posso dire che ho la massima stima e apprezzamento del suo lavoro.


Debito/pil: i numeri reali e il rapporto percentuale tra i due, con le stime disponibili, sono impressionanti e appaiono destinati a crescere ancora in termini assoluti e percentuali. Con le privatizzazioni si era ipotizzato di realizzare uno 0,7% di pil per 10/12 miliardi, ma tutto appare sostanzialmente fermo. Lei crede nel Fondo immobiliare con i beni dello Stato che tagli dalla sera alla mattina di qualche centinaio di miliardi le esposizioni o in un intervento della Cassa Depositi e Prestiti che acquisti e scambi titoli di Stato con titoli della Cassa garantiti da propri asset o crede che sia puttosto da perseguire la via maestra delle privatizzazioni a partire dalla giungla delle municipalizzate controllate dagli enti locali?
Il processo di privatizzazioni va avanti. 
Come tutti sanno un processo serio di privatizzazioni che mira a valorizzare le aziende del patrimonio pubblico richiede un po' di tempo perchè coinvolge non solo le imprese già sul mercato, ma anche altri asset che richiedono un lavoro preliminare come le municipalizzate e il patrimonio immobiliare. 
Sulle proposte citate, posso dire che in giro ce ne sono varie e mi sembra che il punto di partenza di misure di questo tipo sia quello di avere un patrimonio da valorizzare: chiarite le idee su questo, gli strumenti che si possono immaginare sono diversi. 


Ha una preferenza?
Guardi, non ho una preferenza, sono aperto a varie ipotesi che stiamo esaminando, ma qual è il patrimonio di cui parliamo? 
Che cosa spinge a immaginare che sia marketable così come è un patrimonio che invece richiederebbe lavori di riqualificazione importanti e onerosi? 
La via delle privatizzazioni è quella che stiamo seguendo con maggiore determinazione: stiamo parlando di Poste, di Enav, di Ferrovie dello Stato. 
Comunque, sia chiaro: la via maestra per ridurre il debito è una sola: la crescita.


Dopo gli interventi in Fiat, Eni e Enel, Pechino è al 2% anche in Telecom, ma poi si scopre che Telefonica ci sta lasciando e tenta di prendersi il piatto più prelibato in Sudamerica. Ministro, ci spiega che cosa sta succedendo?
Telecom è un'impresa privata e, quindi, non entro nel merito di queste vicende proprio perché si tratta di imprese private. 
Voglio, però, aggiungere che stiamo osservando un interessamento crescente e concreto dei cinesi nei confronti del nostro Paese e le notizie di investimenti degli ultimi giorni confermano, con i fatti, i segnali positivi che ho raccolto in Cina appena dieci giorni fa. 
Si tratta di un Paese nel quale le decisioni di investimento sono sempre di lungo termine. La Cina vuole investire in Italia non con la logica del mordi e fuggi e ciò non mi pare poco. 
Questo mostra come sia possibile accrescere l'investimento nel nostro Paese.


Tra veti sindacali, perplessità di Caio, tavoli e tavolini che non portano da nessuna parte, non c'è il rischio che nella vicenda Alitalia sia Etihad ad accusarci di un eccesso di bizantinismi?
Io sono molto fiducioso sia sul fatto che l'accordo, certo faticoso e laborioso, si concluda positivamente e credo anche che sarà una scelta molto positiva per il Paese.


Abbiamo parlato poco del mondo e invece il mondo è scosso da focolai di crisi come non mai: Russia-Ucraina. Israele-Palestina, Siria, Iraq e, soprattutto, almeno per noi, Libia. La Russia ha azzerato la crescita, la Cina dichiara (non mancano dubbi) di essere sopra il 7%, forse gli Stati Uniti sono la vera nota positiva. Ciò che più inquieta, però, è la frenata tedesca che rischia di coincidere con la frenata europea. Che cosa può e deve fare la Germania per rilanciare la sua domanda interna e la crescita e, ancora più importante, se la locomotiva europea non riparte, noi da soli che cosa possiamo fare?
L'Italia come presidente di turno dell'Unione europea ha posto crescita e occupazione al centro dell'agenda. Tutti i Paesi hanno condiviso che questa debba essere la nuova priorità dell'Europa e, per concretizzarla, abbiamo indicato una strategia basata su tre pilastri: riforme strutturali, investimenti e maggiore integrazione, sia del mercato interno sia con i mercati globali. In questo quadro tutti i Paesi devono fare la loro parte anche quelli più forti. 


Ha ragione il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, quando sostiene che la Germania deve aumentare i suoi salari per rilanciare i consumi interni?
Sicuramente sì, anche se detta da lui questa affermazione appare come un'idea un po' tardiva. 


Che cosa deve fare, allora, la Germania?
Ad esempio, liberalizzare il suo settore dei servizi e accrescere il suo investimento, ne ha forte bisogno.


Ci sarà in autunno una ripresa della locomotiva tedesca a cui agganciare il treno indebitato dell'Italia? Vede all'orizzonte una possibilità che questo treno riparta?
Io credo che in tutti i Paesi dell'Europa si sta facendo strada la convinzione di mettere in pratica misure di sostegno alla crescita. Nella riunione dell'Ecofin di settembre dedicheremo molta attenzione a misure concrete di sostegno agli investimenti. Bisogna guardare avanti, i mille giorni sono una cosa concreta. 
I mercati continuano ad avere un atteggiamento positivo nei confronti dell'Italia e si aspettano la crescita. 
Ma sta al governo dimostrare di sapere attivare la crescita.

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