di Boris Sollazzo, 12 mag 2014
Ci si prepara per il Festival di Cannes e nel frattempo si dà un'occhiata
alle sale cinematografiche che ora cominciano a proporre molti titoli, ma
raramente interessanti. Forse perché maggio apre alla bassa stagione del grande
schermo - con felici eccezioni: ricordiamo che uscirono in questo mese, qualche
anno fa, Il Divo e Gomorra -, forse perché ci si affretta a proporre al pubblico
opere più o meno deboli prima che arrivi l'estate, momento difficilissimo, in
Italia, se non sei un blockbuster.
Di sicuro il migliore è Alabama Monroe, lungometraggio belga che ha conteso
l'Oscar a Paolo Sorrentino quest'anno, storia d'amore e lutto di grande impatto.
Solita lezione di regia di Atom Egoyan in Devil's Knot- Fino a prova contraria, che
con un thriller ci regala anche un apologo morale-legale di alto livello.
Gustoso e originale Marina, interessante ma poco riuscito The German Doctor
dell'ottima cineasta argentina Lucia Puenzo, discontinuo e poco omogeneo Parker,
un'occasione persa Lovelace.
Ce ne sarebbero almeno un'altra decina da citare –
ben 17 i film all'esordio questa settimana -, ma abbiamo deciso di fare una
selezione.
Partiamo, dunque, con Alabama Monroe-Una storia d'amore.
Difficile resistere
alla potenza semplice e disarmante di un'opera che pone i sentimenti davanti
allo spettatore in tutta la loro dirompente fragilità: da quell'amore tra una
attuatrice e un suonatore di banjo, outsider di un Belgio ben più conformista di
loro, qualcosa di apparentemente sbagliato ma inevitabile e irresistibile, a un
lutto inaccettabile. Di quelli che lacerano chiunque, figuriamoci una coppia.
Felix Van Groeningen ci fa entrare nella vita e nelle emozioni di Elise e Didier
in modo che non possiamo lasciarli più, sa muovere la macchina e l'empatia come
pochi altri, fuori dalla retorica e dalle scorciatoie narrative ed emotive. Ad
aiutarlo, va detto, c'è un'attrice con i fiocchi, Veerle Baetens, che porta
sulle spalle il peso di un lungometraggio che ti disorienta e coinvolge, per la
sua capacità di raccontarti una coppia meravigliosamente imperfetta, la sua
gioia nello stare insieme e il dolore per qualcosa che ti viene strappato via
ingiustamente.
Non stupisce Atom Egoyan in Devil's Knot- Fino a prova contraria.
Che sia un
cineasta di grande spessore, soprattutto in quell'occhio e in quei movimenti di
macchina che risultano semplici solo grazie alla sua perizia, lo sapevamo da
tempo, così come della sua attitudine al noir. Spesso, però, il suo talento
visivo gli faceva trascurare (troppo) l'aspetto del racconto in senso stretto.
Qui non accade: in sceneggiatura rende esemplare e persino fluida una vicenda
complessa, non perdendo il suo tocco. Si concede, poi, come spesso gli accade,
anche un messaggio morale, visto che un ottimo Colin Firth qui è un avvocato che
cerca la verità su un delitto insopportabile, contro l'infanzia, battendosi,
gratuitamente, per difendere tre ragazzi dalla pena di morte.
Va promosso anche Marina, una "favola" classica su un protagonista originale,
il fisarmonicista Rocco Granata. Storia di emigrazione, in Belgio, e di
integrazione, perché la musica è un linguaggio universale, come l'amore. Rocco
ci fa diventare persino patriottici quando, in barba al padre e a un paese
ostile, segue il suo sogno e cerca di conquistare tutti, a partire dalla sua
Marina, una fiamminga che va matta per l'Italia e la musica melodica. La storia
è vera, il melodramma è di quelli strappalacrime, Luigi Lo Cascio è in una veste
inconsueta, sopra le righe, e Donatella Finocchiaro, malinconica e profonda,
invece, fa da contrappeso alla sua esuberanza. La prova del regista Stijn Coninx
sembra uscita da un cinema di quarant'anni fa, e forse più. Ma è proprio questo
il suo grande fascino, la capacità di trascinarti con leggerezza ed emozioni
semplici proprio come faceva la "hit" a cui il film ruba il titolo.
Poco
riuscito, invece, The German Doctor.
Eppure il tema era interessante – il
nazismo che si nasconde in Sud America, con tutte le ambiguità di un "demonio"
fuori dal suo inferno - e la regista è tra i più brillanti talenti della sua
generazione. Lucia Puenzo, per chi lo ricorda, è colei che ha diretto il
bellissimo XXY, che passò per Cannes e arrivò vicino agli Oscar. Qui si produce
in una performance altalenante: raccontare Mengele e soci, senza disegnare il
mostro, rischia sempre di essere un'impresa impossibile. E così se alcune
intuizioni fanno centro, il complesso del film non decolla mai, troppo
intimorito da ciò che racconta e troppo poco incisivo nei momenti
cruciali.
Chiudiamo con due opere che potevano essere decisamente
migliori. Parliamo di Parker, che doveva mixare lo stile dei romanzi di Westlake
a quello del proprio protagonista, Jason Statham.
Per chi conosce entrambi, sa
che ne sarebbe uscito un film di genere delizioso. Peccato, però, che si prenda
il peggio di entrambi e quindi si intraveda solo l'intenzione di ciò che doveva
essere. Detto questo, l'ambiziosa storia di vendetta e l'abilità di incassatore
di Parker, insieme a una Jennifer Lopez di nuovo brava (che sorpresa), ci
regalano qualche scena riuscita.
Al contrario di Lovelace, dove l'unico momento
davvero bello, è il finale. Là si capisce cosa il film doveva e poteva essere.
Prima, invece, è indeciso se essere la parodia di un porno molto soft o il
melodramma d'amore di un'attrice fallita. Linda, diva del porno per il cult Gola
profonda, simbolo di una rivoluzione culturale e pruriginosa prima e femminista
poi – pur essendo rimasto nel mondo della celluloide per soli 17 giorni -
meritava di meglio.
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