Mossa elettorale di S&P-Fitch: promosso chi si piega all'Ue
Le due agenzie alzano il rating di Grecia e Spagna anche se nei due Paesi non c'è ombra di ripresa. E la decisione sembra fatta apposta per frenare la corsa dei partiti euroscettici
Le due agenzie alzano il rating di Grecia e Spagna anche se nei due Paesi non c'è ombra di ripresa. E la decisione sembra fatta apposta per frenare la corsa dei partiti euroscettici
di Rodolfo Parietti, 24 mag 2014
Fiato alle trombe del giudizio. Non quello universale, bensì quello spesso controverso delle agenzie di rating.
A una manciata di ore dalle elezioni europee, Standard&Poor's e Fitch emettono suoni vellutati nei confronti di Grecia e Spagna, non più appartenenti alla razza inferiore dei Pigs (l'acronimo dispregiativo che marchia i Paesi del Club Med con i conti fuori controllo), ma bravi alunni che stanno facendo i compiti assegnati. Ciò vale quindi una promozione: S&P ha migliorato ieri il voto di Madrid da BBB- a BBB (lo stesso livello dell'Italia) in virtù delle riforme strutturali realizzate, mentre la consorella americana ha alzato la valutazione di Atene da B- a B grazie all'avanzo primario 2013.
Se a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, allora qualche sospettuccio sul timing scelto dalla coppia è lecito averlo. I precedenti, del resto, non depongono a favore delle Signore del rating sovrano, spesso vere e proprie bombe a orologeria pronte a detonare alla bisogna.
L'Italia ne sa qualcosa.
Furono proprio S&P e Fitch a mettere in dubbio, tra il maggio 2011 e il gennaio 2012, sia l'affidabilità creditizia del nostro Paese, sia l'azione di risanamento intrapresa contribuendo all'impazzimento dello spread. Fitch minacciò più volte di declassarci, S&P passò direttamente ai fatti tagliando di ben due gradini (da A a BBB+) il rating tricolore. Fatti, peraltro, che saranno al centro di un processo a Trani.
Insomma: riesce difficile non trovare qualche corrispondenza tra l'upgrade di Grecia e Spagna e l'ormai imminente appuntamento con le urne. Sui mercati come a Bruxelles, in molte cancellerie europee fino ad alcuni organismi internazionali, serpeggia la paura di un'affermazione dei partiti no-euro o, comunque, di quelli che intendono rottamare le politiche di austerity. Così da riportare l'economia sul sentiero di una crescita che deve, necessariamente, passare da un rilancio degli investimenti e dell'occupazione. Bene. Le agenzie di rating sono da sempre in prima fila quando c'è da sostenere la filosofia del rigore.
Costi quel che costi.
Recessione? Passerà: basta far le riforme, e i risultati arriveranno. Troppa gente a spasso? Un tributo inevitabile al consolidamento dei conti pubblici. Il messaggio subliminale (ma neanche tanto) lanciato a greci e spagnoli sembra questo: «Attenti a chi votate: il vostro governo si è comportato bene, e ora lo abbiamo premiato. Se abbandonate questa strada, chissà...». D'altra parte, dopo ben tre anni, Moody's ha di recente assegnato all'Italia un outlook favorevole, non senza aver prima ricordato che «le possibilità che un partito politico guadagni il potere sulla base di una piattaforma che preveda un'uscita dall'euro rimangono non trascurabili».
Il problema, tuttavia, è convincere milioni di elettori che la situazione economica sia davvero migliorata grazie alle cure draconiane imposte. I dati della Commissione europea su Grecia e Spagna sembrano raccontare un'altra storia. Dopo esser sceso del 3,9% lo scorso anno, il pil ellenico dovrebbe tornare quest'anno sopra la linea di galleggiamento con un asfittico 0,6%. Un po' poco per un Paese che tra il 2012 e il 2013 ha perso quasi 10 punti di ricchezza nazionale e che a fine anno dovrà fare i conti con un tasso di disoccupazione del 26% e consumi in calo dell'1,8%. Quanto alla Spagna, anche se crescerà a fine dicembre dell'1,1%, i senza lavoro saranno il 25,5%. Olè.
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