Grazie a Santa Cecilia, Renzi si prende il canone Rai
di Carlo Rognoni, 15 mag 2014
C'è uno 0,01 percento del canone, cioè dell'imposta per "la detenzione di apparecchi atti alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive", che va all'Accademia nazionale di Santa Cecilia.
Ebbene questa piccolissima e davvero modesta percentuale potrebbe rappresentare un precedente importante, potrebbe diventare infatti la chiave per giustificare dal punto di vista formale e giuridico il prelievo di una cifra ben più consistente, quella di 150 milioni che il governo - in base al decreto Irpef - pretende dalla Rai per il 2014. Eh si! Perché dimostrerebbe che non è vero che tutto il canone deve obbligatoriamente servire a finanziare il servizio pubblico della Rai. E basta.
Ora è vero che la legge Gasparri all'articolo 6 dice: "il contributo pubblico percepito dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, risultante dal canone di abbonamento, è utilizzabile esclusivamente ai fini dell'adempimento dei compiti di servizio pubblico generale affidati alla stessa ...". Insomma quella imposta di scopo che è il canone io cittadino la pago sapendo che serve a finanziare programmi di servizio pubblico e non serve a pagare altri servizi, non importa quanto dignitosi e socialmente significativi, come quello di dare 80 euro a più di 10 milioni di italiani. Così almeno è stata prevalentemente interpretata finora da parte dei sindacati la legge sul canone, arrivando a minacciare di impugnare il provvedimento e di portare il Tesoro davanti alla Corte costituzionale.
Già ma le cose non stanno proprio così. Il canone è un obbligo di legge (per altro evaso da almeno 5 milioni di italiani su 21) che deriva esclusivamente dal possesso di un televisore e non dalla fruizione dei servizi erogati dalla Rai. E in pochi sanno che dei 113 euro del canone il 7,83 per cento già oggi resta nelle casse dello Stato tra Iva e tassa di concessione e appunto lo 0.01 per cento è utilizzato per finanziare l'Accademia Santa Cecilia. Insomma non c'è un legame diretto tra chi paga quella imposta e la società Rai.
In altre parole, non è il Tesoro ad essere obbligato a riversare nel servizio pubblico tutto quello che l'Agenzia delle Entrate raccoglie da questa imposta di scopo. È invece la Rai - questa è la giusta interpretazione della legge - obbligata a investire la cifra che le arriva dal canone esclusivamente in programmi di servizio pubblico.
Chiarito questo aspetto restano sul tavolo gli altri punti - per altro anche questi molto contestati dai sindacati - del decreto Irpef: dall'invito a prendere in considerazione la vendita di quote di minoranza di società controllate; alla cancellazione dell'obbligo di legge di mantenere sedi regionali a prescindere da ogni tipo di considerazione manageriale.
Ora ricordiamo che il decreto mette in campo "misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale". Non si preoccupa di individuare una strategia per il domani - anche se questa è una delle critiche più aspre rivolte al governo - di quelle aziende che vengono toccate dal decreto. Questo spetta alle aziende coinvolte. Insomma è probabilmente ingiusto immaginare che il decreto debba entrare nel merito del che fare, ad esempio, per il futuro del servizio pubblico. Adesso tocca invece al gruppo dirigente dell'azienda di viale Mazzini misurarsi con le nuove sfide. Tocca ad altri ministeri - sicuramente quello delle Comunicazioni che fa capo allo Sviluppo Economico - battere un colpo: una volta approvato il nuovo Contratto di servizio deve essere subito lanciata l'idea di una grande campagna di ascolto di tutti i soggetti in vista del rinnovo della concessione che formalmente scade nel maggio del 2016.
Insomma subito dopo le elezioni europee il governo Renzi ha un'occasione concreta per aprire il dossier Rai: far capire che l'obiettivo non è punire il servizio pubblico ma semmai stimolarlo a rifondarsi nell'epoca della rivoluzione digitale. E sarebbe davvero un primo segnale in grado di ridare fiducia al mondo dell'audiovisivo quello di anticipare - magari di un anno - il rinnovo della concessione per la Rai.