Nei mesi scorsi hanno fatto giustamente impressione, e destato una certa
attenzione dei media, le cifre sulle immatricolazioni di automobili in Italia,
tornate ai livelli di fine anni 70. Non ha destato una simile eco il netto calo
- e la stagnazione di lungo periodo - di un altro indicatore di mobilità che ha
valore economico: il trasporto viaggiatori per ferrovia. Nonostante la crescita
dei collegamenti ad alta velocità (seguita all'apertura della rete AV tra fine
2005 e fine 2009), la tendenza in atto da almeno vent'anni vede il trasporto
passeggeri su rotaia in Italia in stagnazione - a fronte di una crescita
significativa, nello stesso periodo, in tutti i maggiori Paesi europei.
Il confronto europeo
La domanda di trasporto ferroviario (misurata
in passeggeri/chilometro, ovvero il numero dei passeggeri moltiplicato per i
chilometri percorsi da ciascuno) è stata nel 2012 in Italia pari a 44,59
miliardi, contro i 44,71 del 1990 (-0,3%). Nello stesso periodo il traffico è
cresciuto del 35% in Spagna, di quasi il 40% in Francia, del 42% in Germania e
del 75% in Gran Bretagna (si veda la Tabella n. 1; le fonti sono Eurostat e i
bilanci aziendali). La performance italiana è peggiorata negli ultimi 5 anni,
quelli della crisi economica, che hanno visto in Italia un calo dei passeggeri
di oltre il 10% (-10,4%) contro il +9% della Francia, +10% della Germania e il
+20,7% della Gran Bretagna. Anche la Spagna, in questo periodo, è riuscita a
fare meglio con un +2,8% nonostante una crisi economica ancora peggiore di
quella italiana.
La dinamica economica negativa, peraltro, spiega una parte
limitata del problema italiano. Il calo del 10,4% del traffico in Italia dal
2007 al 2012 si riduce a un -3,7% se depurato dalla contrazione del Pil; ma
negli altri Paesi il traffico è andato meglio del Pil: dal +6% della Germania al
+25% della Gran Bretagna. Lo scenario cambia solo in parte nel lungo periodo: la
stabilità del traffico ferroviario passeggeri in Italia tra il 1990 e il 2012 si
confronta con un +19% del Pil; il rapporto traffico/Pil è dunque nettamente
sceso; in questo all'Italia si aggiunge la Spagna, dove la crescita del traffico
non ha tenuto dietro all'espansione economica. Il rapporto è invece rimasto
stabile in Francia ed è cresciuto dell'8% circa in Germania e Gran Bretagna.
Una prima riflessione
Se l'obiettivo della ferrovia è quello di
trasportare passeggeri (e merci, di cui non ci occupiamo qui), la politica
italiana di questi vent'anni non si può certo considerare un successo - tanto
più alla luce degli investimenti colossali che il settore ha assorbito: 35
miliardi di euro per il solo asse ad alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli. A
questo proposito, in realtà, il confronto europeo evidenzia un'assenza di
correlazione diretta tra gli investimenti in nuove infrastrutture e l'andamento
del traffico complessivo: l'Italia, che molto ha investito, è in coda; la Gran
Bretagna, Paese che sta ancora discutendo se costruire o no la sua prima vera
linea ad alta velocità, ha visto un vero e proprio boom del traffico passeggeri.
Anche per effetto di questa stagnazione, in Italia la quota del ferro (compresi
tram e metropolitane) sul totale degli spostamenti terrestri (dati Eurostat) è
scesa dal 5,8% del 2001 al 5,1% del 2011; nello stesso periodo in Spagna è
rimasta ferma al 5,5%, in Gran Bretagna è salita dal 5,3% al 7,5%, in Germania
dal 7,6% all'8,1%, in Francia dall'8,5% al 10,3%.
Le cifre del caso italiano
Per capire meglio i numeri italiani
(un'analisi approfondita è qui impossibile per ragioni di spazio) è utile
separare il traffico a lunga percorrenza (alta velocità e non) da quello
regionale (si veda la Tabella n. 2, i cui numeri vengono dai bilanci di
Trenitalia).
Tabella 2 |
Nel campo della lunga percorrenza, il forte incremento del
traffico AV dopo la progressiva apertura delle linee (tra il 2005 e il 2009) non
è bastato a compensare i tagli al resto del traffico. I dati dei bilanci
Trenitalia distinguono i treni a mercato da quelli del servizio universale, e
permettono anche di confrontare l'andamento dell'offerta (misurata in
treni/chilometro) con la domanda (espressa, come detto, in
passeggeri/chilometro). Nel quinquennio 2007/2012 l'offerta di treni "a mercato"
è cresciuta del 6%, essenzialmente grazie ai vari tipi di "frecce"; la domanda è
però calata del 2,2 per cento. Nel comparto "universale contribuito", che
comprende i treni notturni, gli espressi ed altre categorie a tariffa regolata,
l'offerta è stata tagliata del 35% con un crollo del 55% della domanda. Sommando
le due categorie, il traffico a lunga percorrenza ha visto una riduzione del
12,8% dell'offerta e un tonfo del 21% dell'utilizzo.
Di fatto Trenitalia ha
progressivamente eliminato, nell'ambito della politica di riequilibrio dei
conti, i servizi "a prezzo politico", ovvero quelli le cui tariffe sono fissate
(e calmierate) dallo Stato e i cui introiti erano i più bassi rispetto ai costi
di produzione; i passeggeri sono stati in parte dirottati verso le frecce, in
parte lasciati alla crescente concorrenza dei voli low cost (quelli dei treni
notturni, per esempio, e degli espressi Nord-Sud), in parte all'automobile (la
quale conserva peraltro, in Italia come negli altri grandi Paesi europei, una
quota sui viaggi complessivi che avvicina o supera il 90 per cento).
Il traffico regionale
Leggermente meglio è andata nel traffico
regionale, anche se un confronto sui numeri è più difficile in quanto nel 2011
da Trenitalia è stata scorporato il ramo di attività più grosso - quello
lombardo - confluito in Trenord, joint venture con la Regione Lombardia. Dal
2007 al 2010 Trenitalia (Lombardia inclusa) ha aumentato l'offerta regionale del
2% e la domanda è aumentata del 4 per cento; i due anni successivi hanno visto
un calo del 5% dell'offerta e del 2% della domanda. In questo campo sono
decisivi la strategia e le politiche di spesa locali. Fin dalla
regionalizzazione del 2000, poche regioni (soprattutto Toscana, Lombardia,
Emilia e le province autonome di Trento e Bolzano) hanno scommesso sul trasporto
ferroviario investendo risorse proprie; le altre si sono accontentate di
conservare lo status quo e hanno poi iniziato a tagliare quando sono diminuiti i
trasferimenti dallo Stato e quando i problemi della finanza locale si sono fatti
più gravi (Trenitalia ha più volte lamentato i mancati pagamenti dei servizi da
parte di alcune regioni). Un'analisi più approfondita e ricca di dati si trova
sul sito www.miol.it/stagniweb.
Il piano industriale di Ferrovie dello Stato
Nei giorni scorsi le
Ferrovie dello Stato Italiane (Fsi) hanno presentato il loro piano industriale
2014-2017. Per quanto riguarda il trasporto passeggeri, il piano punta a un
aumento della quota di mercato nei servizi AV (dall'81,8% all'83,8% in quattro
anni), su un mercato previsto in espansione del 14%; dall'anno prossimo
Trenitalia potrà contare sui nuovi Frecciarossa 1000. È prevista anche una
crescita (2% annuo) dei passeggeri del servizio universale (quello sussidiato).
Nel trasporto regionale, che sarà oggetto nel periodo di investimenti per 200
nuovi convogli, l'obiettivo è una migliore integrazione del treno con i servizi
su gomma, con un calo previsto del 5% circa (dal 2013 al 2017) della produzione
di servizi ferroviari e una scommessa sulla crescita dei bus.
Politica dei trasporti cercasi
Il tema delle risorse finanziarie è
fondamentale: il trasporto ferroviario è sussidiato ovunque, sia pure in misura
diversa. In presenza di una copertura dei costi con i ricavi da traffico che in
Italia è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi, solo in alcuni casi si
è tentato un rilancio cercando efficienze sui costi o aumentando i prezzi dei
biglietti per finanziare un miglioramento dell'offerta; nella maggior parte dei
casi si è scelta la strada dei tagli ai servizi. I vari Governi che si sono
succeduti, dal canto loro, hanno investito molto in nuove infrastrutture mentre
hanno ridotto o precarizzato i contributi annui di gestione. Si arriva così a
paradossi come quello del Piemonte, che al (quasi) completamento di
un'infrastruttura come il Passante ferroviario di Torino non ha (o non ha voluto
trovare) i soldi per mettere in piedi un servizio di livello appetibile, pur
avendo negli ultimi anni tagliato un quarto delle linee ferroviarie
regionali.
Dal punto di vista normativo, la politica in questi anni è
intervenuta più volte (c'è chi ha contato 18 leggi in materia in meno di 4
anni), con uno stop and go in materia di liberalizzazioni che ha di fatto
soffocato l'apertura alla concorrenza del trasporto regionale. Più in generale,
è mancata e manca tuttora una politica complessiva dei trasporti, al di là di
singole e generiche affermazioni di principio. Queste tre sfide - politica dei
trasporti, risorse e liberalizzazione - passano ora sul tavolo del Governo
Renzi. Avrà il tempo di affrontarle?