di Federico Rendina, 3 mar 2014
I manovratori del gas italiano tranquillizzano, per ora. Forniture regolari,
al momento. Ma anche se dovesse concretizzarsi lo scenario peggiore, con
l'interruzione totale del gas russo che transita dall'Ucraina, l'Italia se la
caverebbe. Almeno per un po'. L'inverno, con il suo picco stagionale di consumi,
sta per finire. Gli stoccaggi sono pieni ancora a metà. E a stemperare la
domanda c'è la crisi che ancora incombe, e che taglia di oltre il 15% i nostri
consumi rispetto ai picchi di oltre 83 miliardi di metri cubi l'anno toccati tra
il 2005 e il 2010. Ma a salvarci è appunto la combinazione tra congiuntura
economica e congiuntura stagionale. E basta spostare solo un po' la visuale,
affidandoci alla diagnosi degli analisti che non si fermano alla congiuntura
immediata, per scoprire uno scenario assai più allarmante. «Ciò che sta
accadendo dimostra ancora una volta che l'Italia è strutturalmente esposta a una
forte crisi energetica. Insomma, in una prospettiva a medio e lungo termine
rischia grosso» ammonisce Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.
Siamo, come noto, il paese europeo più dipendente dalle importazioni di gas,
vuoi perché la nostra produzione nazionale e ormai in picchiata strutturale,
vuoi perché affidiamo al metano, più degli altri, l'alimentazione energetica
dell'intero paese: l'industria, i riscaldamenti delle case, il grosso della
produzione di elettricità. Prendiamo oltre un quarto del nostro gas dalla Russia
proprio attraverso l'Ucraina, quasi un terzo viene dalla Algeria, il resto dalla
Libia e dai due soli rigassificatori pienamente in attività: il vecchio impianto
Snam a Panigaglia e quello di Rovigo frutto della joint "Adriatic Lng" tra
Exxon, Qatar Petroleum e Edison.
Equilibrio precario
Ci esercitiamo da anni sull'idea di usare
proprio questa nostra consolidata dipendenza del gas unendola alle
caratteristiche geografiche e geopolitiche del nostro paese per trasformare
tutto ciò in un grande vantaggio. Come? Moltiplicando le infrastrutture per
diventare un lucroso hub metanifero per l'intero quadrante europeo.
Parole. La realtà è quel che è. Rimaniamo con il nostro precario equilibrio.
Che regge, insistono gli analisti, solo perché siamo in crisi di domanda in
virtù (si fa per dire) della crisi economica. In altri termini: se come tutti
auspichiamo il ciclo dello sviluppo italiano dovesse riprendere, e con esso la
domanda di energia, le numerose avvisaglie di crisi metanifera che abbiamo avuto
anche negli ultimi due anni morderebbero davvero.
L'avvisaglia più recente è arrivata nell'ultimo trimestre dello scorso anno,
con l'ennesimo blocco delle forniture dalla Libia. Che l'Eni, l'operatore ancora
egemone nel nostro scenario, ha compensato proprio con il momentaneo incremento
delle forniture di gas russo grazie ai «buoni rapporti» con i manovratori di
Mosca, come non ha mancato di sottolineare il capo dell'Eni Paolo Scaroni. Il
ruolo di supplente svolto da Putin era del resto insostituibile in quel momento,
come era stato insostituibile in altre precedenti occasioni. Ma era stato lo
stesso Scaroni a mormorare una diagnosi più strutturale, che dava pienamente
ragione agli allarmi dei migliori analisti: «una crisi su un versante possiamo
gestirla, specie ora che la domanda non è particolarmente pressante. Ma la
concomitanza di una crisi parallela su un altro fronte di approvvigionamento
potrebbe metterci alle corde».
Il doppio tranello
Eventualità, quella di due problemi
contemporanei, che non si può certo escludere. Val la pena di ricordare gli
intoppi a ripetizione che negli ultimi anni sono venuti anche dall'Algeria, a
causa del suo scenario politico instabile ma anche di guasti più o meno
momentanei del tracciato delle forniture causati da altri problemi, tecnici ma
anche politici, lungo i tubi che attraversano la Tunisia, scendono in mare e
arrivano in Sicilia.
C'è poi un'altra pesante incognita su un fronte
altrettanto critico: il prezzo del metano che importiamo. I listini di
riferimento sono, come noto, custoditi nel segreto. Nelle valutazioni degli
analisti il gas all'ingrosso si paga ora attorno ai 35 centesimi di euro al
metro cubo contro i circa 25 centesimi che pagano(o meglio, pagavano) di ucraini
grazie allo sconto concordato con Mosca in ragione degli accordi fortemente"
politici" legati al gioco dell'egemonia più che ai diritti di transito. È chiaro
che in caso di una crisi delle forniture russe che dovesse protrarsi nel tempo
le tensioni sui prezzi internazionali applicati allo scenario europeo sarebbero
inevitabili, anche grazie ai prevedibili giochi speculativi. E a rimetterci di
più, in questo caso, sarebbero i paesi più dipendenti, come l'Italia. Con il
conseguente rischio di subire una nuova divaricazione dei costi dell'energia, e
quindi della competitività complessiva del nostro sistema economico, rispetto
agli altri paesi europei e allo scenario internazionale. Debolezza strutturale,
insomma. Che sarà obbligatoriamente al centro delle prime ricognizioni
strategiche del neonato governo Renzi.
Il sogno dell'hub
Riabbracciare la tesi dell'Italia hub del gas,
superando così ogni dubbio sulle possibili eccedenze delle opere da mettere in
campo rispetto alle proiezioni del nostro fabbisogno? Sembrerebbe sensato. Ma
intanto il rischio è quello di non riuscire a impostare neanche il minimo
essenziale per evitare di ritrovarci, con la bene augurata ripresa economica,
con uno scenario metanifero inevitabilmente precario. Rafforzare e
differenziare, dunque. Partendo magari degli annunci già conclamati.
I rigassificatori di metano liquefatto trasportato via nave? Lo aveva
ribadito l'ultima stesura della strategia energetica nazionale messa in campo
dal governo Monti, e fatta propria dalla compagine guidata da Enrico Letta. Sta
di fatto che il vecchio rigassificatore unico ex Eni e ora Snam piazzato a
Panigaglia funziona a ritmo ridotto. E degli altri innumerevoli impianti
progettati solo uno è pienamente operativo, appunto quello di Rovigo. I nuovi
gasdotti internazionali che dovrebbero oltretutto concretizzare l'hub italiano
del gas? Anche qui molta carne al fuoco, degli annunci e delle promesse. E poi
negli scontri delle polemiche. Con il risultato di far impantanare tutto,
complice la crisi della domanda.
E comunque molti conti non tornano. Prendiamo il progetto Galsi che dovrebbe
raddoppiare il flusso dall'Algeria duplicando le infrastrutture con un nuovo
passaggio via Sardegna: non differenzierebbe comunque le attuali forniture
all'Italia. Problema simile per il South Stream, il gigantesco tubo che ha come
co-artefice l'Eni voluto dai russi per scavalcare l'Ucraina: sempre di gas russo
si tratta.
Infrastrutture e trappole
L'unico corridoio aggiuntivo che
promette di farsi largo è quello che dovrebbe consentirci di captare il gas
orientale con il progetto Tap e dalla Grecia dovrebbe far approdare metano
(questo sì aggiuntivo e alternativo, come quello che arriva con i
rigassificatori) attraverso la Puglia. Ma è sotto gli occhi di tutti il consueto
scenario di opposizioni locali, dubbi, modifiche progettuali, immancabili
ritardi e rischi concreti di far affondare anche questo progetto.
C'è poi il problema degli stoccaggi. Il cui ruolo non è solo indispensabile
nella stagione invernale, quando i consumi decollano, ma anche nella loro
funzione permanente di polmone per il bilanciamento del sistema e per la
migliore gestione commerciale del metano. In Italia abbiamo oggi poco meno d 16
miliardi di metri cubi di capacità di stoccaggio, di cui 4,5 miliardi di riserve
strategiche da utilizzare solo in situazioni di allarme rosso. I serbatori
stanno facendo il loro dovere. Ma gli analisti avvertono: per una gestione
davvero funzionale del mercato, specie in prospettiva, il sistema andrebbe
rafforzato non poco.
Nessun commento:
Posta un commento