La ricetta-soviet di Landini: caccia ai ricchi e nuove tasse
Il leader della Fiom offre al premier il suo piano di rilancio dell'economia in stile socialismo reale: alzare la spesa pubblica colpendo imprese e risparmi
10 mar 2014
In questi primi giorni di vita il governo Renzi è stato spesso rimproverato - e a ragione - di non avere un programma capace di portarci fuori dalla crisi.
Ora però è venuto in soccorso dell'ex sindaco di Firenze il segretario della Fiom, Maurizio Landini, autore di una lettera aperta su Repubblica. E a Renzi basterebbe prendere le tesi esposte in questo testo e fare esattamente il contrario per dare un buon contributo al miglioramento della situazione.
Secondo Landini, c'è bisogno di più tasse, più spesa pubblica, più regolazione, dato che piena occupazione e reddito garantito vanno posti al centro della politica di governo.
Dinanzi a un'economia già oggi piegata da un interventismo forsennato che prima ha fatto fuggire i capitali stranieri, poi ha ucciso molte aziende italiane e ora sta allontanando consistenti quote di giovani, il sindacalista continua a ritenere che il primo obiettivo debba essere togliere a chi ha e dare a chi non ha. Da qui la proposta di imposte patrimoniali, di ulteriori prelievi sulle rendite finanziarie, di una progressività perfino maggiore di quella già esistente.
Perfino il maggiore teorico dell'egualitarismo di secondo Novecento, John Rawls, comprese che un'economia non regge se non incentiva i soggetti più dinamici e produttivi, ma Landini odia talmente i «padroni» che sembra disposto a sfasciare tutto, anche se poi il tetto cadrà sulla testa di tutti noi. Non ha proprio inteso che se manca il lavoro è perché spesa pubblica e tassazione hanno reso quasi impossibile fare impresa.
Ai suoi occhi ogni arricchimento è di per sé illegittimo e ogni proprietà privata è sospetta. Invece però che suggerire la collettivizzazione di ogni mezzo di produzione, egli indica la strada di una lenta agonia: il progetto di un socialismo reale da costruire passo dopo passo, utilizzando il dirigismo socialdemocratico per arrivare un po' alla volta ai piani quinquennali di brezneviana memoria.
Ad esempio, di fronte ai problemi del lavoro - che sono soprattutto connessi a oneri fiscali e parafiscali insopportabili - egli suggerisce l'estensione della cassa integrazione anche alle piccole imprese. Landini è consapevole dei costi, ma negli schemi della sua riflessione campeggia il modello della manna che viene dal cielo: dove il cielo sono i ricchi, i capitali all'estero, il risparmio delle famiglie, da considerarsi naturalmente improduttivo.
Non soltanto il leader della Fiom è dominato dall'odio di classe: da un disprezzo verso chi fa impresa che è assai più forte dell'attenzione per i più deboli. Per giunta egli crede che le logiche dello Stato nazionale siano difendibili: non accetta l'economia globalizzata e rifiuta l'idea che essa sia fondamentale proprio per la tutela del potere d'acquisto di tutti noi. Si è mai chiesto, ad esempio, quanto pagherebbe un computer o un paio di jeans un operaio torinese se la nostra economia non fosse commercialmente integrata con quella cinese o indiana?
Ai suoi occhi i capitali, i proprietari di case o di titoli di Stato, le imprese italiane sono realtà prigioniere di un recinto chiuso, dove le frontiere non sono luoghi di transito per persone, ricchezze e merci, ma dovrebbero esibire fili spinati e cecchini con il fucile puntato. L'economia è un gregge da tosare e a nessuno va data la possibilità di andarsene.
D'altra parte, in questi schemi culturali gli imprenditori non contano.
Per avere una buona economia basta prendere ai capitalisti e poi distribuire con crediti agevolati, redditi di cittadinanza e perfino nuovi finanziamenti al Mezzogiorno. In passato, forse, ci si poteva illudere che questo funzionasse, ma quel tempo è finito. Landini non vuole ammetterlo e continua a sognare un nazionalismo economico statalista assai simile a quello che ha distrutto l'Argentina dal 1945 in poi.
Per la salvezza di tutti noi, speriamo che Renzi e Padoan facciano esattamente il contrario di quello che suggerisce.
Il leader della Fiom offre al premier il suo piano di rilancio dell'economia in stile socialismo reale: alzare la spesa pubblica colpendo imprese e risparmi
10 mar 2014
In questi primi giorni di vita il governo Renzi è stato spesso rimproverato - e a ragione - di non avere un programma capace di portarci fuori dalla crisi.
Ora però è venuto in soccorso dell'ex sindaco di Firenze il segretario della Fiom, Maurizio Landini, autore di una lettera aperta su Repubblica. E a Renzi basterebbe prendere le tesi esposte in questo testo e fare esattamente il contrario per dare un buon contributo al miglioramento della situazione.
Secondo Landini, c'è bisogno di più tasse, più spesa pubblica, più regolazione, dato che piena occupazione e reddito garantito vanno posti al centro della politica di governo.
Dinanzi a un'economia già oggi piegata da un interventismo forsennato che prima ha fatto fuggire i capitali stranieri, poi ha ucciso molte aziende italiane e ora sta allontanando consistenti quote di giovani, il sindacalista continua a ritenere che il primo obiettivo debba essere togliere a chi ha e dare a chi non ha. Da qui la proposta di imposte patrimoniali, di ulteriori prelievi sulle rendite finanziarie, di una progressività perfino maggiore di quella già esistente.
Perfino il maggiore teorico dell'egualitarismo di secondo Novecento, John Rawls, comprese che un'economia non regge se non incentiva i soggetti più dinamici e produttivi, ma Landini odia talmente i «padroni» che sembra disposto a sfasciare tutto, anche se poi il tetto cadrà sulla testa di tutti noi. Non ha proprio inteso che se manca il lavoro è perché spesa pubblica e tassazione hanno reso quasi impossibile fare impresa.
Ai suoi occhi ogni arricchimento è di per sé illegittimo e ogni proprietà privata è sospetta. Invece però che suggerire la collettivizzazione di ogni mezzo di produzione, egli indica la strada di una lenta agonia: il progetto di un socialismo reale da costruire passo dopo passo, utilizzando il dirigismo socialdemocratico per arrivare un po' alla volta ai piani quinquennali di brezneviana memoria.
Ad esempio, di fronte ai problemi del lavoro - che sono soprattutto connessi a oneri fiscali e parafiscali insopportabili - egli suggerisce l'estensione della cassa integrazione anche alle piccole imprese. Landini è consapevole dei costi, ma negli schemi della sua riflessione campeggia il modello della manna che viene dal cielo: dove il cielo sono i ricchi, i capitali all'estero, il risparmio delle famiglie, da considerarsi naturalmente improduttivo.
Non soltanto il leader della Fiom è dominato dall'odio di classe: da un disprezzo verso chi fa impresa che è assai più forte dell'attenzione per i più deboli. Per giunta egli crede che le logiche dello Stato nazionale siano difendibili: non accetta l'economia globalizzata e rifiuta l'idea che essa sia fondamentale proprio per la tutela del potere d'acquisto di tutti noi. Si è mai chiesto, ad esempio, quanto pagherebbe un computer o un paio di jeans un operaio torinese se la nostra economia non fosse commercialmente integrata con quella cinese o indiana?
Ai suoi occhi i capitali, i proprietari di case o di titoli di Stato, le imprese italiane sono realtà prigioniere di un recinto chiuso, dove le frontiere non sono luoghi di transito per persone, ricchezze e merci, ma dovrebbero esibire fili spinati e cecchini con il fucile puntato. L'economia è un gregge da tosare e a nessuno va data la possibilità di andarsene.
D'altra parte, in questi schemi culturali gli imprenditori non contano.
Per avere una buona economia basta prendere ai capitalisti e poi distribuire con crediti agevolati, redditi di cittadinanza e perfino nuovi finanziamenti al Mezzogiorno. In passato, forse, ci si poteva illudere che questo funzionasse, ma quel tempo è finito. Landini non vuole ammetterlo e continua a sognare un nazionalismo economico statalista assai simile a quello che ha distrutto l'Argentina dal 1945 in poi.
Per la salvezza di tutti noi, speriamo che Renzi e Padoan facciano esattamente il contrario di quello che suggerisce.
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