giovedì 27 marzo 2014

La situazione del trasporto ferroviario in Italia



di Andrea Malan, 27 mar 2014

Nei mesi scorsi hanno fatto giustamente impressione, e destato una certa attenzione dei media, le cifre sulle immatricolazioni di automobili in Italia, tornate ai livelli di fine anni 70. Non ha destato una simile eco il netto calo - e la stagnazione di lungo periodo - di un altro indicatore di mobilità che ha valore economico: il trasporto viaggiatori per ferrovia. Nonostante la crescita dei collegamenti ad alta velocità (seguita all'apertura della rete AV tra fine 2005 e fine 2009), la tendenza in atto da almeno vent'anni vede il trasporto passeggeri su rotaia in Italia in stagnazione - a fronte di una crescita significativa, nello stesso periodo, in tutti i maggiori Paesi europei.


Il confronto europeo
La domanda di trasporto ferroviario (misurata in passeggeri/chilometro, ovvero il numero dei passeggeri moltiplicato per i chilometri percorsi da ciascuno) è stata nel 2012 in Italia pari a 44,59 miliardi, contro i 44,71 del 1990 (-0,3%). Nello stesso periodo il traffico è cresciuto del 35% in Spagna, di quasi il 40% in Francia, del 42% in Germania e del 75% in Gran Bretagna (si veda la Tabella n. 1; le fonti sono Eurostat e i bilanci aziendali). La performance italiana è peggiorata negli ultimi 5 anni, quelli della crisi economica, che hanno visto in Italia un calo dei passeggeri di oltre il 10% (-10,4%) contro il +9% della Francia, +10% della Germania e il +20,7% della Gran Bretagna. Anche la Spagna, in questo periodo, è riuscita a fare meglio con un +2,8% nonostante una crisi economica ancora peggiore di quella italiana.
La dinamica economica negativa, peraltro, spiega una parte limitata del problema italiano. Il calo del 10,4% del traffico in Italia dal 2007 al 2012 si riduce a un -3,7% se depurato dalla contrazione del Pil; ma negli altri Paesi il traffico è andato meglio del Pil: dal +6% della Germania al +25% della Gran Bretagna. Lo scenario cambia solo in parte nel lungo periodo: la stabilità del traffico ferroviario passeggeri in Italia tra il 1990 e il 2012 si confronta con un +19% del Pil; il rapporto traffico/Pil è dunque nettamente sceso; in questo all'Italia si aggiunge la Spagna, dove la crescita del traffico non ha tenuto dietro all'espansione economica. Il rapporto è invece rimasto stabile in Francia ed è cresciuto dell'8% circa in Germania e Gran Bretagna.



Una prima riflessione
Se l'obiettivo della ferrovia è quello di trasportare passeggeri (e merci, di cui non ci occupiamo qui), la politica italiana di questi vent'anni non si può certo considerare un successo - tanto più alla luce degli investimenti colossali che il settore ha assorbito: 35 miliardi di euro per il solo asse ad alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli. A questo proposito, in realtà, il confronto europeo evidenzia un'assenza di correlazione diretta tra gli investimenti in nuove infrastrutture e l'andamento del traffico complessivo: l'Italia, che molto ha investito, è in coda; la Gran Bretagna, Paese che sta ancora discutendo se costruire o no la sua prima vera linea ad alta velocità, ha visto un vero e proprio boom del traffico passeggeri. Anche per effetto di questa stagnazione, in Italia la quota del ferro (compresi tram e metropolitane) sul totale degli spostamenti terrestri (dati Eurostat) è scesa dal 5,8% del 2001 al 5,1% del 2011; nello stesso periodo in Spagna è rimasta ferma al 5,5%, in Gran Bretagna è salita dal 5,3% al 7,5%, in Germania dal 7,6% all'8,1%, in Francia dall'8,5% al 10,3%.



Le cifre del caso italiano
Per capire meglio i numeri italiani (un'analisi approfondita è qui impossibile per ragioni di spazio) è utile separare il traffico a lunga percorrenza (alta velocità e non) da quello regionale (si veda la Tabella n. 2, i cui numeri vengono dai bilanci di Trenitalia).


Tabella 2


Nel campo della lunga percorrenza, il forte incremento del traffico AV dopo la progressiva apertura delle linee (tra il 2005 e il 2009) non è bastato a compensare i tagli al resto del traffico. I dati dei bilanci Trenitalia distinguono i treni a mercato da quelli del servizio universale, e permettono anche di confrontare l'andamento dell'offerta (misurata in treni/chilometro) con la domanda (espressa, come detto, in passeggeri/chilometro). Nel quinquennio 2007/2012 l'offerta di treni "a mercato" è cresciuta del 6%, essenzialmente grazie ai vari tipi di "frecce"; la domanda è però calata del 2,2 per cento. Nel comparto "universale contribuito", che comprende i treni notturni, gli espressi ed altre categorie a tariffa regolata, l'offerta è stata tagliata del 35% con un crollo del 55% della domanda. Sommando le due categorie, il traffico a lunga percorrenza ha visto una riduzione del 12,8% dell'offerta e un tonfo del 21% dell'utilizzo.
Di fatto Trenitalia ha progressivamente eliminato, nell'ambito della politica di riequilibrio dei conti, i servizi "a prezzo politico", ovvero quelli le cui tariffe sono fissate (e calmierate) dallo Stato e i cui introiti erano i più bassi rispetto ai costi di produzione; i passeggeri sono stati in parte dirottati verso le frecce, in parte lasciati alla crescente concorrenza dei voli low cost (quelli dei treni notturni, per esempio, e degli espressi Nord-Sud), in parte all'automobile (la quale conserva peraltro, in Italia come negli altri grandi Paesi europei, una quota sui viaggi complessivi che avvicina o supera il 90 per cento).



Il traffico regionale
Leggermente meglio è andata nel traffico regionale, anche se un confronto sui numeri è più difficile in quanto nel 2011 da Trenitalia è stata scorporato il ramo di attività più grosso - quello lombardo - confluito in Trenord, joint venture con la Regione Lombardia. Dal 2007 al 2010 Trenitalia (Lombardia inclusa) ha aumentato l'offerta regionale del 2% e la domanda è aumentata del 4 per cento; i due anni successivi hanno visto un calo del 5% dell'offerta e del 2% della domanda. In questo campo sono decisivi la strategia e le politiche di spesa locali. Fin dalla regionalizzazione del 2000, poche regioni (soprattutto Toscana, Lombardia, Emilia e le province autonome di Trento e Bolzano) hanno scommesso sul trasporto ferroviario investendo risorse proprie; le altre si sono accontentate di conservare lo status quo e hanno poi iniziato a tagliare quando sono diminuiti i trasferimenti dallo Stato e quando i problemi della finanza locale si sono fatti più gravi (Trenitalia ha più volte lamentato i mancati pagamenti dei servizi da parte di alcune regioni). Un'analisi più approfondita e ricca di dati si trova sul sito www.miol.it/stagniweb.



Il piano industriale di Ferrovie dello Stato
Nei giorni scorsi le Ferrovie dello Stato Italiane (Fsi) hanno presentato il loro piano industriale 2014-2017. Per quanto riguarda il trasporto passeggeri, il piano punta a un aumento della quota di mercato nei servizi AV (dall'81,8% all'83,8% in quattro anni), su un mercato previsto in espansione del 14%; dall'anno prossimo Trenitalia potrà contare sui nuovi Frecciarossa 1000. È prevista anche una crescita (2% annuo) dei passeggeri del servizio universale (quello sussidiato). Nel trasporto regionale, che sarà oggetto nel periodo di investimenti per 200 nuovi convogli, l'obiettivo è una migliore integrazione del treno con i servizi su gomma, con un calo previsto del 5% circa (dal 2013 al 2017) della produzione di servizi ferroviari e una scommessa sulla crescita dei bus.




Politica dei trasporti cercasi
Il tema delle risorse finanziarie è fondamentale: il trasporto ferroviario è sussidiato ovunque, sia pure in misura diversa. In presenza di una copertura dei costi con i ricavi da traffico che in Italia è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi, solo in alcuni casi si è tentato un rilancio cercando efficienze sui costi o aumentando i prezzi dei biglietti per finanziare un miglioramento dell'offerta; nella maggior parte dei casi si è scelta la strada dei tagli ai servizi. I vari Governi che si sono succeduti, dal canto loro, hanno investito molto in nuove infrastrutture mentre hanno ridotto o precarizzato i contributi annui di gestione. Si arriva così a paradossi come quello del Piemonte, che al (quasi) completamento di un'infrastruttura come il Passante ferroviario di Torino non ha (o non ha voluto trovare) i soldi per mettere in piedi un servizio di livello appetibile, pur avendo negli ultimi anni tagliato un quarto delle linee ferroviarie regionali.
Dal punto di vista normativo, la politica in questi anni è intervenuta più volte (c'è chi ha contato 18 leggi in materia in meno di 4 anni), con uno stop and go in materia di liberalizzazioni che ha di fatto soffocato l'apertura alla concorrenza del trasporto regionale. Più in generale, è mancata e manca tuttora una politica complessiva dei trasporti, al di là di singole e generiche affermazioni di principio. Queste tre sfide - politica dei trasporti, risorse e liberalizzazione - passano ora sul tavolo del Governo Renzi. Avrà il tempo di affrontarle?

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