Tutti pazzi per i bond dell'Eurozona. Ma la classifica del debito estero premia l'Italia e boccia la Spagna
di Vito Lops, 6 mar 2014
Va tutto a gonfie vele per il debito pubblico dei Paesi europei. A giudicare
dai tassi nominali decennali che stanno toccando Italia (3,39%, minimo da
ottobre 2005), Spagna (3,42% minimo dal 2006), Portogallo (4,8%) e Grecia (6,9%,
minimo da gennaio 2010 e sotto la "fatidica" soglia del 7%) i fondamentali di
questi Paesi sembrano tornati di nuovo solidi.
Ma il discorso merita di scendere più in profondità.
È vero che i tassi
nominali sono tornati abbondantemente sotto i livelli pre-crisi.
Non può così
però dirsi (se si esclude la Grecia e il Portogallo) per i rendimenti reali,
ovvero quelli depurati per il tasso di inflazione.
Dato che l'inflazione vola
basso (complice un rallentamento della domanda interna) il costo reale del
debito non è molto distante da quello nominale.
In Italia, ad esempio, bisogna
sottrarre lo 0,7% (inflazione di gennaio) al 3,39% dei BTp, da cui si ricava un
costo reale a 10 anni del 2,7%, superiore a quello dei livelli pre-crisi quando
l'inflazione era oltre il 2%.
Ovviamente, sul lungo periodo le nuove emissioni a
questi tassi nominali così bassi potranno offrire un indubbio vantaggio qualora
l'inflazione dovesse riportarsi intorno al 2% (che poi è l'obiettivo della Bce)
e quindi decurtare il debito pubblico in termini reali.
Tuttavia la risalita dell'inflazione rappresenta una sfida ancora da
combattere e molto incerta. Lo dimostra il fatto che domani l'istituto di
Francoforte potrebbe attuare una nuova misura di allentamento quantitativo
(riducendo il costo del denaro, annunciando un nuovo piano di prestito agevolato
alle banche oppure interrompendo la sterilizzazione sugli acquisti di titoli di
Stato). Ulteriore testimonianza che l'economia reale non è ancora in grado di
camminare con le proprie gambe.
Detto questo, in termini reali per quel che riguarda l'«oggi» le condizioni
non consentono improvvisi salti di gioia. E l'altro motivo per cui è presto per
poter cantar vittoria lo si deduce osservando i fondamentali di alcuni dei Paesi
(ex) periferici.
Tra questi possiamo dare uno sguardo all'andamento del debito
estero netto che sintetizza in pratica quanto un Paese è indebitato (sia a
livello pubblico che a livello privato) con il resto del mondo. È una misura
utile per calcolare una posizione di forza o di debolezza di un Paese.
Ovviamente più è alto il debito, più soldi ci sono da restituire (anche in
termini di interessi e cedole) agli investitori stranieri e questo indica
debolezza.
Così come, maggiore è la quota di debito estero rispetto a quello
interno, minore è la redistribuzione del reddito all'interno di un Paese (gli
interessi sul debito interno infatti finiscono nelle tasche di
cittadini/consumatori del Paese).
Bene, i dati di oggi sul debito estero netto (come documenta anche questa
tabella che comprende anche la posizione netta degli investimenti internazionali
che aggiunge al dato sul debito estero anche i flussi derivanti da attività
finanziarie e derivati) sono peggiori rispetto ai livelli pre-crisi.
Grecia e Portogallo hanno oggi un debito estero superiore al Pil
(rispettivamente 120% e 101%) quando nel 2007 (in tempi non sospetti e prima
della scoppio della bolla del debito privato che ha dato il là alla crisi
dell'Eurozona) il debito netto estero della Grecia era del 70% e quello del
Portogallo del 64%.
Ma sulla base di questo parametro di vulnerabilità di un
Paese anche la Spagna non se la passa bene.
Viaggia oggi con un debito estero
del 91% (praticamente quanto il prodotto interno lordo) in netto aumento
rispetto al 60% del 2007.
E l'Italia?
C'è stato un aumento dal 41% del Pil al
58% (dal 2007 al 2013) ma si tratta di livelli decisamente più contenuti
rispetto a Spagna e compagnia bella.
Se poi si considerano anche i flussi
finanziari, il rosso dell'Italia verso l'estero è del 27%, vicinissimo al dato
della Francia (-21%) che però paga sul debito pubblico oltre 100 punti base in
meno.
Ancora più distante la Spagna (-96%, i cui bond sono però allineati a
quelli italiani nel premio al rischio sul mercato dei capitali), Portogallo
(-115%), Grecia (-108%) e Irlanda (-107%).
Statistiche che per certi versi confortano l'Italia.
Quando gli investitori
internazionali (quelli che stanno comprando in questi mesi i bond europei perché
affamati di cedole in un contesto di discesa globale dei tassi e in virtù del
rischio abbattuto di deflagrazione dell'euro dopo il «whatever it takes» di
Draghi del luglio 2012) dovessero tornare a guardare i fondamentali (e quindi
anche il debito estero) lo spread tra Italia e gli altri Paesi della
(ex)periferia sarebbe destinato ad ampliarsi a favore di Roma.
Perché, come
visto, non conta solo il debito pubblico.
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