venerdì 29 novembre 2013

LoveRoom: l'amore ai tempi del bed & breakfast

Da Panorama

LoveRoom, l'amore ai tempi del bed & breakfast

Il sito per incontrare l'anima gemella... e affittargli una stanza

di Eugenio Spagnuolo29 nov 2013


LoveRoom, l'amore ai tempi del bed & breakfast


E' un po' come mixare AirBnb con un sito di incontri: assieme alla sistemazione, si trova anche il/la partner. 

La formula di LoveRoom in fondo è facile. Ed è questo il segreto del suo successo: migliaia di iscritti in tutto il mondo in pochi giorni. Persone che affittano o cercano una stanza, con la classica formula del bed and breakfast, e in più si offrono per una conoscenza (occasionale o duratura chi può dirlo?). 

Niente a che vedere con la prostituzione: ma solo l'ennesima variante della ricerca del partner via internet.

LoveRoom è una startup con base a Hollywood, nata da un'intuizione fulminante di Josh Bocanegra. "Quando io e la mia ragazza ci siamo trasferiti a Los Angeles - racconta a Panorama - non avevamo tanti soldi. 

Così abbiamo deciso di noleggiare una stanza su Airbnb. Tuttavia, il nostro appartamento non era così attraente. Tutto quello che avevamo era un materasso. Niente tv, niente divano, pochissimi confort. Così inizialmente ho pensato di usare la mia immagine o una foto con la mia ragazza. Ma alla fine ho messo solo la sua. Risultato: dopo poco abbiamo iniziato a ricevere molte prenotazioni di uomini disposti a spendere 80 dollari per essere ospitati. 

E' stato in quel momento che ho pensato, e se aprissimo un AirBnb per i single?".
Il sito è ancora in fase beta, ma Bocanegra assicura che già è operativo in tutto il mondo e non solo negli Usa. 

Entro San Valentino dovrebbe vedere la luce la versione definitiva. Per agevolare gli incontri, gli affittuari sono tenuti a pubblicare una propria foto e a specificare se sono etero, bi o omo. E se Airbnb è solito chiedere ai suoi utenti quanto vorrebbero pagare per una camera, LoveRoom li sottopone a domande come "cani o gatti?", "Clinton o Bush?", "bistecca o aragosta?", "carnivori o vegetariani?". 

Fino a chiedere loro se gli piacciono le coccole, proprio come un sito di incontri. "Serve a definire il profilo", chiosa Bocanegra, sorpreso anche lui dall'improvviso successo di LoveRoom (con tanto di articoli su Forbes e Bloomberg).

"Per ora siamo ancora in fase beta e stiamo ancora valutando quali misure di sicurezza usare su LoveRoom", spiega. "Vogliamo raccogliere feedback dagli utenti a proposito. Ma già da adesso li incoraggiamo a parlare al telefono o a videochattare con chi li contatta, a verificarne profilo su Facebook, e a far loro un sacco di domande". 
Un po' più di quante se ne fanno di solito. 

Perché a mischiare sesso, soldi e internet, il rischio di finire in cronaca nera è sempre molto alto.

mercoledì 27 novembre 2013

Quello che dovrebbe sempre rammentare ogni politico, ogni imprenditore, ogni uomo

Tutto ciò che si è fatto di grande nel mondo, si è fatto al grido del dovere; 
tutto ciò che è stato fatto di miserabile, è stato fatto in nome dell'interesse.  

Henri LacordaireOpere, 1872

martedì 26 novembre 2013

I Griffin: la sconvolgente morte di uno dei personaggi più amati

Da JustNews

I Griffin: la sconvolgente morte di uno dei personaggi più amati

di , 25 nov 2013

E’ successo ieri durante la sesta puntata della dodicesima stagione andata in onda negli Stati Uniti di Family Guy (i Griffin in italiano). 
Si tratta di un avvenimento che ha sconvolto molti amanti della serie e che cambierà decisamente l’evolversi dell’irriverente serie tv.
a

A rimetterci le “penne” è stato infatti il cinico e disilluso cane Brian che muore investito da un’auto in corsa. 
Al momento non sappiamo se si tratta di un addio definitivo o in qualche modo verrà fatto “tornare in vita”, ma le intenzioni non sembrano essere le migliori. Sembra che già nei prossimi episodi Brian venga rimpiazzato da un altro cane parlante. 
Si vocifera comunque che possa trattarsi solo di un’astuta mossa di “marketing” per attirare l’attenzione sulla serie che ultimamente aveva perso spettatori.
“Per quanto amiamo tutti Brian, e per quanto tutti amano gli animali domestici, può capitare che nella realtà un cane possa essere investito da un’auto” ha commentato Steve Callaghan, produttore esecutivo della serie.
“Mi avete dato una vita meravigliosa, vi amo tutti”, sono le ultime parole del mitico cane antropomorfo la cui ironia pungente ci mancherà di certo. 
Ecco il video della scena incriminata:


La cometa Ison

Da Panorama.it

La cometa Ison si sta distruggendo?

Potrebbe essere nei nostri cieli per Natale, ma probabilmente non riuscirà a sopravvivere al calore del sole

di Sabrina Pieragostini, 25 nov 2013

La cometa Ison si sta distruggendo?

La meta è sempre più vicina. Tra pochissimo, esattamente il 28 novembre, Ison raggiungerà il perielio- il punto di minima distanza dal Sole. Per la cometa, è la prova del nove: se supererà indenne l'incontro ravvicinato con la nostra stella, poi nulla potrà fermarla e splenderà nei nostri cieli, luminosa e suggestiva, proprio nella notte di Natale. Ma non è detto che tutto fili liscio...

La settimana scorsa, l'Istituto per la Ricerca sul Sistema Solare del Max Planck Institut di Katlenburg-Lindau, in Germania, ha diffuso un comunicato stampa, corredato di immagini riprese nello spazio, che mostrano la presenza di "ali": attorno al nucleo di C/2012 S1 (il nome scientifico del corpo celeste in avvicinamento) si sono formate due protuberanze laterali. Erano quasi invisibili il 14 novembre, ma solo 48 ore erano molto nette. Tutte le foto, riprese da quel momento in poi, da diversi astronomi, le confermano.
I ricercatori tedeschi hanno osservato Ison dal telescopio del Monte Wendelstein. "La due ali arcuate appaiono in direzioni opposte rispetto al nucleo, le loro chiome raggiungono i 13.500 km. Non si vedevano nella precedente foto del 13 novembre. Esse suggeriscono la presenza di due o più sub-nuclei con una propria atmosfera in espansione e possono indicare che di recente il nucleo della cometa si sia spaccato", si legge nel testo.
 "Simili caratteristiche si registrano dopo che singoli frammenti sono fuoriusciti dal nucleo", ha aggiunto il dottor Hermann Böehnhardt. Un altro ricercatore, Gary Kronk, ha verificato quante comete abbiamo presentato delle simili ali e quante di esse si siano poi frantumate: ben sei su sette. Per quanto riguarda però l'unica eccezione, i dati non sono certi, visto che risale alla prima metà dell'800, quando i metodi di osservazione erano molto meno avanzati.
Ignacio Ferrin, astronomo dell'Università di Antioquia (Colombia) che sta seguendo di giorno in giorno gli sviluppi della situazione con una pagina web, ha però avanzato un'ipotesi differente sulla formazione delle due protuberanze: sarebbero prodotte dal materiale emesso dal nucleo surriscaldato, come un geyser o come gli spruzzi di una fontana.

La temperatura superficiale della cometa sarebbe molto elevata: almeno 240 °C. Questo perché, dalle immagini, sembra che il nucleo non stia rotando su se stesso: volge dunque sempre lo stesso lato alla luce solare. E quella faccia già bollente lo diventa sempre di più, man mano che Ison si approssima al perielio.
Sopravvivrà? Non è facile rispondere, dice Ferrin. La superficie della cometa viene continuamente erosa dal calore solare: qualche metro ogni secondo. Se il suo diametro è ridotto, potrebbe scomparire nel giro di qualche giorno, dal momento che crepe e fessure aumentano con un tasso crescente. Ma se il nucleo è abbastanza grande, invece, potrebbe resistere. "C'è ancora controversia su questo punto. Niente di cui preoccuparsi, la scienza funziona così", chiosa il ricercatore sudamericano.
Ma davvero non c'è nulla da temere? Da più parti, incomincia a diffondersi il dubbio. Ison si sta comportando in un modo anomalo. Lo stesso Ferrin, a fine ottobre, aveva predetto (addirittura con una certezza vicina al 100 per cento) che si sarebbe disintegrata entro breve. Invece, ha già superato ben 11 red line - i punti nei quali altre comete della stessa magnitudo, nel corso degli anni, si sono polverizzate. Lei no: continua imperterrita il suo viaggio attraverso il sistema solare.
Lo fa anche adesso, nonostante sia entrata nella zona di "allarme rosso": forse già spaccata in frammenti, forse consumata dalla radiazione solare, con tutta l'acqua presente sotto forma di ghiaccio quasi esaurita, insomma, praticamente a fine corsa... Ma è sempre lì. "Basandoci sulle prove e imparando dalle passate esperienze (comete Tabur, Elenin, Linear e Hönig ) Ison dovrebbe essere sul punto di disintegrarsi", ribadisce Ferrin. "Ecco perché è stato lanciato l'allarme rosso."

Ma... c'è un ma. "Aspettiamo e vediamo cosa succede. Se si frantumerà, l'ipotesi sarà confermata e potremo dire che Ison ha seguito lo schema previsto. Se invece non accadrà, allora l'ipotesi sarà bocciata e la scienza avrà il compito di spiegare perché non si è comportata come le altre comete. In ogni caso, la scienza non prende posizioni: aspetta, osserva e poi trae le sue conclusioni." Anche se, questa volta, sembra decisamente in difficoltà.

Alla luce il tempio dove nacque il Buddha: la sua nascita retrodatata di tre secoli

Da Ansa

Buddha nacque in un tempio di legno del VI secolo a.C.

La sua nascita retrodatata di tre secoli

26 novembre 2013 


E’ stato portato alla luce in Nepal il tempio in cui nacque Buddha. Si tratta di una struttura in legno che gli archeologi fanno risalire al sesto secolo avanti Cristo e si trova all'interno del tempio Maya Devi, nella città di Lumbini.

Descritta sulla rivista Antiquity, la scoperta si deve al gruppo internazionale di archeologi coordinato da Robin Coningham, dell'università britannica di Durham, e da Kosh Prasad Acharya, dell'Ente per lo sviluppo dell'area nepalese del Pashupati.
A sostenere questa ricerca, per uno dei luoghi più sacri di una delle religioni più antiche del mondo e che è seguita da circa mezzo miliardo di persone, sono intervenuti i governi di Nepal e Giappone e la National Geographic Society.

Si tratta del primo materiale archeologico che collega la vita di Buddha, e quindi la prima fioritura del buddismo, ad uno specifico secolo. "Si conosce molto poco sulla vita di Buddha se non attraverso testi e racconti", ha detto Coningham. ''Alcuni studiosi sostengono che nacque nel terzo secolo avanti Cristo. Noi siamo andati a scavare ed abbiamo trovato un edificio che era già lì a partire dal sesto secolo avanti Cristo''.
I ricercatori hanno scoperto la struttura in legno, con un ampio spazio aperto centrale, nascosta sotto una serie di templi in mattoni che hanno tutti la stessa planimetria. Per datare il luogo di nascita di Buddha gli archeologi hanno usato una combinazione di radiocarbonio e tecniche di luminescenza otticamente stimolata.

Il tempio di Lumbini è stato sempre identificato come il luogo di nascita di Buddha, tanto che l'Unesco lo ha catalogato come patrimonio di interesse mondiale.
Fino ad oggi i ritrovamenti archeologici di strutture buddiste a Lumbini erano state fatte risalire al massimo al terzo secolo avanti Cristo, come il tempio dell'imperatore Asoka, che aveva promosso la diffusione della religione buddista dall'Afghanistan al Bangladesh.

Del tempio Maya Devi si erano perse le tracce nel periodo medioevale quando fu inghiottito dalla giungla. Fu ritrovato nel 1896 ed identificato come luogo di nascita di Buddha che, secondo gli archeologi di allora, sarebbe avvenuta nel terzo secolo avanti Cristo. Gli scopritori si erano basati su una data incisa su un pilastro di arenaria sul quale era descritta una visita che l’imperatore Asoka aveva compiuto al tempio. Ora la nuova scoperta riporta la nascita di Buddha indietro di circa tre secoli.

Il Senato ritira la "Google Tax"

Da Mr.Webmaster

Il Senato ritira la "Google Tax"

26 nov 2013

L'emendamento alla Legge di Stabilità sull'introduzione di una nuova tassa a carico dei colossi del Web è stato ritirato per decisione della Commissione Bilancio del Senato; il discorso riguardante la famigerata "Google Tax" dovrebbe essere quindi rimandato.

Il deputato del Pd Francesco Boccia, autore del testo dell'emendamento, avrebbe commentato lo stop definendolo per forza di cose temporaneo, a suo parere infatti i giganti di Internet che operano anche in Italia non potranno "dribblare" il fisco ancor a lungo.

Il riferimento di Boccia non è naturalmente solo a Google ma anche anche ad altre realtà universalmente conosciute come per esempio Amazon, Facebook e Apple, a suo dire tutte colpevoli di generare grandi profitti sul Web della Penisola pagando imposte estremamente sottodimensionate.
Nel caso specifico il problema riguarderebbe il fatto che molte aziende internazionali lavorano e guadagnano in Italia ma fatturano in paesi noti per la loro fiscalità di vantaggio (come ad esempio Irlanda e Lussemburgo) per cui l'unica soluzioni possibile al momento sembrerebbe quella dell'obbligo di dotarsi di una partita IVA nostrana.

Sogei: Fisco in tilt e blackout informatico

Da Tom's Hardware

Fisco in tilt e blackout informatico:
ieri cos'è successo?

Ieri il gestore ICT del Fisco, Società Generale d'Informatica S.p.A., ha lamentato un blackout della rete informatica. 14 ore di problemi in tutta Italia. Non si è ancora capito cosa sia successo.


Ieri il fisco italiano è andato in tilt. Qualcuno potrebbe rispondere che è in tilt da sempre, forse già dal 1959. Quando Steno firmò "I tartassati" con Totò e Aldo Fabrizi. Ieri però è accaduto un incidente figlio dei nostri tempi. La Sogei (Società Generale d'Informatica S.p.A.), praticamente la specialista ICT che offre i servizi alle nostre Agenzie fiscali, all'alba ha assistito al blackout della sua rete informatica.


L'emergenza è scattata più o meno alle 5.00, dopodiché deve esserci stato qualcuno che avrà chiesto allo specialista di turno di andare al piano di sotto per controllare il quadro elettrico. Perché in fondo quando qualcosa salta, c'è sempre di mezzo la corrente, no? Meglio chiamare l'Acea, il fornitore di energia elettrica, avrà suggerito un esperto.
Beh, non è bastato perché ieri per circa 14 ore filate uffici e strutture pubbliche, che fanno capo al ministero dell'Economia e delle Finanze, sono state costrette a entrare in modalità "fuori servizio".

"A causa di problemi tecnici della Sogei non è stato possibile accedere al sito Internet dell’agenzia né chiamare il call center", hanno puntualizzato l'agenzia delle Entrate e l’agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Fino al pomeriggio anche "l'attività di assistenza degli uffici locali" ha avuto problemi.

Come se non bastasse è stato impossibile accedere anche alla piattaforma Ts Sogei per la certificazione di malattia online per la ricetta elettronica. Beh, questo è valso solo per le Regioni che dispongono già del servizio.

Alla fine cosa è realmente successo ieri? Problema elettrico, problema hardware, problema software? Forse non lo sapremo mai, ma ci sono almeno due certezze che possono essere utili per qualche valutazione. La prima è che sul sito ufficiale della Sogei non appare neanche un comunicato su quanto avvenuto ieri. Magari un po' di trasparenza in più non farebbe male.

Il secondo dettaglio è che lo scorso giugno "è entrata nella fase operativa sul sito istituzionale dell'Agenzia delle entrate, la procedura di accreditamento relativa al nuovo Sistema di interscambio Dati, denominato SID" di Sogei.


In pratica a giugno hanno montato la nuova infrastruttura informatica. 

lunedì 25 novembre 2013

Spendig review: sanità e spese (2)

Da Panorama.it

Ecco le spese pazze degli ospedali d’Italia

Il commissario alla spending review Cottarelli non avrà vita facile: negli acquisti della sanità i prezzi oscillano in modo pauroso e mancano le informazioni.
Come testimonia la seconda parte dell’inchiesta di Panorama

Auguri al commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, che lunedì 18 novembre ha promesso 6-7 miliardi di minori spese nella sanità nei prossimi tre anni. Dopo le bacchettate della Commissione europea, che giudica troppo timido il governo italiano sui tagli, Palazzo Chigi rimette al centro dell’azione la riduzione delle spese (un tema su cui Panorama batte da mesi), con un’attenzione particolare alla sanità. Ma se davvero Cottarelli vorrà avvicinarsi a un obiettivo così ambizioso dovrà combattere contro una quantità di cattive abitudini che a parole sono state debellate mille volte e tuttavia non cessano di aggravare inutilmente i bilanci delle asl e degli ospedali italiani. La prima, da cui molte altre discendono, è la difficoltà con cui circolano le informazioni nel sistema sanitario nazionale. Nella precedente puntata di questa inchiesta Panorama ha rivelato che il medesimo stent coronarico (lo Xience Prime) viene comprato a prezzi ben diversi nelle varie regioni del Paese: 448,95 euro in Toscana, 478,83 in Emilia-Romagna, 850 in Piemonte, per citarne solo tre.
Come devono sentirsi i vertici di un ospedale, scoprendo che ad appena 300-400 chilometri di distanza i loro colleghi pagano lo stesso strumento poco più della metà? Giuseppe De Filippis, direttore sanitario dell’Ospedale Mauriziano di Torino (quello dello stent a 850 euro, appunto), tiene a precisare che quel prezzo era valido fino a qualche tempo fa ed è stato rinegoziato. Ora costa 770 euro. Meno di prima, d’accordo, ma sempre molto più degli altri. «La differenza» afferma «può dipendere in parte dai quantitativi: noi abbiamo ordinato solo 300 pezzi. Immagino che la centrale di acquisto della Toscana tratti quantità di gran lunga superiori».
Anche questo incide, ed è un solido argomento per collocare la centralizzazione degli acquisti in cima all’agenda di Cottarelli. Tuttavia, c’è un altro punto cruciale, che viene segnalato dal direttore amministrativo dell’Ospedale Mauriziano, Chiara Serpieri: la mancanza di informazioni. «Il prezzo ottenuto dai colleghi in Toscana» dice «è riportato sul sito dell’Autorità di vigilanza per i contratti pubblici solo in modo generico, senza la marca del prodotto. In sede di negoziazione l’azienda fornitrice, la Abbott, ci ha detto che non si sarebbe attenuta al prezzo di riferimento dell’Autorità, in quanto non era relativo al modello in questione. E noi non abbiamo avuto argomenti per replicare. Se la dicitura con cui il prodotto è indicato nel sito dell’Avcp fosse stata più completa, avremmo avuto un’arma in più per negoziare». È solo un esempio, ma se si pensa che una semplice correzione testuale sul sito dell’Autorità di vigilanza avrebbe potuto fruttare all’Ospedale Mauriziano di Torino parecchie migliaia di euro di risparmi, è giusto chiedersi quanti soldi si sprecano ogni giorno in tutta Italia per problemi della stessa natura.
I primi nemici da debellare nella lotta contro la voragine finanziaria della sanità sono dunque gli enormi scostamenti esistenti fra una regione e l’altra in tutti i parametri più importanti: non solo i costi di beni e servizi, ma anche la qualità delle prestazioni, le quantità dei singoli prodotti acquistati, il livello della spesa farmaceutica pro capite. Per finire ai bilanci sanitari delle singole regioni, che in genere rappresentano la sintesi migliore di tutto il resto. I disavanzi regionali del 2012, con i 660,8 milioni di passivo del Lazio e i 156 della Campania, contrapposti agli attivi di regioni virtuose come le Marche, l’Umbria, la Lombardia, il Veneto, sono eloquenti. Per questo è fondamentale la partita dei costi standard, con l’individuazione delle tre regioni migliori che dovranno essere prese a riferimento da tutte le altre. Il governo vorrebbe procedere già dagli ultimi mesi del 2013, ma l’importante è che si metta finalmente in funzione un meccanismo efficiente di perequazione almeno dall’inizio del 2014.
È eloquente al riguardo la tabella sulle differenze dei prezzi pubblicata nella pagina accanto. Vi si rileva non tanto che la mediana dei prezzi è sensibilmente più alta dei prezzi di riferimento fissati dall’Autorità per i contratti pubblici. Quel dato è del 2012, ossia del momento in cui il prezzo «giusto» è stato fissato dall’Autorità, insieme con l’obbligo di non superarlo di più del 20 per cento. Più significativo è il comportamento delle regioni meno virtuose (di cui però non vengono indicati i nomi), esaminato per tutti questi mesi dalla Regione Veneto, in quanto coordinatrice del tavolo sui costi standard nella conferenza Stato-regioni. Se le differenze sono così ampie, vuol dire che ci sono aree d’Italia in cui i prezzi di riferimento vengono sforati, regolarmente, alla grande. Vista la confusione che regna nella spesa sanitaria, qualcuno obietterà probabilmente che il Tar del Lazio ha smontato da tempo il prezzo di riferimento come limite obbligatorio, accogliendo il ricorso di diversi fornitori. Ma attenzione: questo è vero solo per i dispositivi medici e per una piccola quantità di farmaci. Per tutto il resto invece il prezzo di riferimento dovrebbe essere considerato un limite invalicabile, come evidentemente non è.
Scostamenti importanti si verificano perfino all’interno di una stessa regione. Nelle tabelle a pagina 89 relative ai prezzi di tre regioni (Lombardia, Toscana e Puglia) si vede come gli stessi beni siano acquistati a prezzi notevolmente diversi anche a poche decine di chilometri di distanza. I dati, forniti dal ministero della Sanità, sono relativi al 2012 e in qualche caso sono stati migliorati grazie agli sforzi fatti per unificare le centrali di acquisto, ma rappresentano comunque una testimonianza del caos della sanità.

Per mettere un po’ d’ordine non c’è che un sistema: allestire centrali di acquisto per aree di dimensione regionale, cosa che consente anche di spuntare prezzi migliori facendo leva sulla quantità. Sembrano aver capito la lezione in Toscana, regione che pure non è entrata nel gruppetto delle prime cinque più virtuose, dove otto anni fa è iniziato il processo di centralizzazione degli acquisti con la costituzione di tre enti per i servizi tecnico-amministrativi di area vasta (Estav) per la quasi totalità degli acquisti nelle diverse aree regionali. Pochi giorni fa la giunta ha approvato un passo ulteriore, che porta le centrali di acquisto da tre a una sola. «Il segreto di questo tipo di organizzazione» spiega a Panorama l’assessore al Diritto alla salute della Toscana, Luigi Marroni, «è che produce una standardizzazione dei consumi. Dal momento che tutti devono comprare insieme, si evita che ci siano centinaia di siringhe o di guanti diversi. Basta averne 20». Proprio sulle siringhe per iniettore usate nelle tac si è potuta toccare con mano recentemente la prova lampante dell’efficacia di questo ragionamento. Fino al 2012 il prezzo di acquisto oscillava fra i 12 euro di Massa e Carrara e i 19 di Firenze. È bastato acquistarle in modo unificato da parte delle tre centrali (passando da 28 a tre tipi diversi) per produrre un crollo del prezzo per tutti fino a 5,9 euro per siringa. Un altro esempio dei benefici della centralizzazione viene dalla Puglia (che pure si sta muovendo in modo non troppo spedito su questa strada): la distribuzione diretta delle bombole di ossigeno liquido ha comportato un dimezzamento della spesa da 32 a 16 milioni.
La raccomandazione costante di tutti coloro che si muovono per mestiere nel labirinto della sanità italiana è di non fermarsi alle apparenze. Il divario dei prezzi è la prima cosa che salta agli occhi, ma ce ne sono parecchie altre importanti. L’eccessiva varietà dei modelli (come abbiamo visto) è una delle barriere al cui riparo prospera l’impennata di alcuni prezzi, però bisogna tenere d’occhio anche le quantità dei beni acquistati e delle prestazioni fornite. Che possono dilatarsi anche senza particolari interessi, per semplice mancanza di organizzazione. «Un fattore di lievitazione della spesa» spiega a Panorama Maria Teresa Brassiolo, presidente della sezione italiana di Transparency international, associazione non governativa e non-profit che si propone di combattere la corruzione, «è la mancanza di distinzione fra strutture di eccellenza attrezzate per gli eventi più critici e il resto dell’assistenza ospedaliera. Nelle strutture di eccellenza, dove un paziente costa in media 2.200 euro al giorno, la degenza potrebbe essere di 3-4 giorni, per poi accompagnare i pazienti in strutture più adatte alle loro condizioni, con un costo di almeno 1.000 euro inferiore. In Italia succede invece che si resti sempre nello stesso ospedale, in media per 10-12 giorni».
Moltiplicando la differenza del costo quotidiano per i milioni di pazienti ricoverati ogni anno viene fuori un ordine di grandezza piuttosto alto. Come pure il racconto della Brassiolo su un episodio verificatosi poco meno di 10 anni fa, quando la consulenza di Transparency era stata richiesta da una asl della capitale che rischiava di dover portare i libri in tribunale. «Il responsabile ci ricevette dopo ore di attesa, scusandosi perché costretto ad assentarsi di continuo per discutere con contabili e avvocati. Parlammo con lui un’oretta, con l’accordo di incontrarci di nuovo. Non si è fatto più sentire». Nel frattempo era intervenuto il governo, mettendo sul tavolo qualche miliardo per quella asl e altre due che si trovavano in condizioni analoghe. Mettersi a studiare come ridurre gli sprechi non era più necessario.

Economia: Italia e Germania

Da Panorama.it

Le opposte malattie di Italia e Germania

L’Italia ha deluso sulle riforme. E la Germania non accetta di subire lezioni

di Stefano Cingolani, 25 nov 2013
E se la chiave di tutto fosse nella catena di valore della Bmw? Sì, la chiave per capire la potenza industriale tedesca, il suo ruolo nell’economia globale, il primato in Europa... Detto così sembra un esercizio da business school. Introdotto nel 1985 dal guru americano Michael Porter per giudicare l’efficienza competitiva, il modello analizza le componenti del prodotto e calcola il valore aggiunto in ogni fase lavorativa. Ebbene, vivisezionando la Bayerische Motoren Werke si scopre che solo metà di una vettura è made in Germany.
I freni sono italiani, della Brembo. I cambi, progettati dalla tedesca Getrag, vengono fabbricati a Brindisi. I compressori in Giappone. Parti decisive dei motori negli Stati Uniti. Secondo le cifre ufficiali, il 17,3 per cento dei fornitori si trova in Europa occidentale, il 14,8 in quella centrale e orientale, il 13,4 in Nord America. In patria resta soprattutto il valore cosiddetto immateriale, dalla progettazione al marchio. E questo basta, garantisce qualità, consente di tenere alti prezzi e profitti. Proprio come alla Apple. E in fondo una Bmw sta all’industria dell’auto come l’iPhone a quella dei telefonini. La leggendaria meccanica tedesca, insomma, non è più solo tedesca: tutta la grande manifattura occidentale segue lo stesso paradigma sovranazionale, eppure al made in Germany non si resiste. Per Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, l’attivo della bilancia commerciale messo sotto tiro dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti non è altro che «la conseguenza della maggior competitività della nostra industria». Nella media degli ultimi tre anni è arrivato al 6,5 per cento del pil, ma verso l’area euro il sovrappiù si è dimezzato.
La Germania non fa da locomotiva? Falso, replica la banca centrale, ha trascinato verso l’alto anche le esportazioni italiane che hanno chiuso settembre, ultimo mese stimato, con una crescita tendenziale del 2 e un guadagno mensile dello 0,6 per cento. L’attacco per abuso di export, perciò, sembra a Berlino non solo ingiusto, ma insensato. «L’Europa non diventa più forte se noi ci indeboliamo» protesta il portavoce di Angela Merkel. E poi tutto questo riguarda il passato, perché le cose stanno cambiando. Il Consiglio economico che avvisa governo e parlamento prevede, nel suo ultimo rapporto, che la crescita del 2014 sarà tirata dalla domanda interna e non più dalle esportazioni.
Tanto rumore per nulla? «No, siamo diventati un problema per l’intera economia mondiale» sostiene Peter Bofinger, uno dei cinque saggi, che ha messo per iscritto il suo dissenso. È l’unico keynesiano nell’esclusivo club di sapienti e si deve a lui l’idea di un salario minimo cavallo di battaglia della Spd (e che probabilmente Merkel dovrà accettare in cambio dell’appoggio al governo di Grande coalizione). Il professore, dunque, si trova in sintonia con le critiche del Fondo monetario internazionale e dell’amministrazione Obama. Ma non è solo un conflitto dottrinario. Persino un monetarista come Hans-Werner Sinn, presidente dell’istituto di ricerca Ifo e implacabile critico dell’euro, sostiene che un attivo con l’estero pari a 7 punti di pil «è malsano». È tornato, insomma, il mercantilismo come nell’era Bismarck. Con esiti paradossali: «Se tutti noi puntassimo solo sulle esportazioni, alla fine a chi venderemmo le nostre merci, ai marziani?» ironizza l’economista americano Brad DeLong, fiero avversario dell’«austerità espansiva» teorizzata da Alberto Alesina. Una cosa è certa: mai nell’ultimo decennio la Germania si è sentita tanto attaccata e tanto isolata. E a questo punto è più difficile gettare sotto il tappeto la polvere che ricopre il Modell Deutschland, come è avvenuto in passato.
Le resistenze all’unione bancaria mascherano le difficoltà delle banche tedesche: la numero uno, la Deutsche Bank, è strapiena di derivati e titoli tossici; la numero due, la Commerzbank, è stata salvata dal governo che non riesce a rivenderla; gli istituti locali sono sull’orlo del fallimento anche se la ripresa ha dato loro un po’ d’ossigeno. Persino l’industria elettrica è a pezzi sotto l’effetto perverso degli incentivi pubblici per il fotovoltaico, il vento e le rinnovabili. Clamoroso esempio di errore politico: Merkel ha lisciato il pelo ai Verdi, a cominciare dal blocco delle centrali nucleari, creando così una vera crisi energetica.
La Commissione europea ha bacchettato la legge di stabilità, sebbene il bilancio pubblico sia in pareggio. Rimprovera a Berlino di non aver applicato la stessa regola nei Länder, che sono il vero tallone d’Achille. La pressione fiscale resta troppo alta, la spesa sanitaria continua a salire in un paese sempre più vecchio, e a tutto ciò s’aggiunge la questione retributiva. Bofinger parla senza mezzi termini di dumping salariale e dà ragione ancora una volta agli Usa. È l’equivalente di una svalutazione, si produce con un costo del lavoro ridotto e si vende all’estero a prezzi più elevati.
S’è fatto sentire anche Enrico Letta: «Se restate forti da soli, rimarrete in un deserto» ha proclamato. Venerdì 22 novembre vola di nuovo a Berlino. La prima visita, il 30 aprile scorso, fu tutta sorrisi e cortesie, adesso deve convincere il cancelliere che il governo italiano sta in piedi anche dopo la frattura del Pdl e che le critiche rivolte dall’Unione Europea alla legge di stabilità italiana sono esagerate. Sia la Kanzlerin sia i partiti della grosse Koalition «non hanno nulla da offrire e molto da chiedere» sintetizza una fonte della diplomazia italiana.
Non sono più rose e fiori nemmeno con il presidente della Bce, Mario Draghi, sul quale piove l’accusa di tenere i tassi troppo bassi per aiutare i paesi in difficoltà, Italia in primis. Quanto alla conferenza sulla disoccupazione giovanile che Roma vuole realizzare l’anno prossimo (quando assumerà la presidenza di turno della Ue), è come la canzone di Mina: parole, parole, soltanto parole. Con una crescita inferiore all’1 per cento non si creano nuovi posti di lavoro.
Sulla politica europea prevale la linea conservatrice anche fra i socialdemocratici. Niente eurobond, nessuna possibilità che i debiti pubblici vengano messi in comune. No anche al fondo di riscatto. L’idea era venuta dai cinque saggi e prevede che confluisca in un European redemption fund (Erf) l’importo dei vari debiti pubblici degli stati dell’eurozona superiore al 60 per cento del pil; gli stati garantiscono attraverso i loro asset pubblici e una percentuale di tasse. Non ci sarebbe bisogno di riformulare i trattati, l’Italia pagherebbe interessi più bassi, ma la Germania teme di doversi sobbarcare costi maggiori rispetto agli attuali. In campagna elettorale la Spd ha sostenuto la proposta, ma alla fine ha piegato la testa. Altro che gioco di sponda tra i partiti di sinistra, è roba buona solo per i comizi. A Letta l’invincibile Angela chiede un taglio più coraggioso della spesa pubblica e la riforma del mercato del lavoro. Qui davvero la Germania ha una lezione da impartire.
Il tasso di disoccupazione è sceso al 5,2 per cento, la Ue è a quota 12,2, l’Italia al 12,5. Anche la tassazione sul lavoro e sulle imprese è inferiore e tutto ciò è dovuto alle riforme decise nel 2003 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. I cinque saggi (su questo sono tutti d’accordo) temono passi indietro, per esempio riducendo la flessibilità, promettendo assunzioni a tempo indeterminato e concedendo troppe eccezioni al nuovo limite di 67 anni per l’età pensionabile.
Ma l’Agenda 2010 (le riforme di Schröder approvate dal parlamento tedesco nel 2003) resta un punto fermo. Così come i contratti aziendali che hanno accettato la riduzione dei salari e l’aumento delle ore lavorative per difendere i posti di lavoro.
Nella catena di valore della Bmw, infatti, entrano a pieno titolo sia l’atteggiamento dei sindacati sia una magistratura del lavoro che svolge una funzione di arbitro: lo scopo è stabilire il rispetto delle regole, lasciando pieno spazio ai rapporti contrattuali fra le parti. Vuoi vedere che il modello tedesco, con la sua cogestione e i tanti orpelli indossati dalla madre di tutte le socialdemocrazie, è più liberale di quello italiano?

sabato 23 novembre 2013

Come il sonno può aiutare a dimagrire

Da Libero Quotidiano

LA NUOVA "DIETA" DAGLI STATES

Come il sonno può aiutare a dimagrire

La ricerca dell'università dello Utah: non abbandonate le forchette, è più importante un controllo rigoroso delle proprie dormite. Fate così...

23 nov 2013

Dieta a base di frutta e verdura con eliminazione di carboidrati. Dieta Dukan ad alto contenuto proteico. Dieta dei colori. Attività fisica compulsiva, litri e litri di acqua al giorno per eliminare le tossine. 

Quante diete esistono, quanti le hanno alternate tutte per cercare quella adatta al proprio fisico, quanti non hanno visto i risultati sperati. 
Ma se il rimedio al dimagrimento fosse nell'orologio

Secondo uno studio condotto dalla Brigham Young University, campus di Provo, nello Utah, e pubblicato sulla rivistaAmerican Journal of Health Promotion, è infatti la sveglia a mantenere in forma: alzarsi ogni mattina alla stessa ora (e dormendone otto tutti i giorni) potrebbe contribuire a restare magri. 

Se le ricerche passate avevano mostrato come dormire in modo insufficiente non aiutasse la salute, il recente studio ha provato proprio che svegliarsi a un'ora precisa tutti le mattine aiuterebbe addirittura ad abbassare il peso corporeo. 

Nel dettaglio, l'indagine mostra come dormire meno di sei ore e mezza o più di otto ore e mezza per notte è associato a una maggiore quantità di peso corporeo. 

La ricerca, inoltre, sottolinea come la qualità del sonno sia importante per la "composizione" dell'organismo. 
Gli scienziati, per dimostrare le loro tesi, hanno coinvolto oltre 300 donne di età compresa tra i 17 e i 26 anni, le cui azioni, per una settimana, sono state tracciate e analizzate in relazione al sonno. 
A letto presto dunque: camomilla, pigiama... e ritorno alle forchette.

Chiudiamo i siti di recensioni di alberghi e ristoranti

Da Libero Quotidiano

DOPO IL CASO DELLA PROF QUERELATA

Abbasso il "mostro utente"Chiudiamo i siti di recensioni di alberghi e ristoranti

Dare voti al cibo e ai letti è diventato un vero trip. Per chi sopporta le peggiori ingiustizie ma non sopporta la pasta scotta

di Selvaggia Lucarelli, 23 nov 2013

Prima o poi doveva succedere. 
A furia di improvvisarsi critici gastronomici, gli utenti di Tripadvisor cominciano a passare qualche guaio. 
La prima italiana che inaugura la stagione della controffensiva legale dei ristoratori, è una professoressa di Bologna, che tornata a casa dopo una cena in una nota osteria del centro, ha fatto quello che ormai fanno un milione e duecentomila italiani dopo essere stati al ristorante: ha aperto il suo pc, è andata sul più grande portale di viaggi del mondo e ha scritto, testuale,  che in quell’osteria «il vino era imbevibile. Neanche avariato, ma una roba da creare problemi di salute».  
Dopo di che, non è ben chiaro se abbia chiamato il notaio per fare testamento o se sia andata al pronto soccorso implorando una lavanda gastrica, ma qualcosa mi dice che in realtà se ne sia rimasta davanti al computer a vedere se gli altri utenti le dessero ragione. 

Di sicuro, non le ha dato ragione il proprietario dell’osteria bolognese, che alla lettura del suo commento, non ha di certo stappato una bottiglia. 
E non per evitare la reiterazione del reato di avvelenamento etilico, ma perché alquanto imbufalito, è andato alla prima stazione di polizia e ha denunciato la professoressa per diffamazione.  
Lo ammetto. Pur riconoscendo l’utilità di un portale in cui gli utenti possono confrontarsi liberamente sui servizi degli hotel e sulla qualità del cibo servita nei ristoranti, io nutro una profonda e radicata insofferenza per Tripadvisor e per tutti quei portali che contribuiscono alla creazione del Mostro Utente. 

Conosco i limiti dell’eccesso di democrazia sul web, conosco i limiti dell’anonimato 2.0 che apre le strade a meschinità e vigliaccate assortite, conosco certi italiani e la mitomania imperante alimentata da social, forum e portali in cui i contenuti li crea l’utente e dichiaro che la lettura dei giudizi degli utenti su Tripadvisor, Booking e  altri portali di viaggi, mi provoca una straziante mestizia.

Fatevi un giro su questi siti e vi farete una vaga idea di quello di cui sto parlando. Viviamo in un paese in cui ci facciamo andar bene tutto - ingiustizie, arroganza, corruzione, sopraffazione, mediocrità - ma se l’argomento è la melanzana alla parmigiana o la cotoletta milanese,  il petto si gonfia di italico orgoglio e ci trasformiamo in un popolo di implacabili giudici del gateau di patate. Basta scegliere  un ristorante a caso e leggere i giudizi degli utenti medi. Chi apostrofa una bistecca come neanche un pirata della strada che ha falciato il suo chihuahua. 

Critica ai tovaglioli - Chi ha calcolato il tempo medio tra una portata e l’altra ricavandone un algoritmo che ti dirà in quanto digerirai il tiramisù. 
Chi si improvvisa arredatore e critica  l’abbinamento tovaglioli blu/tovaglia azzurra sostenendo che cozza con l’aspetto cromatico dei frutti di bosco ordinati a fine pasto. Chi sottolinea la cafonaggine dei camerieri fornendo, nel migliore dei casi, dei ritratti psicologici dei suddetti che neppure Freud nei suoi momenti migliori e, nel peggiore dei casi, l’indirizzo di casa per andarli a prendere a mazzate poiché colpevoli di non aver messo il cioccolatino sul piattino del caffè. Un tale mix di boria e gastronomica sicumera che Bastianich al confronto ha l’umiltà del lavapiatti

Ma non è finita qui, perché l’utente medio è anche light designer navigato e ha da ridire sulla luce dei faretti che illuminano la vasca con le aragoste. Ferrato entomologo, poiché in grado di classificare tutte le specie di zanzare presenti nel giardinetto interno del ristorante, affermando che alcuni clienti sono stati fulminati dalla malaria prima di riuscire a terminare il dessert. 
Rigidissimi assessori all’urbanistica, visto che in molti lamentano ubicazione del ristorante, scelta del quartiere in cui è stato aperto, scarsa illuminazione del parcheggio e fantasia delle tende della signora del piano sopra al ristorante. 
E lo stesso vale per i giudizi sugli alberghi. 
Tu vuoi sapere com’è un albergo a Luxor e anziché trovare commenti su quello che vedi dalla finestra, gli italiani non fanno che commentare cosa vedi nel piatto. O al massimo, scrivono:  «Ah sì, bella la vista sul Nilo, ma la pasta era scotta, la carne troppo speziata, un giorno le patate erano crude, nel fritto si sentiva che l’olio era di girasole, il carrello dei dolci molto limitato, l’acqua troppo gassata e il caffè italiano è un’altra cosa». Quelli che tornano e gli chiedi: «Ma quando siete usciti, siete stati al Tempio di Karnak?» e loro ti rispondono: «No guarda, abbiamo cercato un ristorante italiano, di quelli egiziani non ci fidavamo».

Difendetevi - Per quello che mi riguarda, i ristoratori fanno bene a difendersi, tanto più che Tripadvisor declina ogni responsabilità sui contenuti, pur essendone a tutti gli effetti il proprietario, e rifiuta il concetto di tracciabilità dell’utente invocando la famosa democrazia 2.0. 
Ovviamente, la tracciabilità gli farebbe perdere una buona parte di quelle 100 milioni di recensioni postate fino ad oggi da utenti di tutto il mondo, con gli italiani in prima linea nella feroce guerra al rigatone scotto. 
In compenso, Tripadvisor ha creato un attentissimo team antifrode a Londra formato da settanta persone. Sì, avete capito bene, settanta persone che vigilano su una media di sessanta commenti al minuto postati in tutte le lingue del mondo. Immaginate un ligio dipendente londinese dell’ufficio antifrode di Tripadvisor che si trova a giudicare il seguente commento alla pizzeria “Da Ciro” a Napoli: “’A pizz’ era ‘na chivica. Manco e cane. Puozze sculà!”. 
Ovviamente, questo caos di giudizi a briglie sciolte, ha creato ulteriori mostri:  oltre agli utenti mitomani, ci sono orde di ristoratori anonimi che demoliscono ristoranti concorrenti, consulenti reputazionali che anziché dare una mano a Berlusconi, vendono pacchetti di commenti positivi un tot al chilo, ritorsioni di rappresentanti di accappatoi o forchette consumate a colpi di giudizi negativi, con la conseguenza che un pallino in più o uno in meno su tripadvisor, talvolta può togliere il sonno ad albergatori e ristoratori già afflitti dalla crisi. Insomma, gli italiani non sono più un popolo di santi, poeti e navigatori. 
Sono un popolo di giudici di Masterchef. 
Il tutto, condito da una mortale aggravante, che come al solito si ripercuote sulle donne. 

Prima un uomo ti portava a cena e il dopocena era andare a casa sua. Ora è andare su Tripadvisor.

Le pagine delle motivazioni della sentenza del processo Ruby


Da Libero Quotidiano

Ecco le pagine delle motivazioni della sentenza del processo Ruby








































"Silvio Berlusconi praticava sesso orale con Belen Rodriguez".
Le motivazioni della sentenza Ruby, che vede il Cav condannato in primo grado a 7 anni per concussione e prostituzione minorile assumono sempre più le sembianze di una vera e propria "macchina del fango" guidata dalle toghe. 

L'obiettivo è il solito: screditare l'immagine pubblica di Berlusconi. Le notti di Silvio - Leggendo tra le pagine delle motivazioni, pubblicate da Affaritaliani.it emergono particolari "piccanti" su quelle notti ad Arcore in cui veniva praticato, secondo l'accusa, il cosidetto "Bunga Bunga". 
Particolari che valicano i limiti della privacy di ogni cittadino, ma soprattutto anche quelli della verità. 
I giudici di Milano hanno trascritto alcune deposizioni di Karima El Mahroug, detta Ruby, che avrebbe raccontato tutti i particolari "hot" delle presunte serate a villa San Martino. 

Le 330 pagine delle motivazioni della sentenza sembrano scritte proprio per infangare Silvio. 
Si raccontano scene boccaccesche tra Silvio e Sara Tommasi, Nicole Minetti e Belen Rodriguez.  "Il Cav con Belen" - "Berlusconi leccava genitali a Belen - rivela Ruby - mentre Nicole Minetti gli praticava sesso orale". "Il tutto mentre Barbara Faggioli ballava nella stanza", si legge nel dispositivo dei giudici. 
Sempre secondo le toghe "alle serate hanno partecipato anche la conduttrice Barbara D'Urso e l'onorevole Mara Carfagna". 

Belen: "Tutto falso" - I particolari dei festini di Arcore raccontati e pubblicati dai magistrati hanno scatenato subito polemiche feroci e smentite categorighe: ''In relazione alle notizie pubblicate in queste ore su alcuni siti tratte da dichiarazioni che sarebbero state rilasciate da Ruby circa la partecipazione di Belen Rodriguez a festini o ''cene eleganti'' la signora Belen Rodriguez intende precisare e ribadire quanto già dichiarato, a suo tempo, davanti al magistrato" e cioè che "non ha mai preso parte a tali festini o cene e si riserva di adire la magistratura contro chiunque diffonda tali false notizie", hanno comunicato infatti i legali della showgirl.

venerdì 22 novembre 2013

Come risparmiare sul "passaggio di proprietà" dell'automobile

Da International Business Times

Automobili: come risparmiare sul "passaggio di proprietà"

Di Vincenzo Iozzino, 20 feb 2013

Uno dei motivi principali per cui si sceglie di non sostituire l'auto è il prezzo del passaggio di proprietà, che in alcuni casi costa più del veicolo stesso: Incaricare un'agenzia significa aggravare ancora di più sul prezzo finale della pratica, ma esiste un modo per risparmiare, vediamo quale.

Prima di agire bisogna procurarsi alcuni documenti fondamentali:
  • Certificato di Proprietà (CdP)
  • Carta di circolazione originale e una fotocopia della stessa
  • Documento di identità e il codice fiscale dell’acquirente (due copie per entrambi)
  • Documento di identità del venditore
  • Modulo TT2119, utile per la richiesta di aggiornamento della carta di circolazione e reperibile gratuitamente presso gli sportelli telematici dell'automobilista (STA) presenti su tutto il territorio nazionale.

La presenza del certificato di proprietà è fondamentale, in questo modo si può procedere con l’atto di vendita che può essere costituito da una dichiarazione unilaterale di vendita, essa deve essere necessariamente completa di firma autenticata del venditore, ed occorre una marca da bollo da 14,62 euro e un documento di identità. In assenza del certificato di proprietà, bisogna rivolgersi prettamente all'ACI per la registrazione ed alla Motorizzazione per l’aggiornamento della Carta di circolazione.
Ci sono due possibilità, la prima prevede che il venditore vada al comune a fare "l'autentica di firma degli atti di vendita" successivamente all'acquirente il compito di presentare al PRA l'atto e fare il passaggio di proprietà. La seconda possibilità è più semplice e veloce, stesso procedimento ma in questo caso sia acquirente che venditore vanno insieme al PRA per fare contemporaneamente autentica e passaggio di proprietà.
Mediamente il costo finale di un passaggio di proprietà per un auto di 30 Kw si aggira intorno ai 250 Euro, ecco perchè:
- Emolumento ACI pari a 20,92 euro
- Imposta di bollo per la registrazione al PRA (29,24 euro se si usa il CdP oppure 43,86 euro se si utilizza un modello)
- Diritti MCTC (Motorizzazione Civile) 9,00 euro.
-Marca da bollo di 14,62 Euro

Inoltre vanno aggiunti 80 Euro per i costi fissi più l’Imposta Provinciale di Trascrizione (Ipt), che si basa sui Kw/cavalli fiscali del veicolo, incide anche la provincia di residenza del futuro proprietario. Generalmente, quando la potenza dei veicoli è inferiore ai 53 kiloWatt, l'imposta provinciale di trascrizione è determinata in cifra fissa, se superiore invece si pagherà 3,5119 euro a KW.
Se invece affidassimo il compito ad un'agenzia di pratiche auto, bisognerebbe aggiungere altri 100 Euro.

giovedì 21 novembre 2013

Il Csm non bada a spese: panini e brioches d’oro ai buffet dei magistrati

Da Libero Quotidiano

PAGHIAMO NOI

Il Csm non bada a spese

Panini e brioches d’oro ai buffet dei magistrati

Nonostante la richiesta di risparmiare, lievitano le spese per straordinari e catering del Csm: migliaia di euro a colazione

Di Franco Bechis, 21 nov 2013

Attenti, si spende troppo, e non riuscite a stare dentro la riduzione dei costi chiesta dalla legge. L’allarme viene suonato ormai ripetutamente al Consiglio superiore della magistratura dal presidente del Collegio dei revisori dei conti dell’organo di autogoverno della magistratura. È accaduto nel 2012, riaccade in questo 2013, visto che ancora una volta vengono integrati  capitoli di spesa che riguardano forfait per le sedute dei componenti del consiglio (che hanno sostituito i gettoni di presenza) e alcuni trattamenti accessori, dagli straordinari alle spese di staff. 
I revisori inviano lettere con formule di rito, autorizzando senza coinvolgersi troppo le maggiori spese «prendendo atto che le proposte variazioni sono ritenute corrispondenti alle effettive esigenze dell’amministrazione». Ma poi aggiungono sempre di volere verificare a consuntivo se queste improvvise integrazioni di bilancio si «rapporti alle economie di spesa a suo tempo perseguite, nella materia, con apposite modifiche regolamentari». 
Straordinari  Nel bilancio 2012 il problema si era presentato con un aumento rispetto alle previsioni di 248 mila euro al capitolo stipendi e assegni fissi a favore del personale di ruolo, e di 70 mila euro per il capitolo «spese per indennità di sedute dei componenti del Consiglio», che pure era divenuto forfettario proprio per non doverlo integrare con questo o quel gettone extra di presenza. Eppure su personale e staff si continua ad integrare i bilanci di previsione. 
Evidentemente Michele Vietti e i suoi principali collaboratori sono lavoratori instancabili. Tanto è che aumenta sempre la voce delle spese per straordinario che riguardano quegli staff. Si capisce anche dal consuntivo per gli straordinari militari. Al Csm si lavora così tanto da dovere pagare circa 10 mila euro di straordinari (circa 900 euro al mese) all’unico vigile urbano che nei momenti di punta deve regolare il traffico davanti alla sede Csm di piazza Indipendenza. 
Lo stesso Vietti deve fare le ore piccole al lavoro, visto che vengono pagati in media circa 600 euro al mese di straordinari a ciascuno dei sei militari che compongono la sua scorta. Un po’ di più - circa 700 euro medi al mese di straordinari  vengono pagati dal Csm  per l’extra lavoro compiuto da ciascuno degli 8 militari che fanno da autisti e scorta al primo presidente e al procuratore generale della Corte di Cassazione. E circa 500 euro al mese di straordinari vengono pagati regolarmente a ciascuno dei 13 carabinieri distaccati presso l’organo di autogoverno della magistratura. Evidentemente i carichi di lavoro sono così alti che bisogna fare le ore piccole. 
E ovviamente si spende non poco pure per gli straordinari del personale civile. Ma non è solo questa voce a preoccupare i revisori dei conti del Csm. Qualche problema è nato quest’anno dall’appalto biennale per il catering necessario per eventi (convegni, presentazioni, conferenze) organizzati dal Csm. 
Pranzi di lusso  La cifra in sé non sembra enorme: 50 mila euro. Ma si è scoperto che è quanto si è speso a consuntivo nel 2012 per 20 appuntamenti. In media dunque si è speso 2.500 euro di catering a presentazione. Naturalmente la spesa dipende dagli invitati e da che cosa si offre loro. In metà dei casi si è trattato di organizzare un buon coffee break. Negli altri un «light lunch» o un buffet durante la pausa pranzo dei lavori. Partecipanti? Risposta dell’amministrazione: «Da un minimo di 10 a un massimo di 80 persone». Tradotto in numeri: la spesa pro capite per evento oscillerebbe fra 31 e 250 euro. In ogni caso una follia se si tratta di semplici coffee break, ma improponibile anche in caso di pranzi-buffet di 10, 20 o 30 persone, a meno che sia usanza del Csm fare scorrere champagne a fiumi e servire agli ospiti tartine al caviale e terrine di fois gras. E così si è aperto un «dossier catering» in tempi di crisi che può fare andare di traverso il boccone ai vertici del Csm...
Franco Bechis

mercoledì 20 novembre 2013

Cuore dei ragazzi a rischio per il telefonino «notturno»

Da Il Corriere Salute

Cuore dei ragazzi a rischio per il telefonino «notturno»

I settantenni di domani avranno i vasi sanguigni
precocemente invecchiati per i disturbi del sonno
legati all’uso eccessivo dei dispositivi mobili

20 nov 2013

Malattie cardiovascolari: nel futuro, entro il 2030, le morti da queste patologie saranno più comuni nei Paesi dal reddito medio-basso rispetto a quelli dal reddito elevato. E questo a causa di un’errata globale strategia di prevenzione. Non solo, si prevede un’aterosclerosi dilagante nei giovani adulti. Un’”invecchiamento” precoce dei vasi sanguigni: i prossimi quarantenni potrebbero averli comi i settantenni di oggi. Per quale motivo? L’uso dei cellulari di notte. Gli esperti parlano di una preoccupante esplosione dei disturbi del sonno fra gli adolescenti che utilizzano le tecnologie di comunicazione mobile a tarda notte (studio in Svezia e ricerca analoga in Australia). E questo porterà all’aumento dell’aterosclerosi in età più giovane del normale. Con l’espansione dei telefoni mobili nei mercati emergenti (in Africa assistiamo a tassi di crescita molto rapidi), inoltre, il problema potrebbe presto interessare anche i Paesi in via di sviluppo. Tutto ciò nel rapporto The Heart of the Matter, sviluppato dall’Intelligence Unit del settimanale britannico The Economist. Rapporto di diverse pagine e tabelle, promosso da AstraZeneca, che analizza l’impatto delle malattie cardiovascolari (Mcv) nel mondo e arriva a teorizzare la necessità di un nuovo punto di vista sulla prevenzione. 

ALIMENTAZIONE, FUMO, INQUINAMENTO - La “globalizzazione” delle Mcv è una realtà: si stanno diffondendo sempre più nei Paesi in via di sviluppo a causa dell’aumento dei fumatori e dell’effetto imitativo rispetto a errati stili di vita dei popoli ricchi, in particolare a livello di alimentazione. Si tende a imitare ciò che è sbagliato. Primo dato negativo: secondo il Global adult tobacco survey, più del 40% degli uomini fa regolarmente uso di tabacco in 8 dei 14 Paesi a reddito medio-basso analizzati. Il secondo: i livelli medi di pressione sanguigna misurati in Africa sono fra i più alti al mondo e, al contrario dei Paesi sviluppati, si registra un costante aumento sia tra gli uomini sia tra le donne sin dagli anni Novanta (tra le cause probabili l’elevata assunzione di sale e la diminuzione dell’attività fisica). Terza negatività emergente: in Africa del Nord e in Medio Oriente la misura del giro vita è fra le più grandi al mondo e l’aumento nell’assunzione di grassi e di cibi “spazzatura” occidentali sta causando un aumento del rischio. Il quarto cambiamento nocivo: in alcuni Paesi, il rapido sviluppo economico sta causando un ingente degrado ambientale, oltre all’inquinamento dell’aria e acustico. Tutti fattori associati a un aumento dei livelli di Mcv (l’urbanizzazione priva di pianificazione porta a questo inquinamento, oltre ad aumentare lo stress e diminuire l’attività fisica, altri due fattori chiave dell’aumento del rischio cardiovascolare). 

IL TREND NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO - Queste patologie, nel loro insieme, sono responsabili oggi del 30% delle morti globali: la percentuale sale al 43% nei Paesi sviluppati - in diminuzione rispetto a 20 anni fa (48%) - mentre si attesta al 25% nei Paesi in via di sviluppo, ma con un trend in forte crescita. Il numero complessivo delle morti da malattie cardiovascolari è dunque cresciuto del 13% nei Paesi in via di sviluppo durante gli ultimi vent’anni (erano il 18% nel 1990). Nel futuro, entro il 2030, i decessi da Mcv saranno più comuni nei Paesi dal reddito medio-basso rispetto a quelli dal reddito elevato (secondo le proiezioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, Oms). Brasile, Russia, India e Cina si stanno velocemente avvicinando - per mortalità da cuore e vasi - a Stati Uniti ed Europa occidentale. Inoltre, la malattia delle arterie del cuore (le coronarie) e l’ictus (e qui sono i vasi sanguigni del cervello a essere danneggiati) sono due fra le prime quattro cause di mortalità in tutte le aree del mondo eccetto l’Africa (ma nemmeno questo continente ne è immune). Nei Paesi in via di sviluppo la situazione è più grave: la comparsa delle Mcv è stata rapida e molti Paesi avevano, o ancora hanno, un sistema sanitario inadeguato; colpiscono maggiormente la popolazione più giovane: il 90% delle morti per Mcv in tutto il mondo fra gli under 60 avvengono in Paesi dal reddito medio-basso. Si tratta di un grande peso di mortalità precoce che avrà gravi conseguenze per lo sviluppo di queste Nazioni. L’Economist sottolinea, inoltre, il carattere “ghettizzante” delle malattie cardiovascolari, che si stanno evolvendo in “malattie dei ceti poveri”: le persone meno abbienti hanno più probabilità di contrarre la malattia a causa del mancato accesso al corretto trattamento e alle misure preventive. 

PREVENZIONE - E qui si arriva a un nodo cruciale, quello della prevenzione, su cui riflettere per apportare rapidamente cambiamenti strategici. La prevenzione necessiterebbe di un radicale ripensamento a livello globale. Con un forte intervento politico, sanitario e culturale. Possibilmente con schemi più o meno analoghi ovunque. Il gruppo di esperti che hanno stilato il rapporto per l’Economist sottolinea: «I governi assegnano solo una piccola parte della loro spesa sanitaria alla prevenzione delle malattie di qualsiasi tipo, normalmente il 3% nei Paesi sviluppati (dati Ocse e Oms)». E soltanto un quarto dei pazienti riceve il più comune trattamento preventivo, i farmaci anti-piastrinici (studio Prospective urban rural epidemiology, o Pure, su oltre 150.000 persone in 17 Paesi). I tassi di prescrizione riflettono in parte il livello di ricchezza nazionale, ma anche nei Paesi dal reddito elevato soltanto il 62% dei pazienti ha assunto farmaci anti-piastrinici e il 66% ha assunto statine (anti-colesterolo), mentre uno su 9 non ha ricevuto alcun farmaco. Lo studio Pure ha inoltre rilevato che soltanto il 35% delle persone colpite da infarto o da ictus fa in seguito esercizio fisico regolare e soltanto il 39% segue una dieta sana. Mentre il 19% continua a fumare. Altre criticità: i sistemi sanitari sono costruiti sulla cura dei casi acuti, senza incentivi (o quasi) per i medici che investono maggiore tempo nell’educazione alla salute e nella prevenzione secondaria; solitamente i leader politici non vedono alcun vantaggio nel promuovere la prevenzione (preferiscono una spesa che abbia un impatto rapido e visibile, come la costruzione di un nuovo ospedale). Entrambi questi aspetti minano il nostro Paese, “azzoppato” nell’espressione di un’ottima sanità pubblica proprio dalla latitanza della prevenzione. Con danni economici devastanti. 

I COSTI - Come spiega l’Economist: il costo globale delle malattie cardiovascolari è pari oggi a oltre 830 miliardi di euro all’anno, con la previsione di toccare i mille miliardi tra dodici anni (studio congiunto effettuato dalla Harvard school of public health e dal Forum economico mondiale). Le singole stime del costo totale annuale delle Mcv per le economie degli Stati Uniti e dell’Europa nello stesso periodo ammontano rispettivamente a 260 e 243 miliardi di dollari (all’incirca il 2% del Pil per entrambe le economie). Consigli dell’Economist? A livello istituzionale occorre portare l’educazione alla salute nelle scuole, incoraggiare un minore consumo di grassi e pensare una progettazione urbana che renda più semplice camminare. Alcuni semplici interventi, come i divieti di fumo nei luoghi pubblici, portano a una riduzione degli infarti nella popolazione interessata pari al 13% entro un anno. Il dibattito sull’efficacia delle “tasse” sul grasso o sulle bevande gassate è aperto (posizioni contrastanti e progetti pilota con risultati discordanti: la tassa sul grasso, per esempio, è fallita in Danimarca, ma è stata un successo nel progetto finlandese in Carelia settentrionale). Infine l’utilizzo della tecnologia per un uso più efficiente del personale e dei servizi sanitari, per diffondere la cultura della salute nella popolazione, per favorire il monitoraggio e così via.

Economia e moderni economisti

Da Panorama.it

Economia e moderni economisti: salvateci!

La disciplina che dovrebbe rendere migliore e più giusta la società ha perduto la sua funzione di scienza sociale. Così ha prodotto i disastri che oggi vediamo

di Fabrizio Pezzani, ordinario di programmazione e controllo, Università Bocconi di Milano
20 novembre 2013

Ormai i loro nomi non sono più sui giornali: Eugene F. Fama, Lars Peter Hansen e Robert J. Shiller. Ma solo poche settimane fa sono stati premiati    con il «Nobel per l’economia». Anche quest’anno il riconoscimento è andato a studiosi statunitensi che si occupano dei mercati finanziari e della loro efficienza. Non è un dettaglio il fatto che, tra i possibili vincitori, erano stati indicati soltanto economisti americani con forte propensione alle scienze quantitative.

Ora, dopo che le cronache hanno esaurito la loro carica trionfalistica sui vincitori, ci si deve però domandare se gli Usa, con un modello socioculturale al collasso, siano da evidenziare come esempio per gli studiosi di economia. La scelta dei premiati solleva infatti più di un dubbio sull’opportunità e sulla coerenza storica di un simile riconoscimento che dovrebbe essere finalizzato a rendere migliore e più giusta la società.

L’economia non era tra le scienze indicate da Alfred Nobel come destinatarie del premio, infatti il premio venne istituito nel 1969 e finanziato dalla Banca di Svezia. La finalità del Nobel, secondo le intenzioni del fondatore, era di stimolare la ricerca nei campi che illuminano e aiutano l’uomo «a vivere degnamente», ma non sembra che i Nobel assegnati alle scienze economiche negli ultimi 20 anni (almeno 15 a matematici puri) abbiano assolto a tale scopo. La finanziarizzazione dell’economia reale, riconosciuta come verità incontrovertibile dai Nobel, ha avuto la massima espressione negli Stati Uniti e ha creato una società con una concentrazione di ricchezza senza pari nella storia e con patologie da Terzo mondo.

L’economia nasce come scienza sociale e morale e la sua etimologia deriva dal greco antico «oikia nomos», cioè l’arte di guidare e gestire la casa, la società in senso più ampio, la polis. Il grande John Maynard Keynes era uno scienziato sociale, ma quest’indirizzo di studi si è ben presto abbandonato a favore di un approccio quantitativo. Così l’economia si è tramutata da scienza strumentale in scienza morale (cioè finalistica) ed è stata studiata sempre più con l’abito mentale di chi cura le scienze positive, cioè solo ciò che è misurabile, ipotesi che in una scienza sociale rappresenta una fatale limitazione. L’economia come sapere morale diventa una verità incontrovertibile che può essere studiata come scienza esatta e retta da un principio di razionalità assoluta. La società dell’uomo diventa secondaria nello studio e assume la funzione di variabile dipendente.

Il primo a mettere in guardia da tale approccio è stato Friedrich von Hayeck, che nel suo discorso di accettazione del Nobel nel 1974 dirà: «Abbiamo pochi motivi per essere orgogliosi. Come professione abbiamo combinato un gran pasticcio. 
Mi pare che questo fallimento degli economisti nel guidare positivamente la politica sia strettamente collegato alla loro tendenza a imitare quanto più possibile le procedure delle scienze fisiche (...) un tentativo che nel nostro campo può condurre a un errore fatale». I suoi ammonimenti non sono valsi a nulla perché troppo grandi erano gli interessi in gioco che hanno finito per costruire un sistema di relazioni tossiche tra finanza, politica e accademia. Anche Joseph Stiglitz recentemente ha sottolineato come la teoria delle aspettative razionali sia stata un flop e metta a rischio non solo la credibilità della professione o dei policy maker ma anche la stabilità e la prosperità delle nostre società e delle nostre economie.

I fatti hanno confermato tutte le preoccupazioni per tempo sollevate. L’applicazione dell’ingegneria finanziaria ha creato prodotti disastrosi estendendosi al di là della sua controllabilità, e il mondo della finanza ha assunto una dimensione mitologica, cioè una sorta di favola che si studia come fosse esistente ma si allontana sempre più dalla realtà. I mercati non sono razionali perché la natura dell’uomo che vi opera ha una dimensione emozionale che condiziona sempre le sue scelte. Paradossalmente i Nobel di quest’anno considerano l’ipotesi di comportamenti non sempre razionali (Shiller), ma allora come si giustifica quello assegnato a Robert Lucas nel 1995 («i mercati sono razionali e non sbagliano mai nell’allocazione delle risorse»)? È realistica l’ipotesi che vi sia una simmetria informativa individuabile nel mito della concorrenza perfetta che non esiste nell’attuale oligopolio finanziario? Ancora: a parità di informazioni gli operatori hanno tutti gli stessi identici interessi? Il mito comincia a mostrare le crepe e la realtà a lungo ignorata fa emergere i limiti in tutta la loro evidenza.

Purtroppo i Nobel sono ancora premi discutibili, non coerenti con i fatti della storia, ma forse trovano la loro motivazione nella necessità di legittimare studi e istituzioni che nel confronto con la storia si stanno giocando una partita pericolosa per tutti noi . È ora che l’economia torni a prendere contatto con la sua natura di scienza sociale e morale che si avvale però di una strumentazione quantitativa come mezzo, non come fine, e riportare così l’uomo e la società al centro del nostro interesse.

Economia e moderni economisti: salvateci!
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