martedì 31 dicembre 2013

Riflessioni su una ricorrenza: cent'anni dall'inizio della Prima Grande Guerra, nel 1914, ma la situazione oggi è assai differente...

Da Il Sole 24 Ore

di Carlo Bastasin, 31 dic 2013



La mancanza di altre certezze rende attraenti gli anniversari. Così sul 2014 torna e ritorna incessantemente l'eco del 1914, anno di inconsapevole scivolamento verso una carneficina senza precedenti.



Anche Angela Merkel ha citato con pathos l'incoscienza, o il sonnambulismo, con cui il mondo è entrato nella Prima guerra mondiale.
Ma gli anniversari non sono che un trompe-l'oeil. Se c'è un anno che ricorda il 2014 questo è piuttosto il 1920, un anno che segue, non che precede, la distruzione. Secondo quella che Raymond Aron chiamava la "spietatezza delle statistiche", nel 1920 la popolazione europea era più o meno la stessa di dieci anni prima. Il reddito nazionale e il livello di vita delle masse erano superiori nei principali Paesi rispetto al 1914. I quattro anni di guerra apparivano solo «come una diminuzione temporanea su una curva crescente». Invece, dopo solo pochi anni, le conseguenze politiche della Prima guerra mondiale posero le premesse della Seconda, ancora più sanguinosa.


Le analogie storiche sono forzature. Eppure il recupero economico del primo dopoguerra ci costringe a interrogarci, se è vero che perfino negli Stati Uniti la quota di occupati nel 2013 non è aumentata rispetto al 2009 e che il reddito potenziale è arretrato rispetto a quello di cinque anni fa. L'ossessione per i cicli politici ci fa perdere di vista i cambiamenti strutturali. Larry Summers, sostenitore di uno scenario di "stagnazione secolare" ricorda che il reddito del Giappone è oggi metà rispetto a quello che era stato previsto alla metà anni Novanta. Se l'Italia avesse mantenuto il livello di crescita potenziale di venti anni fa – un calcolo peraltro quasi impossibile – il suo reddito sarebbe il 50% più alto di quello attuale: come danni di una guerra persa per distrazione, senza essere nemmeno combattuta.



Proprio perché il sangue non si vede, servivano gli occhi della buona politica per non oscurare le vittime. L'analogia con il 1920 ci insegna non solo che alcuni Paesi sono incapaci di recuperare le perdite economiche, ma che le conseguenze politiche possono essere peggiori di quelle economiche: la contesa elettorale perde il senso della costruzione, il discorso pubblico si avvita, lo sguardo si accorcia, tutto è sfiducia. Ma ciò che rende difficile il riaggancio a un'analisi razionale dei problemi nazionali è che come nel 1920 anche oggi in ogni paese, dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Cina all'Italia, la crisi è stata attribuita a ragioni diverse. Per gli spiriti razionali di un Paese in difficoltà come l'Italia, lo sforzo politico è ancora maggiore: non c'è riparo in un comune terreno di coordinamento politico internazionale. Di conseguenza un potenziale di nazionalismo coltiva sotto il rancore per le difficoltà.


Il paradosso è che nessuno più dubita di vivere in un mondo interconnesso. Le ripercussioni tra Paesi sono enfatizzate e compresse dal sistema finanziario e quindi sono maggiori in periodi di turbolenza. Quando il momento più acuto passa, chi è stato lento nell'uscire dalla crisi è anche isolato.
La crisi finanziaria globale ha lasciato in eredità alti debiti, tassi reali d'interesse negativi e una minore credibilità dei policymakers. Gli strumenti a disposizione – la politica fiscale, quella monetaria e la progettualità futura – sono esausti. In questo contesto, i guadagni del coordinamento delle politiche tra i Paesi sarebbero maggiori. Alcuni Paesi possono utilizzare la leva fiscale anche per quelli che non lo possono fare; altri quella monetaria, altri ancora quella istituzionale. Il coordinamento dovrebbe orientare i progetti politici nazionali.

Gli anniversari sono ingannevoli perché gli uomini sanno imparare dalla storia. La risposta di politica economica alla recessione del 2009 - peggiore di quella dell'inverno 1929-30 - ne è una dimostrazione. Abbiamo imparato e impiegato strumenti che non esistevano prima. La lezione politica resta elusiva. 
Come nel 1920 fatichiamo a ritrovare la strada del coordinamento internazionale. Tra America, Giappone ed Europa si sta aprendo il fronte del mancato coordinamento monetario. All'interno dell'Unione Europea si va perdendo il significato di una convivenza unica, il cui inedito coraggio era in realtà figlio proprio delle paure del Novecento. Il ritorno delle politiche "a casa propria" sta già gettando i semi della prossima crisi, che non verrà più dal centro del capitalismo, ma dalla sua periferia.

Piste ciclabili sospese, progetto londinese


31 dic 2013




Un progetto avveniristico, che potrebbe prendere vita a breve. L’architetto di fama mondiale Norman Fosterha progettato per Londra un sistema capace di regalare ai ciclisti uno spazio che non sia relegato solo ai lati delle carreggiate (peraltro spesso molto pericolosi) bensì in alto, in aria, con strade costruite solo per loro. Un’idea che ha stupito tutti e che sta suscitando, oltre agli entusiasti delle costruzioni avveniristiche nelle città, anche molti dubbi e perplessità.
Si tratta, nella sostanza, di un percorso riservato ai cicli di 221 km, costruito sulle linee ferroviarie subirbane e costituito di tre livelli; una sorta di grosso tracciato esclusivo nel quale, attraverso molti punti di accesso, i ciclisti potranno immettersi sulla via e pedalare senza auto o bus. 
Il progetto verrà sviluppato da Exterior Architecture, Foster & Partners e Space Syntax. I timori vengono soprattutto dall’altitudine, dal vento e dalla sicurezza della struttura, che comunque le società impegnate nella realizzazione confermano essere ai massimi.

lunedì 30 dicembre 2013

Titoli azionari per il 2014 (sarà vero?)





Nelle ultime settimane diverse banche d’affari hanno presentato le loro previsioni per il nuovo anno e appare quasi unanime l’indicazione degli analisti in merito alle prospettive positive per l’azionario. 
Anche il 2014 sarà all’insegna della crescita per le Borse che continueranno a regalare soddisfazioni e a rappresentare l’asset di investimento da preferire, anche se il ritmo di crescita dei listini azionari dovrebbe essere più lento rispetto a quello di quest’anno che si appresta ad essere archiviato con risultati decisamente brillanti, specie per alcuni mercati come quello giapponese che chiude il 2013 con un rialzo di oltre il 55%.

I titoli per il 2014 suggeriti da Banca IMI

Guardando in particolare a Piazza Affari, ci sono alcuni titoli che secondo i brokers sono destinati a fare meglio di altri durante il prossimo anno. 
Gli esperti di Banca IMI ad esempio hanno selezionato alcune "top pick" per il 2014, indicando tra i bancari Unicredit che proprio nei giorni scorsi è stata promossa con un rating migliorato ad “add” e un prezzo obiettivo rivisto al rialzo da 5 a 6 euro. 
Tra i titoli da aggiungere in portafoglio troviamo anche Buzzi Unicem, il cui target price è stato alzato a 10,3 a 14,6 euro, sulla scia di un miglioramento delle stime per il triennio 2013-2015, e buone notizie arrivano anche per Azimut che si è visto alzare il fair value da 20,85 a 21,5 euro.
Tra le blue chips consigliate per il 2014 troviamo anche Enel Green Power, oltre alla new entry Yoox il cui prezzo obiettivo è stato alzato da 27,33 a 32,1 euro. 

Un altro titolo hot per il prossimo anno è Generali per il quale il consiglio è di accumulare posizioni in portafoglio, con un target price rivisto da 15,75 a 18,7 euro, alla luce anche delle nuove stime indicate dagli analisti per il 2016.

Taxi vs Noleggio con Conducente


Da Trend-OnLine

Taxi, segua quel noleggiatore

In Francia, soprattutto nella regione parigina, si è assistito ad una proliferazione delle VTC (voitures de tourisme avec chauffeur, una sorta di noleggio con conducente).



La decisione francese, comparsa sulla loro Gazzetta Ufficiale, giunge malgrado il parere contrario dell’Antitrust nazionale e prevede due deroghe, a favore dei gestori di alberghi a 4 e 5 stelle (curiosa riserva nella riserva) e degli operatori professionali di autosaloni. Come sempre accade in questi casi, sarà interessante vedere come avverrà l’enforcement della regola dei 15 minuti, a partire dal controllo, ma tant’è.

In Francia, soprattutto nella regione parigina, si è assistito ad una proliferazione delle VTC (voitures de tourisme avec chauffeur, una sorta di noleggio con conducente), dopo una legge del 2009 per la modernizzazione dei servizi turistici, che prendeva atto dell’esistenza e dell’utilizzo di nuove tecnologie come le app per smartphone. Alla fine dello scorso giugno, in Francia operavano circa 5300 imprese di VTC, con 9800 auto a disposizione, che hanno segnato l’avvio di un mass market, mentre ad esempio in altri paesi l’offerta di simili servizi appare ancora confinata a segmenti “alti” in termini di costo medio della corsa, oltre che di fasce orarie particolari come quella notturna.

In Italia il problema si è già posto a Milano e Roma, dopo alcune intemperanze dei tassisti che hanno vandalizzato le auto Uber. 
Il Comune di Milano, in risposta, aveva stabilito (decisione poi bocciata dal Tar della Lombardia) che i veicoli Uber dovessero stazionare presso una propria rimessa unica (al massimo due), ottenendo di fatto quell’aumento dei tempi di risposta alla chiamata che la legge francese tenterà di ottenere con la regola dei 15 minuti (i taxi ufficiali a Parigi impiegano in media 7 minuti tra chiamata e presa a bordo del cliente).


sabato 28 dicembre 2013

Lo "spread" tra titoli italiani e tedeschi


Da Vincitori e Vinti

CHI HA FATTO DIMINUIRE LO SPREAD?

di Paolo Cardenà, 28 dic 2013


Essendoci economisti che cercano di diffondere l'idea che il crollo dello spread sia imputabile  al fondo salva stati (ESM) e, sulla base di queste convinzioni, sostengono che, per l'Italia, l'adesione al fondo sia stato un grande affare, dopo un precedente  post sull'argomento, si ritorna sul tema proponendovi alcuni grafici molto esplicativi che demoliscono del tutto questa tesi.

Il primo grafico proposto ci rappresenta una cosa assai nota: l'aumento dello spread di Italia e Spagna rispetto al bund tedesco è stato determinato dalla vendita dei titoli di stato da parte degli investitori esteri.


(attenzione: la scala di destra, che misura lo spread, è una scala inversa)


Infatti, come ci conferma questo secondo grafico tratto dal "Rapporto sulla stabilità finanziaria" della Banca d'Italia del 6 novembre scorso, gli investitori esteri nel periodo di massima tensione sul debito sovrano  hanno venduto circa 200 miliardi di euro di titoli di stato italiani (grafico di sinistra).




E' chiaro che, contraendosi la domanda (estera) dei titoli di stato, lo spread è aumentato fino ai livelli ben noti a tutti e rappresentati nel grafico successivo, dove viene anche evidenziato:
  1. il periodo temporale in cui gli investitori esteri hanno venduto i 200 miliardi di euro di titoli di stato (riquadro rosso);
  2. il crollo dello spread successivo al discorso di Draghi del luglio 2012, nel quale  affermò che la BCE avrebbe fatto tutto il necessario per preservare l'euro (freccia nera).



E da chi è stata assorbita l'offerta dei titoli di stato a seguito della diminuzione della domanda estera?

Dalle banche italiane che, da  gennaio 2011 fino a luglio 2013, hanno incrementato le loro posizioni in titoli di stato di circa 200 miliardi di euro, contribuendo (grazie alle 2 operazioni LTRO della BCE e al minacciato piano OMT di Draghi) ad abbattere lo spread fino ai livelli attuali.





Credo che ce ne sia abbastanza per affermare definitivamente  che il fondo ESM non sia stato per nulla determinante ai fini della diminuzione degli spread. A meno che non si voglia sostenere la tesi secondo la quale banche italiane abbiano acquistato i 200 miliardi di BTP grazie alla "garanzia" del fondo salva stati. Cosa tutta da dimostrare e comunque per nulla vera considerata  l'esiguità delle risorse a disposizione dell'ESM (700 miliardi di euro a regime)  rispetto agli  stock di debito pubblico di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo che, sommati, esprimono multipli assai superiori (vicini ai  4000 miliardi di euro) rispetto alle capacità del fondo ESM.

Ma se ciò non dovesse essere sufficiente, giova ricordare lo studio  di Paul de Grauwe, docente della London School of  Economics (certamente più autorevole di me che non sono un economista, ma anche di molti altri "economisti" che dicono di esserlo) dove viene affermato  in modo scientifico la fortissima correlazione tra lo spread iniziale -prima delle parole di Draghi del luglio 2012- e la diminuzione successiva. In altri termini, quei paesi che più avevano visto salire lo spread sono anche quelli che l’hanno visto scendere in modo più consistente. Quindi i mercati scommettevano “contro” alcuni paesi (cioè sull’uscita di essi dall’euro), ma quando la possibilità di scommettere si è ridotta a causa della “garanzia”, seppur potenziale, della BCE, allora proprio i paesi che erano stati maggiormente bersagliati sono stati quelli ad esserne (relativamente) più beneficiati. L’Italia per prima, al di là dell’austerità.

QUI potete trovare lo studio completo di DE GRAUWE



Conclusioni:
Affermare che il fondo ESM abbia determinato  la diminuzione dello spread e, conseguentemente, un risparmio in termini di minor costo per gli interessi sul debito, oltre a costituire un falso assoluto, è una tesi assai difficile da dimostrare.

Di conseguenza, risultano del tutto privi di senso i  calcoli secondo i quali, l'Italia, dall'adesione al fondo ESM avrebbe  tratto enormi vantaggi in termini economici.
Ognuno, peraltro, è libero di credere quello che vuole, ma dinanzi alle evidenze, la difesa di posizioni ideologiche che non hanno nulla a che vedere con la realtà dei fatti, è un esercizio assai inutile e dannoso.

giovedì 26 dicembre 2013

Movimento 5 Stelle: una analisi di fine anno.

di , 26 dic 2013

Giunti a fine anno, dopo dieci mesi di Parlamento, cosa ha funzionato e cosa no nel Movimento 5 Stelle?

Cosa non ha funzionato


- Nei primi due mesi (ahinoi decisivi per il paese) è stato sbagliato quasi tutto in termini di comunicazione e non poco in termini politici. L’exploit di febbraio ha costretto novizi della politica a cimentarsi subito con responsabilità enormi e vecchi marpioni.
- Lombardi e Crimi, scelti di corsa con la formula del “Ciao mi chiamo Vito e credo in un mondo migliore”, tipo presentazione all’Alcolista Anonimi, non ne hanno indovinato una. Era difficile scegliere peggio. L’harakiri dello streaming con Bersani (“Noi siamo le parti sociali”, “Sembra di stare a Ballarò”) resterà negli annali. Va però detto che, in quel momento, nessuno (forse) sarebbe stato pronto.
La refrattarietà alla critica, tipica di tutti i partiti e movimenti politici, è in molti 5 Stelle (alcuni: non tutti) totale: “O con me o contro di me”. Non siamo in curva, ragazzi. Ogni tanto esiste anche il grigio. Non solo il bianco e il nero. Purtroppo questo approccio da tifosi è ora condiviso anche da molti (molti: non tutti) renziani, che vedono nel Mister Bean di Rignano sull’Arno il loro ComandanteFonzie Guevara di riferimento e guai chi glielo tocca. Ne consegue che, soprattutto in Rete, il dibattito tra “grillini” e “renziani” sembra spesso (spesso: non sempre) quello tra ultras di opposte fazioni. Peccato.
Non avere fatto il nome al secondo giro di consultazioni con Napolitano è stato un suicidio tremendo. Non perché sarebbe cambiato qualcosa concretamente (Napolitano, pur di isolare i 5 Stelle, si fingerebbe pure di sinistra), ma perché avrebbe stanato il Pd togliendogli l’alibi logoro del “Stiamo col centrodestra per colpa di Grillo”. Si doveva operare come è stato fatto con Rodotà, la cui scelta coincise infatti con la desolante Waterloo del Pd durante la rielezione di Re Giorgio.
- La stessa sensazione di stare ad aspettare e giocare di rimessa, “congelando i voti in frigo”, si è avuta quando Letta stava per cadere (anche in quel caso i 5 Stelle non hanno proposto nomi alternativi) e quando Renzi ha proposto il baratto sui tagli alla politica. Ovvio che Renzi non voleva l’accordo, ma ogni volta che M5S poteva sparigliare in termini governativi si è arroccato. Alimentando la sensazione (sbagliata) di “dire solo no” e di non prendere i treni che passano, preferendo andare in stazione a dare qualche schiaffo a chi si sporge da quel treno. Come Ugo Tognazzi in Amici mieiPerché, ogni tanto, non vedere le carte e scoprire il bluff altrui (per esempio sulla nuova legge elettorale)? Se è vero che quasi tutti i media ce l’hanno coi 5 Stelle, è anche vero che questo eterno attendismo talebano – in due o tre momenti chiave – ha coinciso con un tafazzismo considerevole
Le Parlamentarie hanno regalato scranni a personaggi marginali. Ci sono ovunque, e nei 5 Stelle non sono poi tanti come si credeva e si continua a sostenere, ma M5S non può permettersi tali errori. “Le sirene”, “I microchip”, “Pino Chet”, “La Kyenge un orango? Ci sta“. Oppure quel tizio barbuto e quasi-ideologo che somiglia a Beruschi (meno colto, però) e che a inizio anno veniva chiamato in tivù per dimostrare che i 5 Stelle son tutti grulli e sciroccati. Non siamo al circo, su.
- Pessima gestione del caso Adele Gambaro. La (sua) storia ha detto che era solo una che voleva supportare le larghe intese, tirando a campare  col suo strapuntino di potere, ma espellerla per una frase anti-Grillo ha regalato ai detrattori l’accusa di “fascisti epuratori”. Bastava aspettarla al varco – giusto uno o due mesi – e si sarebbe isolata da sola, come gli altri cinque o sei personaggi in cerca d’autore (non dovevano essere di più? Non doveva esserci una “spaccatura”?) che ora rimpolpano la sparuta cricca del gruppo misto al Senato. La Gambaro doveva essere allontanata, sì, ma non in quel momento. Espellerla subito, per giunta con la modalità del “Gesù o Barabba”, è servito solo a far felice Casaleggio, secondo cui (più o meno) se c’è un corpo infetto prima o poi finisce con l’infettare l’intero sistema e quindi va estirpato subito. Mah.
- Alcuni post di Grillo e Casaleggio hanno rischiato di rovinare l’operato dei parlamentari. Le scomuniche (“Il Fatto Quotidiano house organ del Pd” resta la minchiata dell’anno), i toni quasi sempre lividi, il “cerchio talebano” (più che magico) da cui Grillo si fa “consigliare”. Prima di scrivere, occorrerebbe riflettere. Quando a entrambi girano gli zebedei, inibitegli il wifi. Un anno fa senza Grillo non ci sarebbe stato M5S. L’ex comico risulterà ancora decisivo (Casaleggio, boh). Per esempio nei suoi tour elettorali sul territorio. Entrambi devono però stare attenti a non vanificare l’operato di chi, contro quasi tutti, si sbatte a Camera e Senato.


Cosa ha funzionato



- Il ruolo di vera e autentica opposizione, che vent’anni di Violante e Boccia avevano fatto colpevolmente dimenticare. Anche l’Italia ha ora un’opposizione vera: pensate se, in questo clima mieloso e mellifluo di “pacificazione”, l’ingranaggio oliatissimo della Casta non avesse avuto nemmeno un granello di sabbia desideroso di incepparlo. Sarebbe stato terrificante: non per chi non si ritrova in Letta o Lupi, ma per la democrazia. 


- La crescita notevole di deputati e senatori. Se a marzo venivano tratteggiati come mezzi tontoloni impreparati, mese dopo mese sono emerse figure di spicco come Di Maio e Villarosa, Di Battista e Morra, Taverna e Sarti. Eccetera. Voi chi prendete tra Madia e Taverna? Chi tra Alfano e Morra? Chi tra la Moretti e Villarosa? Chi ritenete più dotato, più sincero, più nuovo? Più libero?

- Nel suo riuscito discorso del 23 dicembre alla Camera, il deputato Alessandro Di Battista ha chiesto ai giornalisti di contestare almeno una loro proposta di legge, lasciando intendere che gli errori del M5S sono stati soprattutto di comunicazione. In realtà sono stati anche politici, vedi non aver fatto il nome di Settis o Rodotà o Zagrebelsky a Napolitano, ma è vero che in merito a proposte di legge ed emendamenti di errori non se ne vedono. O se ne vedono pochi.

- Per vent’anni i delusi di sinistra hanno sperato che qualcuno trattasse Berlusconi e i suoi droidi come meritavano di essere trattati. Lo ha fatto solo Di Pietro. Se Pd e predecessori si fossero espressi come la Taverna al Senato o Villarosa alla Camera, oggi i 5 Stelle non esisterebbero. E il Pd non avrebbe dovuto uccidere la sua storia di sinistra consegnandosi al briatoriano Renzi.

La rottamazione autentica. Esistono due cambiamenti: quello così morbido da risultare finto dei renziani e quello drastico (a rischio “ingenuità”) dei 5 Stelle. Se basta essere giovani per essere nuovi, allora è lecito accontentarsi con i polli di allevamento à la Orfini e Faraone. Se il sogno del Pd è sostituire D’Alema con Speranza, cioè con uno uguale se non per l’anagrafe e la bravura (è molto più bravo D’Alema), allora buona supercazzola a tutti. Se invece l’idea è quella di un cambiamento reale, la differenza tra i 4 salti in padella di Renzi e il rinnovamento vero non è difficile da scorgere.


- La lotta tra renziani e 5 Stelle sarà spietata. Potrebbe fare bene al paese, costringendo entrambi a dare il meglio di sé. Speriamo che ciò accada: ne guadagneremmo tutti. Renzi, quando smette di ascoltare i 45 giri dei Righeira per sentirsi vivo e prova a occuparsi della cosa pubblica, ripete che M5S sta in Parlamento come all’asilo e sa solo andare in cima ai tetti. Una finzione politica che esalta i fanboys di partito e stampa, ma che costituisce un falso storico. Senza M5S non avremmo scoperto la porcata sulle slot machine e quella sugli affitti d’oro; l’articolo 138 della Costituzione sarebbe stato sventrato; nessuno avrebbe notato la webtax; in pochi si sarebbero indignati per i casi Alfano e Cancellieri; in pochi avrebbero osato mettere in discussione Napolitano; non avremmo avuto il voto palese e la conseguente decadenza di Berlusconi. Eccetera eccetera eccetera.


In buona sostanza, se il centrosinistra avesse fatto in 20 anni anche solo un decimo di quello che M5S ha fatto in dieci mesi, il peggior centrodestra d’Europa sarebbe stato disinnescato in un amen.

giovedì 19 dicembre 2013

La gaffe di un futuro Ministro della Repubblica

Da Il Tempo

Madia va da Zanonato. E lo scambia per Giovannini

La gaffe: a Via Veneto parla con il ministro dello Sviluppo Economico, ma cercava quello del Lavoro.

di Filippo Caleri, 19 dic 2013

Colpa dell’inesperienza o forse di un tassista burlone. 
Fatto sta che la prima azione politica della neoresponsabile del lavoro del Pd gestione Renzi, Marianna Madia, fresca di nomina, non è sicuramente da scrivere nei manuali dei giovani amministratori dell’Italia del futuro. 
La Madia, infatti, proprio per scansare le polemiche sulla sua presunta inesperienza nei dossier economici ha ben pensato di salire a Via Veneto verso le stanze ministeriali del potere economico. Si è fermata a metà strada e ha imboccato con piglio e risolutezza la porta dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato. 
Superare il filtro della segreteria è stato relativamente facile. 
Anche senza appuntamento, come negare alla giovane ministra «ombra» un colloquio cordiale e conoscitivo, ha pensato Zanonato. 
E in fondo dare spazio e opportunità ai colleghi under 40 del suo stesso partito è anche un gesto nobile e lungimirante. Così il responsabile del dicastero ha fatto accomodare la Madia nel suo studio. Piccoli convenevoli poi subito il punto. Con stile asciutto e professionale ha chiesto al ministro dettagli sulle politiche del lavoro, ha ipotizzato interventi per l’occupazione giovanile nell’ambito dello «Youth Guarantee», il programma europeo che stanzia fondi per dare lavoro alla giovani generazioni. Con ciò dimostrando una visione di ampio respiro sovranazionale su uno dei temi che interessano maggiormente gli italiani. 
Poi ha chiaramente chiesto l’appoggio di Zanonato per iniziare a concretizzare le sue idee nei testi legislativi e nelle future misure governative. Probabilmente il fervore emotivo dell’apprendista non le ha fatto notare l’espressione tra il sorpreso e il divertito del ministro Zanonato. 
Che a un certo punto, dopo avere ascoltato con attenzione, ha esclamato con tono paterno: «Cara Marianna. Sono contento del vigore e dell’entusiasmo con il quale mi chiedi supporto. Ma di questo avresti dovuto parlare con il collega ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Le mie competenze non sono specificamente destinate alle politiche dell’occupazione». 
Silenzio. Sorpresa e imbarazzo. 
Il candido pallore della Madia si è trasformato in un rossore mortificato. Solo qualche balbettio per mormorare a mezza bocca: «Ma scusa ministro ma non sei te che ti occupi di lavoro?». «No». 
Prendendo la giovin «ministra ombra» sottobraccio, Zanonato l’ha accompagnata alla finestra e puntando il dito dall’altra parte di Via Veneto le ha sussurrato: «Vedi il ministero del Lavoro è dall’altra parte. Hai sbagliato indirizzo». 
Fine. 
Consiglio a Renzi: se tiene al Paese regali una guida stradale ai suoi giovani ministri in pectore.

mercoledì 18 dicembre 2013

Il fondo BlackRock investe in Italia: prima con Eni, ora con Telecom





A fine gennaio ha venduto il 2,3% di Saipem poche ore prima che la società del gruppo Eni lanciasse un allarme utili. E la Consob indaga. Ora ammette di aver sbagliato i calcoli quando ha dichiarato alle Autorità americane di aver superato il 10% di Telecom Italia. E la Consob apre un'inchiesta. Nel 2011 ha commesso un «errore di calcolo» analogo sulle azioni UniCredit, e ora è già in corso un iter sanzionatorio che si concluderà con una multa da parte della Commissione di Vigilanza. A guardare le ultime mosse del colosso statunitense del risparmio gestito BlackRock, si direbbe che in Italia tende a muoversi un po' come il proverbiale elefante nella cristalleria.
E in effetti un po' elefantiaco questo gruppo americano lo è: con oltre 4mila miliardi di dollari in gestione, oltre due volte più del Pil italiano, BlackRock è infatti la più grande società di amministrazione del risparmio del mondo. Non esiste anfratto dei mercati finanziari globali dove non abbia le mani. Solo nella Borsa italiana, secondo i dati di Capital Iq, ha almeno 10 miliardi di euro attualmente investiti: questo fa di BlackRock il primo investitore estero nella Penisola. Da Telecom ad Atlantia, da Prysmian ad Azimut, dal Banco Popolare a Mps: è quasi impossibile trovare una società italiana che non abbia BlackRock tra i primi 10 soci. Una ragnatela fittissima. Spesso invisibile.



Il socio di tutti La presenza in Italia del fondo Usa è strutturale e di lunga data. Ma negli ultimi mesi, come ha spiegato in una recente intervista il managing director Mike Trudel, il fondo Usa ha deciso di aumentarla: «Piazza Affari ci piace per tanti motivi. Innanzitutto perché offre valutazioni convenienti. Inoltre perché l'Italia potrà beneficiare della ripresa economica negli Stati Uniti e in Cina, aumentando le esportazioni. In Italia, per di più, ci sono alcune storie aziendali interessanti».
Ed è così che BlackRock (come si vede nella grafica elaborata incrociando i dati di Consob, Capital Iq, Bloomberg e delle aziende interessate) si è comprato una buona parte di Piazza Affari. E continua, come dimostra la vicenda Telecom, ad acquistare. Le partecipazioni più rilevanti sono oggi in Azimut (5%), Atlantia (5,02%), Prysmian (intorno al 5%) e Ubi (4,94%). Ma con quote inferiori, BlackRock è presente ovunque. E questo non può che far piacere al nostro Paese: in un periodo in cui l'Italia ha bisogno di capitali esteri che credano nelle prospettive del Paese, è importante che il più grande gestore di fondi del mondo decida di mettere a Piazza Affari 10 miliardi di euro.

Elefante nella cristalleria Il problema è che a volte questo gigante ha attirato i riflettori delle Autorità per comportamenti quantomeno curiosi. Il caso più clamoroso è quello di Saipem: a fine gennaio, poco prima che la società del gruppo Eni lanciasse un allarme utili tale da causare un crollo del titolo in Borsa del 34%, BlackRock è riuscita a vendere un pacchetto di azioni Saipem pari al 2,3% del capitale. Con un tempismo incredibile, il fondo americano ha risparmiato 100 milioni di euro di perdite. Facendo sorgere più di un sospetto: clamorosa fortuna o clamoroso insider trading? La risposta arriverà dall'indagine Consob, che ormai è alle battute finali.
Ora, con Telecom, la vicenda è altrettanto clamorosa. Prima BlackRock comunica alla Sec americana (ma non all'Autorità italiana) di aver superato il 10% del gruppo telefonico. Poi prende in mano la calcolatrice e "rettifica", comunicando (questa volta alla Consob italiana) di essere arrivato "solo" al 9,97%. Il tutto mentre il titolo Telecom, proprio per questi «errori di calcolo», sale sull'ottovolante. Così la Consob è costretta ad aprire un'altra indagine, per potenziale manipolazione del mercato.

E non è la prima volta che la calcolatrice americana causa turbolenze a Piazza Affari. Nel 2011, quando UniCredit era alla vigilia dell'aumento di capitale, BlackRock comunica alla Consob di essere sceso sotto il 2% nella banca milanese. Apriti cielo: in Borsa il titolo UniCredit perde terreno. Peccato che, pochi giorni dopo, BlackRock rettifica: era solo un «errore di calcolo». In questo caso la Consob ha già avviato un iter sanzionatorio. Presto dovrebbe arrivare la multa.

La "busta arancione" dell'INPS per la pensione futura

Da Il RisparmioTradito e Il Fatto Quotidiano del 18 dic (pag.14)

Pensioni: a chi serve la busta arancio

18 dic 2013
Una promessa che era una minaccia: anche gli italiani avrebbero ricevuto la cosiddetta busta arancione.

L'industria della previdenza integrativa aveva infatti scoperto, qualche anno fa, che ai lavoratori svedesi arrivava una previsione della loro futura pensione, dentro appunto a una busta arancione.
Subito prese la palla al balzo e cominciò a richiedere a gran voce che anche l'Inps spedisse qualcosa di analogo agli italiani. Ufficialmente una comunicazione informativa, di fatto un potente mezzo di manipolazione. Quale strumento migliore per spingerli a sottoscrivere fondi pensione, polizze previdenziali e compagnia brutta? Certifichiamogli che la loro pensione sarà una miseria e così abboccheranno più facilmente.
Né stupisce l'appoggio da parte dei giornalisti ed economisti di regime, quando era semmai il caso di sollevare doverosi interrogativi sulla scarsissima attendibilità di previsioni pluridecennali.
Promisero la busta arancione nel 2009 l'allora ministro del lavoro Maurizio Sacconi e l'ancora presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua. Ad alcuni lavoratori doveva arrivare già nel marzo del 2010 e poi a tutti gli altri, senza pietà. Ci contavano banche e assicurazioni, sindacati e associazioni padronali, cioè quanti lucrano dal carrozzone della previdenza complementare.
Poi ad alcuni vennero i primi dubbi. Lo stesso Mastrapasqua a inizio 2011 ammise: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale".
Così la busta arancione è stato un tormentone durato circa quattro anni: "Sta per arrivare", "No, è stata stoppata", "È quasi pronta", "L'hanno bloccata", "Partirà a fine mese" ecc.
Ora il ministro del lavoro Enrico Giovannini ne ha ufficializzato l'abbandono il 4 dicembre davanti alla commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti di previdenza: "…visto anche, come dimostrano i dati Ocse, la scarsa dimestichezza di molta parte della popolazione con la capacità anche matematica". A parte il cattivo italiano, riscontriamo il solito vezzo di insultare i cittadini quando non si comportano come i governanti vorrebbero.

lunedì 16 dicembre 2013

I pensieri di un commercialista

Da Panorama

Diario di un commercialista

di Marco Cobianchi, 16 dic 2013

Saverio Morlino è l’anello mancante nella linea evolutiva fra libero professionista e burocrate. La congiunzione tra l’essere umano e una percentuale. 
Fa il commercialista, che «una volta era un bel mestiere», poi tutto d’un tratto sono arrivate le dichiarazioni fiscali «lunari» (Oscar Luigi Scalfaro), gli acconti delle tasse su redditi non ancora realizzati (Rino Formica) e le regole cambiate all’ultimo momento (Fabrizio Saccomanni), così il mestiere di commercialista si è trasformato in quello di equilibrista, sospeso tra un comunicato stampa del ministero e il vuoto normativo. Il consulente fiscale oggi è una specie di prete: solo lui può addentrarsi nel mistero delle scadenze, delle delibere, delle direttive ministeriali che, tributariamente parlando, sono dogmi. 
Quando esce dal suo studio l’F24 non è un documento fiscale ma una specie di ostia offerta in adorazione al popolo cliente che ha smesso di domandarsi come sia stato capace di produrlo. 
Morlino, 49 anni, ha lo studio a Cernusco sul Naviglio, cittadina dell’hinterland milanese, pieno (una volta) di fabbrichette e piccoli imprenditori. Tutti i giorni esce di casa e non sa che cosa lo aspetta in ufficio, se un posticipo delle tasse o un anticipo, un acconto aumentato oltre il 100 per cento (che è una contraddizione in termini) o una modifica alla legge sull'Iva. 
È un eroe dei tempi moderni perché, dopo essere sopravvissuto alle scartoffie del ministero dell’Economia, deve anche riuscire a farsi pagare dai suoi clienti. 
Ovviamente da quelli che non sono falliti. 
Si schermisce: «Guardi, mi spiace, non ho tempo...».

Solo due domande.
Non ho… vabbè, dica.

Lei ci ha capito qualcosa con ’sta storia delle tasse sulla casa?
Sì, prima si pagava l’Imposta municipale unica, adesso l’Imposta unica comunale. Quello che si dice un cambiamento strutturale.

Ma…
Guardi… non ho davvero tempo. Lo sa che giorno è oggi? È il 9 dicembre.

E domani è il 10.
Appunto.

Quindi?
Entro oggi i comuni comunicano l’aliquota Imu sulla seconda casa che va pagata il 16 dicembre. 

E qual è il problema?
Non ha capito: ogni comune comunica, entro oggi, la sua aliquota all'Anci, l’associazione dei comuni italiani; l'Anci lo comunica all'associazione delle software house ognuna delle quali rifà i programmi che poi noi scarichiamo e usiamo per fare i calcoli sulla base dei quali i nostri clienti vanno a pagare la tassa. Il tutto in una settimana.

E ce la farete?
Se siamo veloci e non ci sono intoppi, probabilmente ce la facciamo entro il 14, cioè sabato. Due giorni prima del pagamento. Non è normale.

Vuole cambiare mestiere?
La sa quella sulla tassa sui rifiuti? 

Cos'è, una barzelletta?
Quasi. Allora, quest’anno si paga a rate. Ogni comune ha le sue scadenze: a Milano, per esempio, si doveva pagare il 31 luglio e il 30 settembre, più il saldo entro il 16 dicembre. In alcuni comuni le rate sono addirittura quattro.

Si può pagare in un’unica soluzione...
No! Quest’anno, per la prima volta, non è consentito pagare in una volta sola, ma a rate, così tra la prima e le altre i comuni l’hanno potuta aumentare. E molti, ovviamente, non si sono lasciati sfuggire l’occasione.

Il 16 dicembre è una giornatona, fiscalmente parlando.
Sì. L’altra è il 27. Entro il 27 dicembre tutte le partite Iva devono pagare un acconto dell’88 per cento dell’Iva che avevano pagato per l’ultimo periodo del 2012, ma sembra che l’aliquota possa aumentare. Naturalmente se uno prevede di incassare meno può anche pagare meno dell’88 per cento, però se poi incassa di più arriva una botta di multa del 30 per cento. Quindi tra dicembre e gennaio è meglio lavorare pochissimo. Non è normale.

Questa storia degli acconti chi l’ha inventata?
Se non ricordo male fu nel 1991 un’idea di Rino Formica, che aveva bisogno di soldi per far quadrare i conti dello Stato e si inventò l’anticipo a dicembre del versamento Iva di gennaio. E la storia dell’acconto Iva è andata avanti fino a oggi perché una volta che viene deciso un acconto poi è impossibile tornare indietro. Per questo dico: un acconto è per sempre. Come un diamante.

Quindi anche gli acconti Ires e Irap.
Uno spettacolo. Il 30 novembre, era sabato, io me ne stavo a casa a guardare la partita. Quel sabato esce in Gazzetta ufficiale il provvedimento in base al quale il secondo acconto 2013 di Ires e Irap, che doveva essere pagato il lunedì successivo, veniva posticipato al 10 dicembre e, contemporaneamente, l’acconto saliva dal 100 per cento al 102,5 per cento. Fra domenica e lunedì avvertiamo i nostri clienti di non pagare, perché bisogna rifare i calcoli, ma alcuni avevano già pagato nei giorni precedenti, per portarsi avanti con le pratiche, mentre altri avevano dato ordine alla banca online di pagare il 2 e non sono riusciti a disdire l’ordine. In tutti e due i casi adesso gli tocca pagare la differenza tra 100 per cento e 102,5 per cento e fare un altro versamento. E il 10 dicembre è domani. Capisce perché non ho tempo di stare a parlare?

Ma…
Non basta. Se l’aliquota Ires è la stessa, il 27,5 per cento, ma l’acconto è aumentato, significa che lo Stato pensa che un’impresa abbia lavorato nel 2013 più di quanto abbia lavorato nel 2012. Ma dove vivono... Poi ci sono le banche, le assicurazioni e le finanziarie: per loro l’acconto Ires è salito al 130 per cento più un’addizionale dell’8,5 per cento. 

Non è normale.
Non lo è no! Anche perché io tutto questo lavoro per le aziende mie clienti lo sto facendo gratis: come la maggior parte dei miei colleghi mi faccio pagare a forfait e non posso certo mandargli una fattura perché devo rifare i calcoli. Non posso far pagare a loro i casini dello Stato. Dovrebbe pagarmi lo Stato.

Ci provi.
Infatti il problema non è lavorare, è farsi pagare: il 30 per cento dei miei clienti ha chiuso bottega e molti colleghi vivono nel terrore dell’errore. Con tutti questi cambiamenti legislativi sbagliare è un attimo. Solo che, diversamente dal passato, i clienti cominciano a denunciare i commercialisti. Prima si trovava un accordo, adesso vanno direttamente dall'avvocato.

Un mestiere duro, ma qualcuno dovrà pur farlo...
Faccio il commercialista da quando le dichiarazioni si compilavano a mano, con la biro. Erano di una semplicità assoluta e, soprattutto, non è che ogni settimana c’era una modifica. Oggi se dovessi fare le dichiarazioni a mano ne preparerei forse due l’anno.

La tecnologia…
La tecnologia è indispensabile, però se la normativa fiscale cambia di ora in ora non serve a niente. È come se si combattesse una sfida a scacchi tra la fantasia del legislatore e la precisione dei computer.

Esagerato...
Se avessi tempo, le racconterei degli studi di settore.

Dica, dica.
Il software cambia ogni anno e quindi ogni anno io so se sono congruo rispetto alle tasse solo quando arriva il software. E comunque con il fisco non si sta mai tranquilli.

Perché?
Perché noto che l’Equitalia è diventata più rigida, più formale. Per esempio ha iniziato a spedire avvisi e solleciti di pagamento praticamente a raffica.

Come mai?

Forse ha qualcosa a che fare con il fatto che si inizia a parlare di un taglio dell’aggio. Forse vogliono anticipare gli incassi prima che questo succeda. 
E adesso mi lasci lavorare.

L'Europa sarà la nuova miniera del Made in Italy

Da Il Sole 24 Ore

Sarà l'Europa la nuova miniera del made in Italy

Un vademecum in grado di accompagnare gli imprenditori, di nuova e di più antica generazione, sulle nuove mappe del capitalismo globale. Con un'avvertenza di fondo: non trascurate la cara, vecchia Europa. Perché, per il nostro sistema industriale, l'Unione resta non soltanto il primo mercato di riferimento, ma rappresenta anche - per dirla con le parole dell'autore - «la miniera nascosta».

Piercarlo Ceccarelli, consulente di direzione d'impresa, ha scritto l'agile volume "Supereroi d'impresa. Creano i prodotti e i servizi che conquisteranno il mondo. Partendo dall'Europa" (in uscita per Mind Edizioni). È proprio questo il punto di vista più interessante del testo: 
«L'Europa è il mercato più maturo del pianeta e rappresenta il precursore della ricerca della qualità della vita e del lavoro. Quello che va di moda qui lo diventerà altrove in un secondo momento. La vita è la cosa più bella che abbiamo: chi ha la maturità e la cultura, non solo il denaro, ha molta propensione a concedersi il meglio, il benessere, che non è fatto solo di cose ma di esperienze, prospettive, stati d'animo. E qui l'Europa batte gli Stati Uniti, nonostante loro abbiano inserito la ricerca della felicità nella Costituzione. Gli Stati Uniti vogliono dare opportunità alle persone. L'Europa il benessere: due modi diversi di vedere una missione».

In qualche maniera, dunque, Ceccarelli intravvede in questa realtà culturale (in senso generale) e politica (in senso lato) il presupposto logico che precede la dimensione economica. L'Europa non è soltanto la culla dell'industrializzazione più antica del mondo, oggi impegnata in una complessa transizione verso le tecnologie più soft. È soprattutto una gigantesca area in cui la soddisfazione delle persone può trasformarsi in un nuovo, enorme, driver per la crescita.

E, qui, in qualche maniera si intravvede una delle nuove frontiere evolutive del capitalismo italiano: il passaggio verso una terziarizzazione che non tradisca la sua radice manifatturiera, ma anzi la esalti. Un fenomeno che si sta verificando su due livelli. Il primo - nelle filiere più hard, per esempio nella meccanica strumentale e nella meccatronica - con l'introduzione di crescenti quote di innovazione di servizio. Il secondo - in quelle più soft, come il lusso - con l'affermarsi della consapevolezza che, appunto, il benessere delle persone costituisce uno dei fattori strategici verso cui orientare l'attività di comparti essenziali del Made in Italy.


Ceccarelli compie anche un ragionamento ottimistico sulla struttura demografica europea, che spesso gli osservatori considerano uno dei vincoli strutturali (negativi) per il futuro dell'area. Nel senso che questo dato di fatto può imprimere uno stigma positivo al nostro fare industria: 
«I consumi di una popolazione più anziana sono tendenzialmente meno impetuosi e più ragionati rispetto a quelli di una popolazione più giovane ed entusiasta. Dunque, dal lato dell'offerta i prodotti devono avere meno apparenza e più sostanza (spesso immateriale): un anziano tende meno a seguire le mode e a comprare quello che effettivamente gli serve, tende a premiare le utilità quando le riconosce. Questo significa che sviluppare prodotti e servizi per una popolazione più anziana richiede più sforzi, per creare nuovo valore e nuove utilità, e che questi saranno in seguito più facili da rivendere anche fuori dall'Europa».

Europa, dunque, ma anche mercati emergenti. 
Al di là della lettura privilegiata del Vecchio continente, qual è la condizione di salute con cui le imprese italiane affrontano le nuove sfide? 
In questo caso Ceccarelli si riferisce alla letteratura più recente e accreditata: 

«La situazione è davvero così catastrofica per le imprese italiane? Non tutti lo pensano. Per esempio, in un loro studio del 2012 ("L'Italia negli anni Duemila: poca crescita, molta ristrutturazione") Innocenzo Cipolletta e Sergio De Nardis contestano questa visione. Argomentano che da parte delle imprese italiane, in particolare di quelle industriali, a partire dal Duemila, sotto la pressione dell'euro prima e della crisi poi, gli sforzi per ristrutturare e per aumentare la produttività, per migliorare il livello delle produzioni, eliminando quelle obsolete e a basso valore aggiunto in favore di quelle più remunerative, ci sono stati eccome. Tanto che in realtà, guardando ai fattori di produttività tipici di un'analisi industriale, come il Pil prodotto per addetto o il Pil prodotto per ogni ora lavorata, l'Italia risulta solo leggermente inferiore alla Germania, decisamente superiore alla Francia e complessivamente in linea con i dati dell'area euro».
Dunque, il messaggio di questo libro è quello di un sano realismo, emendato però dal pessimismo di maniera che assegna al nostro Paese - e alla sua classe imprenditoriale - un destino di sconfitte.

L'intervista di Papa Francesco ed il suo stile comunicativo

Da La Stampa

Quella rivoluzione dottrinale che spaventa la gerarchia

L’intervista del Papa a La Stampa fa il giro del mondo: il commento di Rusconi

sabato 14 dicembre 2013

Il nuovo regolamento Agcom

Da L'Altra Pagina

Il nuovo regolamento Agcom agisce davvero a tutela del diritto d’autore online?

di Annalisa Spedicato (*), 14 dic 2013

Il Regolamento AGCOM in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative, ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n.70, che entrerà in vigore il 31 marzo 2014, si pone come obiettivo principale di contrastare la pirateria online e garantire la distribuzione dei contenuti digitali nel massimo rispetto delle leggi sul diritto d’autore.

Al fine di tutelare le opere che viaggiano in rete, AGCOM interverrà, secondo le disposizioni del Regolamento, su istanza di parte e, qualora dalle segnalazioni dell’istante riterrà sussistente una violazione del diritto d’autore, procederà a richiedere al provider, all’uploader, ai gestori della pagina o del sito, di rimuovere il presunto contenuto illecito. A quel punto, gli stessi soggetti avranno cinque giorni di tempo dalla comunicazione per controdedurre, in relazione al provvedimento o adeguarsi ad esso, rimuovendo il contenuto imputato.
Qualora i soggetti interessati non provvedano alla rimozione, sono previste due soluzioni in base all’ubicazione del server:
  1. se il sito sul quale sono rese disponibili le opere digitali di cui si presume la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi sia ospitato su un server ubicato nel territorio nazionale, AGCOM  ordina ai prestatori di servizi che svolgono attività di hosting, di provvedere alla rimozione selettiva delle opere digitali in questione. In presenza, di violazioni di carattere massivo, l’organo collegiale può ordinare ai prestatori di servizi di provvedere, in luogo della rimozione selettiva, alla disabilitazione dell’accesso alle suddette opere digitali.
  2. se, invece, il sito sul quale sono rese disponibili opere digitali di cui si presume la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi sia ospitato su un server ubicato fuori dal territorio nazionale, AGCOM può ordinare ai prestatori di servizi che svolgono attività di mere conduit, di provvedere alla disabilitazione dell’accesso al sito.

Qualora AGCOM adotti le misure previste, ordina ai prestatori di servizi, di procedere a reindirizzare automaticamente verso una pagina internet redatta secondo le modalità indicate dall’Autorità, le richieste di accesso alla pagina internet su cui è stata accertata la presenza di opere digitali diffuse in violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi.
AGCOM prevede anche un procedimento abbreviato, qualora dalle sommarie informazioni si possa prevedere che l’ipotesi di violazione sia grave. 
Il termine per l’emanazione del provvedimento che prevede l’applicazione delle sanzioni è di 12 giorni. 12 giorni in cui AGCOM dovrà valutare i seguenti elementi:
  1. la circostanza che, in relazione al medesimo oggetto e a seguito di una precedente istanza, l’Autorità abbia già ritenuto sussistente la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi;
  2. la significativa quantità delle opere digitali che si assumono diffuse in violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi;
  3. i tempi di immissione sul mercato dell’opera digitale;
  4. il valore economico dei diritti violati e l’entità del danno causato dall’asserita violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi;
  5. l’incoraggiamento, anche indiretto, alla fruizione di opere digitali diffuse in violazione della Legge sul diritto d’autore;
  6. il carattere ingannevole del messaggio, tale da indurre nell’utente l’erronea convinzione che si tratti di attività lecita;
  7. la messa a disposizione di indicazioni in merito alle modalità tecniche per accedere alle opere digitali diffuse illegalmente;
  8. lo scopo di lucro nell’offerta illegale delle opere digitali, desumibile anche dal carattere oneroso della loro fruizione ovvero dalla diffusione di messaggi pubblicitari;
  9. la provenienza dell’istanza da parte di una delle associazioni di cui all’articolo 1 dello stesso Regolamento.

L’obiettivo che AGCOM si presume di raggiungere, mediante il presente regolamento, è sacrosanto e su questo nessuno avrebbe da discutere. 
Quello su cui, invece, si discute è il modo in cui un’autorità garante avente funzioni di natura amministrativa, interviene emanando provvedimenti sanzionatori che in un regime come il nostro spettano all’autorità giudiziaria, provvedimenti sanzionatori, peraltro, applicati in maniera indistinta. 
I provvedimenti di AGCOM, infatti, possono colpire chiunque sulla base di sommarie valutazioni  e senza il rispetto ragionevole del diritto di difesa (previste sole controdeduzioni entro 5 giorni dalla comunicazione dell’adeguamento a quanto richiesto da AGCOM). 
Addirittura nel procedimento abbreviato, AGCOM, nel giro di 12 giorni, riesce a valutare una serie di elementi che, in circostanze concrete particolarmente complesse, richiederebbero un tempo ragionevolmente molto più lungo, se intendiamo fare le cose adeguatamente e seriamente… 
Ma probabilmente dobbiamo pensare che AGCOM sia dotata di bacchetta magica per le sue analisi e le sue indagini!

Ad esempio, solitamente, per valutare i danni economici di un diritto d’autore presumibilmente offeso, si chiama un perito, il quale, per stilare una relazione adeguata e scrupolosa, in media si prende  un tempo che va da uno a tre mesi, dunque, come farà AGCOM, in 12 giorni, a valutare questo specifico elemento insieme a tutti gli altri?
Senza parlare poi di un altro punto specifico. All’art. 8 comma 3 del Regolamento si dice che il Comitato di AGCOM ordina ai provider italiani di eliminare i contenuti che presumibilmente violano il diritto d’autore, mentre all’art. 8 comma 4, che si rivolge a coloro che hanno ubicato il server all’estero, AGCOM può ordinare, ai gestori del mere conduit, ovvero, a coloro che gestiscono l’accesso alla rete, direttamente la disabilitazione all’accesso!
AGCOM si è guardata bene in quest’ultimo caso, dall’usare l’imperativo!

Ma questa scelta potrebbe significare che coloro che spostano i server all’estero, da un lato saranno colpiti da una sanzione più pesante (diretta disabilitazione all’accesso al sito) e dall’altro saranno forse, agevolati, in quanto, solo ad essi AGCOM può ordinare. Significherebbe che, in tal caso, chi gestisce l’accesso alla rete potrà scegliere se recepire o meno i provvedimenti di AGCOM? Quindi, la soluzione suggerita potrebbe essere quella di spostare i server all’estero per evitare l’immediata e diretta applicazione del provvedimento?  E, dunque, si potrebbe pensare, che il Regolamento violi l’art. 3 della Costituzione, intervenendo con due pesi e due misure, a seconda dell’ubicazione del server, rispetto a circostanze che riguardano la medesima materia giuridica, ovvero la presunta violazione del diritto d’autore?

(*) Annalisa Spedicato
Avvocato specializzata in diritto d’autore, internet law, proprietà industriale e privacy. Socia fondatrice di RegolaKreativa, Associazione Culturale per lo Studio e la Tutela del Diritto d’Autore nelle Arti Grafiche.