domenica 22 dicembre 2019

Profezie di Nostradamus per il 2020 - 2



Disastri naturali, guerra mondiale, nuovo re d’Inghilterra ma non solo: ecco le principali profezie di Nostradamus per il 2020.

di Fiammetta Rubini, 17 dic 2019


Cosa succederà nel 2020? Come sarà l’anno nuovo? 
Le profezie di Nostradamus per il 2020, dalla crisi economica e il crollo delle borse all’intensificarsi del climate change, passando per la fine di regni longevi e lo scoppio di conflitti globali, ci preannunciano l’inizio di una nuova era.

Dal suo primo libro pubblicato nel 1555 sono in molti a sostenere che Nostradamus abbia previsto con precisione una serie di eventi cruciali per la storia del mondo tra cui l’ascesa di Hitler gli attacchi terroristici dell’11 settembre, la rivoluzione francese, l’atterraggio sulla luna, la bomba atomica e l’assassinio dei Kennedy.

Ovviamente non esiste una base scientifica per le teorie di Nostradamus, ma trattandosi del più importante autore di profezie della storia del mondo è interessante scoprire cosa avverrà nel 2020 secondo le sue previsioni.

Ecco allora le 7 principali profezie di Nostradamus per il 2020 e cosa ha previsto per l’Italia.
Profezie Nostradamus 2020

Per il 2020 Nostradamus avrebbe predetto un anno di grandi catastrofi geologiche, tra un brusco innalzamento del livello del mare a causa dello scioglimento dell’Antartide, inondazioni e il verificarsi di uragani micidiali.

Previsto anche l’arrivo di una crisi economica, con recessione e inizio di tempi bui per l’economia globale. Ma le sue infauste previsioni non sono finite: presumibilmente Nostradamus potrebbe averci messo in guardia da un possibile conflitto globale che scoppierà nel 2020. Finiranno, poi, dei regni, a partire da quello della regina Elisabetta II.

1) Scoppio della terza guerra mondiale

Secondo quanto scritto nel suo libro, una guerra devastante di 27 anni scoppierà tra due superpotenze mondiali dopo l’ascesa del terzo anticristo. Ecco come suona la profezia: “Nella città di Dio, ci sarà un grande tuono. Due fratelli verranno fatti a pezzi dal Caos, il grande leader soccomberà. La terza grande guerra inizierà quando la grande città starà bruciando.”

2) Putin verrà assassinato e Trump si ammalerà

Nostradamus ha predetto un anno molto violento e critico sia per il presidente russo che per quello americano. Stando alle sue profezie, il presidente Vladimir Putin verrà tradito e ucciso da qualcuno a lui molto vicino, mentre Donald Trump soffrirà di una malattia misteriosa e un membro della sua famiglia sarà vittima di incidente stradale.

3) Una grande crisi finanziaria

Secondo le previsioni di Nostradamus, siamo sull’orlo di un grande crollo dei mercati. Dopo la crisi del 2008, l’arrivo di un’altra ondata di recessione globale non è infondato. Il 2020 potrebbe essere un nuovo anno nefasto dal punto di vista economico, e in effetti alcuni segnali preoccupanti arrivano da diverse parti del mondo.

4) L’Inghilterra avrà un nuovo re

Nel 2020 la regina Elisabetta lascerà il trono, segnando uno dei momenti più cruciali della storia inglese degli ultimi 70 anni. Stando alle previsioni di Nostradamus, la sovrana ultranovantenne morirà, e a lei succederà il figlio Carlo.

5) Un nuovo sbarco sulla Luna

In una delle sue visioni Nostradamus avrebbe visto umani vivere sulla Luna nel 2020. D’altronde non si tratta di una possibilità così remota: la NASA ha annunciato i viaggi sulla Stazione Spaziale Internazionale per il pubblico e le aziende a partire dall’anno prossimo.

6) Disastri naturali, terremoti e inondazioni

I cambiamenti climatici nel 2020 influenzeranno ancora di più il pianeta e le politiche dei singoli governi. Stando alle profezie di Nostradamus ci saranno inondazioni in molti paesi d’Europa, tra cui Italia, Repubblica Ceca e Gran Bretagna, e il continente subirà diversi attacchi terroristici. Un violento terremoto, inoltre, colpirà la California e Vancouver.

7) Un nuovo Papa

Secondo le interpretazioni, Nostradamus si sarebbe riferito a papa Francesco nelle quartine in cui predice la morte di un pontefice nel 2020.
Il successore di Bergoglio sarà un giovane che creerà scandalo nella Chiesa Cattolica dal 2020 e resterà in carica fino al 2029. Dopo Papa Francesco, che dalle parole di Nostradamus può essere considerato l’ultimo vero papa, Roma verrà distrutta.

sabato 21 dicembre 2019

Profezie di Nostradamus per il 2020 - 1




Nostradamus fu un astrologo francese del XVI secolo. Se il suo nome ti dice qualcosa è perché sono tante le previsioni che si sono rivelate corrette. Le quartine di Nostradamus sono celebri per essere affidabili e profetiche, hanno sempre anticipato i grandi sconvolgimenti che la nostra società ha dovuto e che dovrà affrontare. Cosa avrà predetto per il 2020?



di Astrocenter, 18 dic 2019

La quartina più celebre di Nostradamus è la seguente:
“Il leone giovane il vecchio vincerà.
Il campo bellico, per dolore singolare.
In gabbia d’ oro gli occhi gli salteranno
delle forze in combattimento una rimarrà,
l'altra morrà di morte crudele.”
Nel 1559 annunciò la morte di Enrico II trafitto in un occhio da una lancia, durante un torneo contro il giovane Gabriel Montgomery, “Il leone giovane”.


Nostradamus 2020: top 5 delle profezie

Le quartine di Nostradamus sono state studiate e analizzate con la speranza di scoprire nuove profezie per il futuro. Scopri quali saranno le 5 profezie per il 2020.

1) Una terza guerra mondiale

Nostradamus ha profetizzato un grave conflitto mondiale che causerà importanti perdite e danni, che “la pace nasca dalle ceneri della distruzione, [anche se] pochi lo apprezzeranno”. Questa guerra durerà fino al 2025 e contrapporrà due superpotenze mondiali.

2) La diffusione dell’estremismo religioso

La terza guerra mondiale annunciata da Nostradamus sarà legata alla diffusione dell’estremismo religioso. Questo clima di tensione si concretizzerà con l’aumento di attentati terroristici che complicheranno i rapporti diplomatici tra gli stati.

3) Inondazioni e uragani

Nostradamus profetizzò che “Vedremo le acque innalzarsi e inghiottire la terra sotto i nostri piedi” nel 2020. I cambiamenti climatici aumenteranno la possibilità che si producano uragani di categoria 1, soprattutto negli Stati Uniti. Alcuni paesi europei, come l’Italia, rischieranno inondazioni e dissesti idrogeologici a causa di forti piogge.

4) Il riscaldamento climatico è al suo apice

Nostradamus scrisse “Il re rinuncerà alle foresta, il cielo si aprirà e i campi bruceranno per il calore”. Una frase che potrebbe profetizzare la distruzione della foresta amazzonica e l’assottigliamento dello strato di ozono.

5) I progressi della medicina

Secondo le profezie di Nostradamus, nel 2020 le innovazioni mediche permetteranno di vivere più a lungo, oltre i 100 anni.

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sabato 14 dicembre 2019

L'odissea natalizia dei figli e dei genitori separati o divorziati


Feste in famiglia

di Marzia Coppola (Studio legale Bernardini de Pace), 13 dic 2019

Le vacanze invernali sono alle porte ed è tempo che i genitori separati o divorziati si confrontino per decidere con chi dei due i figli debbano trascorrere il Natale e il Capodanno. Mamma e papà sono, così, chiamati a concordare come spartirsi i rispettivi periodi di vacanza, facendo conciliare impegni lavorativi, esigenze logistiche, tradizioni familiari e opinioni personali.
A guidare i genitori in questa scelta è il provvedimento di separazione o di divorzio che, infatti, non deve trascurare di prevedere espressamente sia il calendario di visita nel periodo natalizio sia le modalità con le quali debba avvenire l’alternanza tra i genitori.
La prassi vuole che i figli trascorrano il Natale o il Capodanno con l’uno o con l’altro genitore ad anni alterni. Al minore viene così garantita la possibilità di sperimentare – o rafforzare – le tradizioni e l’affetto sia della famiglia materna sia di quella paterna.
I genitori possono, nel periodo loro spettante, organizzare giornate sugli sci, gite fuori porta, decidere di restare a casa o di cogliere l’occasione per fare un viaggio. In questo ultimo caso, normalmente e salvo diverso accordo, il costo delle vacanze deve essere sostenuto interamente dal genitore con il quale il figlio le trascorre. Questo, naturalmente, non implica una sospensione o una riduzione dell’onere di mantenimento che grava sul genitore tenuto al versamento di un assegno mensile in favore dei figli.
Purtroppo, però, quello che sulla carta sembra facile e accessibile a tutti si trasforma spesso in occasione di lite, polemica e contesa. Accade, addirittura, che i genitori, incapaci di mettersi d’accordo perché accecati dalla rivalsa nei confronti dell’altro, chiedano l’intervento del Giudice Tutelare affinché sia lui a decidere quando, con chi e dove i figli debbano trascorrere questo periodo dell’anno. Oppure, scelta che probabilmente a livello di ripercussioni sui minori è ancora più grave, i genitori rimettano ai figli l’onere di decidere con chi trascorrere quei periodi. Risultato: i bambini si trovano davanti a un insormontabile conflitto di lealtà che li porterà, sia che scelgano di stare con il papà sia che scelgano di stare con la mamma, a soffrire la mancanza dell’altro genitore poiché si auto-imputeranno la sua assenza. I più sensibili, poi, vivranno un forte senso di colpa per aver lasciato l’altro genitore “da solo” in un giorno così significativo.
Allora proprio la gestione del periodo che, per antonomasia, è sinonimo di serenità può diventare la scena perfetta per mettere in atto una battaglia. Con l’evidente rischio di distruggere, agli occhi dei minori, un momento così magico e sostituirlo con l’ennesima lite tra mamma e papà. L’ennesima scelta davanti alla quale sono posti. L’ennesimo senso di colpa. L’ennesimo dispiacere. L’ennesima dimostrazione di come i bambini, nella loro ingenuità, possano essere più maturi e ragionevoli degli adulti accecati dalla rivalsa.
Indubbio, quindi, che buonsenso e collaborazione restano gli ingredienti determinanti (ma purtroppo molto rari) per non rovinare ai bambini il periodo più atteso durante tutto l’anno. Perché la responsabilità genitoriale, da qualunque punto la si guardi, non va mai in vacanza. O almeno non dovrebbe.

mercoledì 11 dicembre 2019

Ancora un post sulla banana di Cattelan...

Cattelan e la banana: «Non mi importa se è stata mangiata. La mia arte? Sono idee»

L’artista risponde alla provocazione del collega David Datuna che ha mangiato l’opera appesa con lo scotch al muro della fiera d’arte di Miami. Pochi minuti per divorare il frutto da 120mila dollari

di Francesca Pini, 10 dic 2019



«Ci sarà sempre qualcuno che tira giù un mio pupazzo, mi ruba un cesso d’oro o si mangia la banana, tutto ciò alla fine aiuta una certa narrativa che ruota attorno al mio lavoro», dice Maurizio Cattelan da New York, mentre sorseggia un tè, commentando l’ultima sua opera Comedian, presentata ad Art Basel Miami (la banana-scultura, frutto vero appeso con lo scotch alla parete dello stand del gallerista Perrotin), facendo il «botto», facendo impennare i social e anche i visitatori che sostavano davanti all’opera.

Il gallerista non esporrà una nuova banana

Tanto che per precauzione poi il gallerista ha deciso di non esporne più una nuova dopo che l’artista David Datuna ha deciso di strapparla dal muro e di mangiarla in pubblico guadagnando anche per sé quei quindici minuti di celebrità che Warhol non ha mai negato a nessuno. Un gesto che non avrà conseguenze legali perché né il gallerista né l’artista procederanno in tal senso.

«Un classico della cultura pop»

«La banana è un classico della cultura Pop, un simbolo che è stato usato anche da altri. Non perché Donatello ha scolpito un cavallo, il cavallo appartiene solo a lui. Se vogliamo questa banana non è nemmeno diversa da un neon di Dan Flavin, pure questo usato anche da altri. E poi nessuno si scandalizza se il neon viene cambiato, così anche questa banana è stata sostituita. Non m’importa nulla che sia stata mangiata, perché ciò che conta è solo l’idea». Ma anche la sua firma perché, in fondo, è quella che si compra (in questo caso al prezzo di 120-150 mila dollari). E infatti alcuni musei sono in lizza proprio per l’acquisto di quest’opera (in edizione di 3, più due prove d’artista). Accompagnata anche da debite istruzioni ad uso dei collezionisti: il frutto si può rimpiazzare ogni dieci giorni. Il nastro adesivo ha per Cattelan un’attrazione fatale. Lo ha anche usato per incollare Massimo De Carlo, suo gallerista italiano, a una parete (A Perfect Day del 1999).



Nel 2012 il «Banana Market» di Paulo Nazareth

Ad Art Basel Miami la presenza delle banane non è, comunque, una novità. Nel 2012 l’artista brasiliano Paulo Nazareth, per realizzare la sua installazione Banana Market/Art Market arrivò con un furgoncino malandato proprio dentro la fiera trasportandone oltre un quintale, ma le vendeva alla modica cifra di 10 dollari l’una per finanziare i suoi progetti. «Eh sì davvero poco!», commenta Cattelan, ignaro del precedente. Paulo se ne stava lì nel suo stand portando al collo vari cartelli, tra cui quello con scritto: «La mia immagine di uomo esotico in vendita». La sua fu l’opera più fotografata in quella edizione di Art Basel. Così come stavolta lo è stata questa banana firmata Cattelan, che ha scatenato un elevato tasso di potassio e l’ingordigia dei social.

Effetto parodia: nastro adesivo nero su un Fontana

Subito si è generato anche un effetto parodia. A pochi metri da Perrotin, nello stand della Tornabuoni Arte, il gallerista Michele Casamonti ha preso il nastro adesivo nero e lo ha applicato — però sopra al vetro — su un Fontana bianco a tre tagli (valore 2,4 milioni di euro), provocando un’altra reazione virale. «Il mio voleva essere un tributo alla creatività italiana, in fondo anche un Fontana può essere una banana...», dice per iperbole il gallerista.

La banana storica di Warhol

La banana più storica è naturalmente quella disegnata nel 1967 dal buon vecchio Warhol e che campeggia sulla cover dell’album dei Velvet Underground&Nico. Ma, negli anni, rivisitata, è poi anche diventata il logo di Turps Banana, un’istituzione londinese che consta di un’art school, edita un magazine e gestisce una galleria (diretta dal pittore Marcus Harvey).

martedì 10 dicembre 2019

La banana di Maurizio Cattelan: è vera arte?





Il critico del New York Times spiega perché l'ultima opera – una banana appesa al muro con lo scotch, poi venduta per 120mila dollari – è arte e non solo uno scherzo



Lun, 9 dic 2019


comedian di Maurizio Cattelan, Art Basel Miami, 6 dicembre 2019 (Cindy Ord/Getty Images)














 
Da giorni si parla di Comedian (Comico), un’opera d’arte di Maurizio Cattelan esposta alla fiera d’arte contemporanea Art Basel Miami. L’opera è una banana vera attaccata al muro con uno spesso nastro adesivo grigio, venduta per 120 mila dollari (circa 108mila euro). Sabato la banana era stata mangiata da David Datuna, un visitatore a sua volta artista, che l’ha staccata dal muro e si è fatto filmare mentre la mangiava. Datuna ha spiegato che anche la sua era un’esibizione artistica: Hungry artist, cioè Artista affamato.


L’opera è la prima di una serie di tre, e anche la seconda è stata venduta a un prezzo simile. Farebbe riferimento alla battuta di un personaggio della serie tv Arrested Development, Lucille Bluth, sui ricchi che non sanno quanto costa una banana; Cattelan ha spiegato di averla comprata a un mercato locale di Miami pagandola circa 30 centesimi di dollaro. Domenica mattina l’opera è stata ritirata dalla fiera a causa del clamore e della folla eccessiva che si assiepava e ci si fotografava davanti. Come accade spesso, le irriverenti invenzioni di Cattelan provocano sconcerto e indignazione – come può una banana attaccata al muro essere considerata arte? come può qualcuno pagarla 120mila dollari? – e lo stesso gesto di Datuna è difficile da inquadrare come scherzo, riflessione artistica o semplice auto-promozione.

Il critico d’arte del New York Times Jason Farago ha provato a fare un po’ di chiarezza o perlomeno a raccontare il punto di vista di un esperto, in quella che ha definito una «difesa (a denti stretti) della banana da 120mila dollari».

Comedian (EPA/RHONA WISE/ANSA)

Per prima cosa Farago liquida Datona: «Non ho molto da dire sul tizio che si è mangiato la banana di Cattelan: continua una lunga tradizione di gente che prende le cose alla lettera e a cui piace riportare sulla Terra l’arte concettuale dal regno delle idee. Molti artisti si sono liberati in Fountain, l’urinatoio capovolto di Marcel Duchamp e si racconta che nel 1966 John Lennon avesse preso una mela alla prima installazione di Yoko Ono e le avesse dato un morso. Si conobbero così».

Il fatto che la banana appesa sia stata mangiata, peraltro, non significa che l’opera sia stata distrutta. L’opera è l’idea, non la banana materiale in sé. «Se compri un’opera luminosa di Dan Flavin [artista famoso per le installazioni realizzate con lampade e neon, ndr] e un suo bulbo fluorescente inizia a sfarfallare, lo cambi con uno nuovo», spiega Farago. Con la banana è ancora più facile e lo stesso Cattelan aveva preparato le istruzioni, consigliando di cambiare il frutto una ogni sette-dieci giorni.

«E quindi, è arte?», chiede Farago. «Questa banana non è soltanto una banana ed è anche un contorto commento sulla sessualità maschile, sulle monocolture genetiche o sulla geopolitica centroamericana? […] Lasciate che vi rassicuri, non siete degli ottusi conformisti se trovate tutto un po’ fuori di testa. La follia e la sensazione avvilente che una cultura che un tempo incoraggiava la bellezza sublime e che oggi permette solo giochetti ebeti sono gli strumenti da lavoro di Cattelan. Forse apprezzerete meglio il suo lavoro se considerate due cose: una formale, una sociale».

Per prima cosa, infatti, l’opera non è soltanto una banana ma una banana appesa al muro con del nastro adesivo, che da anni è una delle cifre stilistiche di Cattelan. L’operazione è più complessa di quella che facevano i dadaisti a inizio secolo, quando prendevano un oggetto comune e lo dichiaravano arte, e si inserisce all’interno della decennale riflessione di Cattelan sulla tecnica della sospensione, che «rende l’ovvio ridicolo, sgonfia e sconfigge le pretese dell’arte precedente». Fanno parte di questo filone l’opera Novecento (1997), un cavallo imbalsamato appeso con delle imbracature al barocco soffitto del castello di Rivoli, come fosse un candelabro – «fa collassare sia la pomposità marziale del fascismo sia la futilità dell’arte moderna» – e La Rivoluzione Siamo Noi (2000), una miniatura di Cattelan che penzola da un appendiabiti «come un cosciotto di prosciutto». Anche la sua retrospettiva al Guggenheim nel 2011 venne allestita appendendo le opere al soffitto del museo, «come panni stesi ad asciugare».

Novecento di Maurizio Cattelan esposto al Blenheim Palace,
Woodstock, Regno Unito, 12 set 2019 
(Leon Neal/Getty Images)




La sospensione resa attraverso il nastro isolante ha una storia nell’arte di Cattelan, e forse l’antecedente più importante è A Perfect Day (1999), esistita per poche ore durante l’inaugurazione di una mostra, quando Cattelan appese il suo gallerista Massimo De Carlo a un muro bianco con il nastro adesivo «in una grottesca ma non meno impressionante crocifissione».


L’altro punto da considerare, secondo Farago, è che Cattelan rivolge queste prese in giro al mondo dell’arte dall’interno, e non dal di fuori in modo cinico e semplicistico: «La sua intera carriera è un manifesto sul desiderio impossibile di creare arte in modo sincero, districandosi dal denaro e dai suoi stessi dubbi». In questo Cattelan è l’opposto di Banksy, il più noto artista di graffiti al mondo, critico e sprezzante verso il mondo dell’arte, i suoi meccanismi e la sua mercificazione. Banksy raffigurò la vendita di un quadro con sopra scritto solo: «Non posso credere che voi coglioni compriate (ma anche “crediate a”) questa merda», e nel febbraio del 2019 nel momento in cui un suo quadro venne battuto all’asta da Sotheby’s per 1,8 milioni di euro si attivò un meccanismo che lo tagliò a strisce e lo distrusse parzialmente, cosa che ne aumentò il valore.

Una nota opera di Banksy, in cui è messo in vendita un quadro con scritto:
«Non posso credere che voi tonti compriate (ma anche “crediate a”) questa merda» (Banksy)

Secondo Farago l’atteggiamento di Banksy asseconda la convinzione diffusa che gli artisti siano tutti impostori, e che i musei, i collezionisti e i critici siano tonti o truffatori: è per il comportamento «fraudolento» – ma la parola italiana più adatta, per quanto volgare, sarebbe “paraculo” – di gente come Banksy che il pubblico crede che sia stato lo stesso Cattelan a rubare il suo water d’oro dal palazzo inglese, a settembre scorso.

«I veri artisti non ti ingannano. Quello che rende Cattelan un artista avvincente e quello che invece rende Banksy un buffone noioso e culturalmente irrilevante è precisamente la volontà di Cattelan di inserire se stesso nel sistema economico, sociale, riflessivo che struttura quello che vediamo e come lo valutiamo. Ha senso che un artista trovi questi sistemi scoraggianti e che la banana attaccata con lo scotch e il cavallo sospeso testimonino il suo e il nostro essere confinati nel mercato e nella storia. Per questo il titolo, Comico, è ironico: per Cattelan, come per tutti i migliori clown, è la tragedia a rendere le nostre certezze scivolose come una buccia di banana».







domenica 8 dicembre 2019

Interessante panoramica sui nuovi "asciugacapelli" Dyson.




Ma non ha capito qual è il più adatto alla sua testa, tra l'arricciacapelli Airwrap e il phon Supersonic

Ven, 6 dic 2019



Da anni Dyson, l’azienda britannica che produce aspirapolvere e purificatori, è considerata «la Apple degli elettrodomestici»: i suoi prodotti sono molto costosi e appaiono diversi da quelli delle aziende concorrenti, in termini estetici e funzionali, e per queste due ragioni hanno attorno una notevole aura di prestigio. Negli ultimi tre anni, in modo particolare, questo prestigio è stato avvertito tra chi ha i capelli lunghi: prima per via del phon Supersonic, che c’è dal 2016, poi, dall’anno scorso, per la spazzola asciugacapelli e arricciacapelli Airwrap. L’Airwrap è stato molto desiderato e si è fatto desiderare parecchio: poco tempo dopo il suo ingresso sul mercato, nonostante costi 500 euro, è andato esaurito e per molti mesi non è stato possibile acquistarlo.

Visti i prezzi, il Supersonic e l’Airwrap di Dyson fanno parte di quella grande categoria di oggetti che si ricevono molto volentieri in regalo. Dato che siamo in un periodo di regali, la redazione Consumismi del Post li ha provati entrambi, per metterli a confronto e dare qualche dritta a chi vuole metterli nella propria wishlist e a chi pensa di regalarne uno a qualcun altro.

I due prodotti sono stati provati da quattro redattrici che hanno in comune una quasi totale inesperienza nel farsi la piega e nell’arricciarsi i capelli da sole (volevamo capire se i prodotti di Dyson sono a prova di imbranati) ma che dal punto di vista tricologico hanno capelli di forme, lunghezze e robustezze molto diverse. Quello che abbiamo capito è che per certi capelli è meglio il Supersonic, per altri l’Airwrap, e che comunque la scelta tra i due deve dipendere dal tipo di risultato che si vuole ottenere.

Cosa non è Airwrap


Prima di dire cosa abbiamo capito provando il Supersonic e l’Airwrap, è bene spiegare subito cos’è e cosa non è l’Airwrap, dato che per la sua natura ibrida è facile fraintenderne le funzioni.
  • Non è una piastra e non è neanche un’alternativa alla piastra. Per dare forma ai capelli, infatti, Airwrap usa l’aria calda e non il calore diretto della piastra: la piastra è quindi più efficace nel dare la piega, ma alla lunga rischia di indebolirli e danneggiarli. Si può dire che Airwrap sostituisce la combinazione phon+spazzola che usano i parrucchieri prima della piastra, anche se Airwrap evita il contatto tra un materiale molto caldo – come il beccuccio del phon – e i capelli, sottoponendoli a uno stress minore.
  • Non fa i capelli lisci, o almeno, non come li farebbe una piastra: con le spazzole di Airwrap – tra gli accessori presenti nella confezione – si ottiene un liscio naturale, che varia in base al tipo di capelli, ma che non ha nulla a che vedere con quello dei capelli “stirati”.
  • Il risultato non dura a lungo, anche se dipende molto dalla struttura del capello: ci sono quelli che tengono la piega per più tempo e quelli che la perdono dopo poche ore. Diciamo che non dovete aspettarvi di svegliarvi la mattina e avere ancora i boccoli uguali a quelli della sera prima, a meno di non usare la lacca o uno spray fissante.
  • Non è un phon. Tra gli accessori contenuti nella confezione e che si possono montare sul corpo centrale dell’Airwrap c’è anche un asciugatore, ma serve principalmente a preasciugare i capelli e togliere l’acqua in eccesso prima di usare gli altri strumenti. Se volete un phon, il Supersonic è più adatto.
Cosa è Airwrap

Il termine più appropriato per definire l’Airwrap è styler, nel senso che, come dicevamo, non è nè un phon e nè una piastra, ma uno strumento che si usa per l’hairstyling, l’acconciatura dei capelli. Aprendo la confezione (che è elegante e un po’ ingombrante) si trova il corpo principale dell’asciugacapelli, che va attaccato alla corrente e sul cui manico si trovano i comandi di accensione, spegnimento, regolazione della potenza e del calore. Gli accessori che si possono attaccare al corpo centrale sono otto: c’è il preasciugatore, che ha la tipica forma “bucata” dei ventilatori Dyson, tre spazzole, di cui una cilindrica “volumizzante”, e due coppie di coni per fare le onde, una da 3 centimetri di diametro e una da 4. I coni sono a coppie perché uno arrotola la ciocca in senso orario e l’altro in senso antiorario (ci arriviamo).



Come funziona Airwrap

La prima cosa da sapere è che per ottenere un buon effetto con l’Airwrap bisogna avere i capelli bagnati, diversamente da quando si usa la piastra. La seconda cosa da sapere è che con Airwrap si possono ottenere a grandi linee due risultati: un liscio naturale o delle onde morbide. Per il liscio naturale si possono usare le due spazzole non cilindriche: quella con i denti più appuntiti è pensata per i capelli più robusti e difficili da districare, quella con i denti arrotondati (e color fucsia) per i capelli più delicati e già abbastanza lisci. Una volta inserita la spazzola che si vuole usare sul corpo centrale dell’Airwrap, basta accenderlo regolando la potenza della ventola e la temperatura dell’aria e poi assicurarsi di pettinare i capelli affondando i denti tra le ciocche, in modo che l’aria calda penetri bene nella chioma. Per evitare un effetto troppo piatto, si possono pettinare i capelli al contrario, cioè passando la spazzola sotto la chioma, con i denti verso l’esterno, oppure a testa in giù.


Insieme alle spazzole, o in alternativa, si può usare la spazzola volumizzante, quella cilindrica: serve a “tirare” i capelli e va bene soprattutto per le radici e le punte di chi ha i capelli un po’ crespi, oppure di chi ha i capelli molto piatti e vuole dargli un po’ di volume. Praticamente permette di fare con una mano sola quello che normalmente faremmo con il phon in una mano e la spazzola nell’altra. La redattrice del Post con i capelli più lunghi e lisci, che però sono spesso secchi dopo averli asciugati, è rimasta molto sorpresa dalla morbidezza e dalla lucentezza del risultato.

La principale caratteristica di Airwrap è la tecnologia che Dyson ha brevettato per fare le onde e che sfrutta l’effetto Coanda, il principio fisico secondo cui un getto d’aria tende sempre a seguire il contorno di una superficie vicina. Per farla semplice, i coni di Airwrap sparano fuori aria calda in modo da creare una specie di vortice attorno a loro che, se avvicinato a una ciocca, la cattura e la avvolge delicatamente attorno al cono. Da vedere, l’effetto è abbastanza sorprendente e, dopo un po’ di tentativi (guardarsi allo specchio inizialmente complica le cose, specialmente se si è poco coordinati), anche abbastanza facile da replicare.

Abbiamo provato a usarli in casa, facendo affidamento solo sui tutorial di YouTube (molto utili anche quando si vogliono provare a fare cose complicate), e poi in uno dei negozi di Dyson, intervistando una hairstylist, come si dice, e facendoci arricciare qualche ciocca.

Prima di cominciare con le onde, bisogna usare il preasciugatore sui capelli bagnati per evitare che le ciocche siano eccessivamente impregnate e quindi troppo pesanti per essere catturate dai coni. Fermatevi comunque molto prima che siano asciutte, o la piega non durerà. Quando siete pronti a partire con le onde, scegliete con quale lato della testa iniziare – conviene fermare i capelli su cui inizialmente non si lavora con un fermaglio – e poi prendete il cono corrispondente: le onde devono sempre andare verso l’esterno, quindi quella con la freccia che va verso sinistra per il vostro lato destro e quella con la freccia che va verso destra per il vostro lato sinistro. Per esperienza vi consigliamo di imparare questa regola e non pensarci più perché, soprattutto davanti allo specchio, è un attimo perdere i riferimenti spazio-temporali e farsi travolgere da destabilizzanti pensieri filosofici (quella è la mia mano? esiste davvero il movimento? cosa c’è oltre l’universo? e così via).

Separate la ciocca dal resto dei capelli aiutandovi con un mollettone e con le dita pizzicate la ciocca a circa 10 centimetri dalla fine. Accendete l’Airwrap, aspettate qualche secondo perché l’aria sia calda, e avvicinatelo lentamente alla punta della ciocca finché non la vedrete arrotolarsi. Poi lasciate andare la ciocca e avvicinate l’Airwrap alla testa, senza ruotarlo. Rimanete fermi così per 10-15 di secondi e poi, quando cominciate a sentire troppo caldo (se lo sentite prima dei 10-15 secondi provate a tenere più bassa la temperatura), raffreddate l’aria per qualche secondo, spegnete l’Airwrap e sfilatelo: c’è un unico tasto per accendere, spegnere e attivare il getto freddo, quindi è molto comodo. Se alla fine il risultato vi sembra molto buono nella teoria ma poco spendibile in società, passatevi le dita tra le ciocche e prenderanno subito una forma più morbida.



L’hairstylist con cui abbiamo parlato ci ha spiegato che gli effetti che avevamo ottenuto si sarebbero potuti ravvivare, a distanza di ore dalla piega (ad esempio dopo una notte di sonno), ripetendo l’operazione, semplicemente bagnandoli un po’ prima.

Cos’è Supersonic

Supersonic è un phon: non serve a piegare i capelli ma solo ad asciugarli. È composto da un corpo centrale e da tre accessori da montarci sopra di volta in volta, anche se l’espressione “montare” è inadatta a descrivere il “senso di completezza e armonia” che l’attacco magnetico suscita.

Dopo aver usato Supersonic, una redattrice ha detto di aver provato sulla testa la sensazione di un’aria più “morbida” del solito, cosa che è stata subito ridimensionata dai colleghi con un approccio più scientifico (l’aria è sempre aria), ma è stata in parte spiegata dagli esperti di Dyson: Supersonic infatti funziona grazie a un motore molto più veloce di qualsiasi altro phon (nella versione con il motore V9 raggiunge 110mila giri al minuto), che si trova nel manico e che cattura l’aria e la risputa fuori molto veloce e calda. L’aria è calda senza esagerare: anche quando è al massimo, non raggiunge mai temperature troppo elevate, fastidiose per chi lo usa e dannose per i capelli. Il vantaggio di avere il motore nel manico poi impedisce che i capelli finiscano contro le griglie di areazione, rovinandosi, come succede qualche volta con i phon di forma tradizionale.



Supersonic ha un diffusore per capelli mossi e ricci e due beccucci liscianti, uno più delicato per un liscio naturale e uno con un getto d’aria più concentrato per chi vuole fare dei tentativi di hairstyling con una spazzola. Il diffusore ha la tradizionale forma concava, ma i denti di plastica sono più corti nella parte centrale per lasciare lo spazio ai ricci di piegarsi meglio, mantenendo la loro forma naturale. Sia per la sua forma che per la velocità di asciugatura del Supersonic, facilita la vita a chi ha molti capelli, molto lunghi e ricci: si ottiene un bell’effetto naturale in poco tempo.

I beccucci invece hanno una struttura a doppio strato fatta in modo che anche portandone l’estremità a contatto diretto con i capelli (come non bisognerebbe fare con i phon tradizionali, per evitare di danneggiarli), i capelli non vengano scaldati dato che non toccano lo strato più interno e caldo, ma solo quello esterno.

In conclusione

Dyson Airwrap e Dyson Supersonic sono due cose diverse, che servono a due scopi molto diversi: il primo va bene per persone che dedicano o hanno intenzione di dedicare del tempo a dare una piega (mossa o liscia) ai propri capelli dopo averli lavati, il secondo è un phon per asciugare i capelli in modo più veloce rispetto agli altri phon, e più o meno basta così. Le onde di Airwrap sono adatte a chi vuole ottenere un effetto naturale e non rovinare i capelli con la piastra, ma non durano a lungo, soprattutto su capelli lisci e sottili. Oltre alle onde, comunque, Airwrap si può usare anche per ottenere un liscio naturale e voluminoso, sempre dedicandoci un po’ di tempo e sapendo che non durerà più di un giorno (soprattutto se fuori piove da un mese); in generale è adatto a chi ha i capelli lisci e poco mossi. Supersonic va bene per chi vuole un phon di alta qualità, silenzioso, che asciughi velocemente i capelli, ricci o lisci che siano, senza rovinarli e valorizzando la loro forma naturale. Per chi ha i capelli ricci è il prodotto più adatto.

Come provarlo e dove comprarlo

La cosa migliore che possiate fare per decidere se volete davvero un prodotto per capelli di Dyson e, nel caso, quale dei due, è andarli a provare nei Demo Store di Dyson, che sono a Milano, Torino e Roma. In alcuni giorni e orari ci sono degli hairstylist a disposizione per rispondere alle vostre domande e farvi testare i prodotti: si può facilmente prenotare un incontro gratuito, l’unica cosa importante da fare è andarci con i capelli puliti.

Anche se state pensando di comprare un prodotto Dyson per regalarlo a qualcuno, sappiate che la persona a cui lo regalerete è sempre in tempo per andare in uno di questi negozi dopo averlo ricevuto, per una dimostrazione pratica di come si usa. Se non volete andare in un negozio fisico (molti negozi che vendono elettrodomestici hanno i prodotti Dyson), potete comprarli online sul sito di Dyson. L’Airwrap costa 500 euro, il Supersonic 400 – e si trova allo stesso prezzo, o di pochissimo inferiore, anche su ePrice.

Su eBay potreste trovarli a prezzi più bassi (ma verificate sempre che il venditore sia affidabile, nel negozio ufficiale di Dyson non ci sono i prodotti per capelli), mentre su Amazon li trovate a un prezzo leggermente più alto.

venerdì 6 dicembre 2019

Ristoranti di tendenza, a Roma...



di Paolo Dal Dosso, 30 nov 2019 

Per vedere e farsi vedere, ma soprattutto per mangiare bene. Abbiamo selezionato 5 ristoranti da non perdere a Roma.

Attori, attrici, calciatori e allenatori; politici, imprenditori, personaggi televisivi, della radio e del web. Insomma, tutti i professionisti di un mondo magico che si possono incontrare, in una città come Roma, al bar sotto casa mentre prendono un caffè o al tavolo vicino al nostro, mentre consumiamo un pasto veloce o ci attardiamo a degustare un bicchiere di vino. Ma non dappertutto: i personaggi pubblici sanno che dove vanno fanno tendenza e quindi scelgono posti di tendenza. Ne abbiamo selezionati alcuni nella gallery.

Trattoria da Neno


La carne occupa un posto speciale nel menu: dall'angolo del girarrosto, con la lenta cottura sopra il fuoco ardente per una rosolatura prolungata che ne mantiene il sapore mentre lo spiedo che gira cucina ogni parte a puntino; alle carni pregiatissime, appena scottate per esaltarne il sapore intrinseco facendola arrivare subito al tavolo.
Tra gli antipasti la tartare di fassona, le polpette di stracotto su crema di patate al lime o il taco di manzo in tartare con salsa cacio e pepe, il carpaccio marinato alle 5 spezie con salsa carbonara al tartufo o il pomodoro scottato ripieno di stracciatella, pesto di basilico e panzanella.


I primi guardano alla tradizione: la classica carbonara, i tonnarelli cacio e pepe e l'amatriciana; ma sono anche attenti alla modernità, come per gli spaghetti rossi al peperoncino con straccetti di orata, carciofi e pecorino o la vellutata di ceci, mazzancolle, stracciata di burrata e gamberi rossi crudi.

Antica fonderia


Dalla periferia al centro, la movida a Roma impazza soprattutto a Campo de' Fiori, sotto la statua di Giordano Bruno che con aria severa guarda centinaia di giovani che si divertono. Il ristorante Antica Fonderia, aperto tutti i giorni dalle 19 alle 23, è in via del Pellegrino 64, a pochi metri da Campo de' Fiori. Il proprietario, Cesare Bettozzi, viene da una famiglia legata alla ristorazione e per 30 anni opera a Portorico, poi decide di tornare in patria, a Roma, dove apre l'Antica Fonderia scegliendo per il locale solo il meglio.


«Il carbone e il fumo sono i nostri strumenti più potenti», scrivono sul sito per illustrare il menu, che evidenza un approccio ancestrale a quella che loro chiamano «la nuova cucina mediterranea»: tutti i loro piatti, dalle aragoste mediterranee all'agnello al forno, ricevono il tocco finale sulla fiamma viva.


Ci sono preparazioni complesse, come il Gambero rosso con burrata alle melanzane affumicate, composta di pomodoro e senape, e brut ma bon al pistacchio; o il Risotto con burro di Normandia, alici del Cantabrico e zenzero candito o il Controfiletto di cervo con cavolo pak-choi e patate al burro noisette. Ma anche piatti che mettono al centro il prodotto, come il caviale Calvisius, le ostriche o gli scampi alla brace di melo. Le carni sono tutte cotte su griglia argentina, a 4 diverse altezze e denotano un'idea innovativa di fondo, come nel caso della pluma iberica (uno dei tagli di maiale più pregiati, tra il lombo e il collo, e la sua forma ricorda una piuma) con verza alla cenere ed emulsione di tuorlo.


L'executive chef dell'Antica Fonderia è Alba Esteve Ruiz è spagnola, classe 1989, e vive a Roma da dieci anni. Cucina prima a Alicante, Valencia e Girona, a Roma divora libri nella Biblioteca Nazionale finché non ne trova uno dell'800 che parla della cucina italiana prima dell'arrivo dell'elettricità. Con una mano decisa e raffinata elabora piatti mediterranei, in perfetto equilibrio tra i sapori italiani e iberici. La sua brigata è composta da Daniele Mochi, Valentina Pacifici, Stefano Marinucci e Lorenzo Casani. La sala è diretta dal responsabile e sommelier Michel Vergari Magoni, aiutato da Marco Farina.

L'acino brillo


Cucina italiana, di pesce e soul food. Cibo per l'anima, così si definiscono quelli dell'Acino brillo, unendo cucina creativa e piatti della tradizione in un'esplosione di colore nel cuore della Garbatella, in piazza sant'Eurosia 2b, dove l'atmosfera è senza tempo. L'Acino Brillo propone piatti di alta qualità legati alla stagionalità, curati e preparati con passione ed un pizzico di trasgressione, da abbinare ad una selezione di circa 100 etichette di vini italiani e birre artigianali


Imperdibili le specialità di pesce freschissimo, il pane sfornato al momento, le paste all'uovo ripiene e i dolci fatti in casa.


Tradizione e modernità non mancano, come nella cacio e pepe con pistacchi alla torta di mele con ricotta di bufala, dal salmone affumicato con mozzarella di bufala e tartufo agli spaghettoni gamberi e fiori di zucca.

Belive eat!


«Siamo un'azienda giovane, energica e dinamica, nel nostro percorso lo sguardo è rivolto al futuro». Lo chef e proprietario Aureliano Procacci ha studiato al Gambero Rosso e dopo aver perfezionato la tecnica in ambienti internazionali inizia, nel 2016, la sua prima avventura imprenditoriale propria al Beliveat. Si divide tra sala, bancone e cucina con Armida Grimaldi, che approda al locale con una laurea in giurisprudenza e con la specializzazione in pasta fresca. Il locale è in via Braccio da Montone 7 al Pigneto, quartiere romano che ormai fa tendenza.


Il menu, come scrive chef Procacci, non è solo una lista di piatti ma descrive chi lo crea, la sua vita, il suo amore per il cibo e le trasformazioni. È quel che viene in mente guardando prima di assaggiarlo il tortino di zucca e taleggio, o lo scamone di agnello brasato al vino rosso servito con un carciofo alla romana: antipasti che sono il biglietto da visita dello chef, che apprezza soprattutto ciò che è semplice ma estremamente appetitoso.


La tradizione continua al Beliveat con le paste fatte in casa con ingredienti semplici e d'eccellenza, soprattutto per quel che riguarda le farine come per gli gnocchetti purè e fonduta o per gli spaghetti di rape, palamita e guacamole o i ravioli ripieni di amatriciana con guanciale di Norcia e salsa cacio e pepe.


Nei secondi chef Procacci parte dalla precisione e dalla tecnica per arrivare, con allenamento e ricerca, all'eccellenza che nel caso del Beliveat è avanguardia culinaria. La troviamo nel polpo croccante cotto a bassa temperatura su crema di patate, lime e zenzero; nel maialino stracotto con pelle croccante, zucca fondente, patate e cipolline dolci in salsa delicata alla senape.

Menabò vino e cucina


Due fratelli: un cuoco e un oste. La cucina, il bancone e il vino. Daniele e Paolo Camponeschi vengono da una famiglia di ristoratori da generazioni e hanno deciso di aprire questo locale in periferia in via delle Palme 44, a Centocelle, la nuova frontiera della tendenza a Roma dopo il Pigneto. Tavoli ben distanziati, il bancone per degustazioni e aperitivo, l'arredamento essenziale con la lavagna del menu fatta girare da Daniele tra i tavoli mentre Paolo è in cucina: è un'osteria, come quelle di una volta, con la carta dei vini e la mescita al banco.


Il benvenuto è incoraggiante, una crema di finocchio all'olio d'oliva con pane carasau. Per antipasto va bene il carciofo in pasta matta con patate e una fonduta di pecorino.


I primi piatti sono quelli della tradizione romana, anche fuori menu, ma non mancano le novità, come la minestra di pasta mista con patate e polpo rosticciato.


I secondi riportano la mente ai piatti che i romani mangiavano a casa la domenica: la trippa con mentuccia e pecorino o il pollo alla cacciatora con olive e rosmarino, mentre il baccalà con pomodori infornati e ricotta guarda avanti.