martedì 26 aprile 2016

Un altro sito... Da visitare?

Un sito per demotivare... Che sia la strada giusta?

di Alessandro Tagliabue


Per capire il senso di questo sito, leggete il claim:
I prodotto motivazionali non funzionano. Ma i nostri prodotti demotivazionali® NON funzionano ancora meglio
 Ecco, quindi, il sito...


Un sito inutile... Da visitare?

Un sito inutile, ma con un suo perché...

di Alessandro Tagliabue

Un sito da visitare quando non si ha nulla da fare?
Eccolo: provare ad agitare il mouse, prima lentamente, poi sempre più velocemente


martedì 5 aprile 2016

I cibi che aiutano a vivere più a lungo e meglio.



Alimenti che si comportano come farmaci, capaci di curare e proteggere l’organismo.  La «Smartfood» influenza i geni che presiedono alla durata della vita

di Giangiacomo Schiavi, 24 feb 2016

Per vivere a lungo dimenticate Pellegrino Artusi e i suoi pollastri ripieni, le uova frullate con il bacon e il tartufo, il lardo rosa e la salama da sugo; mettete da parte i sacri testi interrotti alla voce peso forma, con il combinato disposto di Weight Watchers, Scarsdale, Dukan, allargato al cibo dissociato, scombinato, a zona o a cronometro. Ignorate, se potete, la friggitoria sotto casa, la focaccia farcita e l’insidioso cannolo. Fate uno sforzo e leggete questo libro pensando ai vostri geni, alla relazione tra cibo e patrimonio ereditario, a come evitare di incattivirli con pietanze sbagliate, aizzandoli in una battaglia suicida contro se stessi. E quindi farsi del male.

Si può essere sani per scelta

Si può essere sani per scelta, allineando alla scienza e allo stile di vita un vero e proprio esercito della salvezza alimentare: i longevity smartfood. Sono il cibo di domani. Alimenti che attivano i geni della longevità. 
Scoperti dalla nutrigenomica, studiati nei laboratori e conosciuti dalla civiltà contadina, contengono molecole che hanno dimostrato di influenzare i geni che presiedono alla durata della vita. 
Con loro, si può mangiare senza accorgersi di farlo, si è a dieta senza esserlo, si digiuna senza fatica, si invecchia restando giovani nel corpo e nello spirito, come diceva Giovenale: mens sana in corpore sano. Fanno parte della dieta Smartfood, la prima con un marchio scientifico approvata dallo Ieo di Milano, una rivoluzione salutista trasformata in un affascinante viaggio nell’alimentazione da Eliana Liotta, giornalista infiltrata nell’avanguardia della genetica (La dieta Smartfood, Rizzoli, da giovedì in libreria).

In 360 pagine ricche di esempi e spiegazioni, viene dato un filo e un percorso accessibile agli studi di Pier Giuseppe Pelicci e Lucilla Titta, direttore della ricerca e nutrizionista dello Ieo. 
E si smaschera finalmente il cibo amico, quello che contiene antocianine (arance rosse, cavoli, ciliegie, frutti di bosco, melanzane, patate viola, prugne nere, radicchio, uva nera), capsaicina (paprika piccante e peperoncino), la curcumina, l’epigallocatechingallato (tè verde e tè nero), la fisetina (cachi, fragole, mele), la quercetina (asparagi, capperi, cioccolato fondente, cipolle, lattuga), resveratrolo (uva).

Mixate a piacere, senza scrupoli

Mixate a piacere, senza scrupoli. Questa non è una dottrina, avverte l’autrice. È un invito a considerare la scienza come un alleato in grado di farci vivere meglio. 
Una scienza che fa venire l’appetito: sciogliete un quadratino di cioccolato in bocca e l’esistenza si allunga, assaporate una fragola e sposterete il crepuscolo. Andate anche oltre con aglio, cereali integrali, frutta secca, legumi, semi, olio d’oliva: sono nostri alleati, in grado di diminuire l’incidenza delle malattie. Liotta esplora la frontiera della nutrigenomica, quella che troverà posto nei laboratori del futuro del dopo Expo, se non ci saranno intoppi: la scienza del cibo, che combatte i chili di troppo, previene il cancro, le patologie cardiovascolari, metaboliche, neurodegenerative. Ricordate la massima di Mario Soldati, scrittore, regista e longevo gourmet? «In cucina la povertà diventa ricchezza». È questa povertà, che si traduce in semplicità e più ancora in qualità, che piace soprattutto ai nostri geni, decrittati e compresi,anche nei gusti. Bisogna accontentarli. Inserire nel menù le varianti longevity food. Sono trenta e ammettono qualche strappo. Ci sono slot nei quali infilare (senza esagerare) pane, pasta, pesce, uova e formaggi. La dieta Smartfood è un inno alla libertà, spiega Liotta. Mangiare è un piacere. Anche per i geni. Lasciamoli invecchiare in pace. 

(#dietasmartfood)





L'artista deve diventare... un botanico del marciapiede



Un anno dopo il primo Roma Coast to Coast, viaggio a piedi da Battistini ad Anagnina, il 5 aprile Alessio Trerotoli si prepara a camminare per altri 21 chilometri per raccontare con la sua macchina fotografica il tragitto da Rebibbia a Laurentina, lungo tutte le stazioni della metro B.

di Alessio, 4 apr 2016




Il 21 aprile 2015 il fotografo romano Alessio Trerotoli ha percorso a piedi la città da un estremo all'altro per 21 chilometri, da Battistini fino ad Anagnina, toccando tutte le stazioni della linea A della metropolitana, dal quartiere popolare Primavalle fin quasi ai piedi dei Castelli Romani, passando dal Vaticano e tra i monumenti del Centro Storico immortalati dai turisti. Un viaggio a piedi, una vera e propria avventura da capolinea a capolinea documentata da oltre cento fotografie e migliaia di visualizzazioni, commenti e condivisioni, che in breve tempo l'hanno resa virale sul web.

Il prossimo 5 aprile, sull'onda del successo del primo "Roma Coast to Coast", Trerotoli continua la sua avventura a piedi: il fotografo percorrerà per altri 21 chilometri la strada che copre la Linea B della metropolitana di Roma, da Rebibbia a Laurentina, passando dalla Tiburtina al Colosseo, dal fascino della Garbatella fin attraverso l'Eur: 
"Baudelaire affermava che l'artista deve immergersi nelle dinamiche della vita moderna, della metropoli, diventare un botanico del marciapiede, un conoscitore analitico del tessuto urbano. Se è così, attraversare Roma a piedi è probabilmente il modo migliore di conoscerla attraverso le sue sfumature, i suoi angoli più o meno nascosti. Roma infatti è una e mille città diverse: talvolta percorrendola con i mezzi pubblici o in auto è difficile rendersene pienamente conto. Quante volte si entra e si esce da una stazione della metropolitana senza accorgersi del mondo che c'è al di fuori? Senza rendersi conto delle storie raccontate dalle sue strade?".

Sarà possibile seguire il viaggio di Trerotoli in tempo reale, su Instagram e su Twitter, usando l'hashtag #RomaCoastToCoast, oppure vedere il reportage completo nei giorni successivi, sulla pagina Facebook Alessio Trerotoli Photographer e sul suo sito www.alessiotrerotoli.it, dove è già presente l'album relativo al "Roma Coast to Coast" dello scorso anno.

Twitter: @TrerotoliPhoto
Instagram: alessiotrerotoli

lunedì 4 aprile 2016

La fine della legge di Moore?


La fine della validità dello storico enunciato si avvicina, e le ragioni saranno economiche prima che tecnologiche. L'industria si prepara al cambio di paradigma, concentrata su cloud, gadget mobile e IoT

di Alfonso Mariuccia, 15 feb 2016


Che la cosiddetta "legge di Moore" non avrebbe visto i prossimi 10 anni lo aveva assicurato già lo stesso Gordon Moore, il co-fondatore di Intel che quasi 50 anni fa aveva pubblicato uno studio poi adottato come "enunciato" valido a prescindere dall'industria dei microchip. Ma presto sarà proprio l'industria ad abbandonare la legge di Moore, concentrandosi piuttosto sui nuovi orizzonti tecnologici e di marketing del cloud, del mobile e dei gadget iper-connessi della Internet delle Cose (IoT).

La legge di Moore sancisce che il numero di transistor in un microchip raddoppia ogni due anni circa, con un incremento proporzionale nelle performance raggiungibili, nel risparmio dei costi e nella riduzione dell'energia necessaria al funzionamento delle CPU al silicio. Intel è stata fin qui la prima promotrice della validità dell'enunciato, anche grazie a investimenti multi-miliardari sui processi produttivi all'avanguardia in anticipo sul mercato e alle corrispondenti "fab" necessarie alla realizzazione dei chip.

La cosiddetta legge di Moore è stata fin qui una profezia che si è avverata da sola, sostiene un nuovo articolo su Nature, perché è stata la stessa industria a decidere di insistere con il raddoppio dei transistor ogni due anni investendo in ricerca e sviluppo per raggiungere il comune obiettivo del progresso senza fine.

Il prossimo mese, l'industria dei microchip pubblicherà una roadmap globale che per la prima volta non insiste sulla legge di Moore, concentrandosi piuttosto su nuovi scenari di sviluppo più orientati alla realtà odierna degli smartphone, del marketing tamburellante del cloud e delle promesse dei sensori onnipresenti della IoT.

La nuova roadmap passerà dall'hardware alle applicazioni, dicono le indiscrezioni,adeguandosi a un mondo che apparentemente non vuole più sentir parlare di CPU per computer super-veloci quanto piuttosto di browser Web e terminali mobile per server remoti, risorse di computing disponibili in abbonamento sul cloud e altre novità dell'ultima ora.

La legge di Moore morirà per ragioni economiche prima che tecnologiche, perché l'enunciato è stato fin qui mantenuto in vita dall'economia di scala di un'industria in costante trasformazione.

Lo "spread": i nuovi riferimenti economici...



di Vito Lops, 19 feb 2016

Di spread ormai ne abbiamo piene le tasche. 
Questo vocabolo (che in inglese vuol dire “differenza”) era sconosciuto ai più prima del 2011, quando è scoppiata anche sul debito pubblico italiano la “crisi dello spread”. Il differenziale di rendimento tra BTp e Bund a 10 anni balzò a 575 punti. In pratica un BTp rendeva il 7,75% e il Bund il 2 per cento. I mercati non si fidavano della capacità dell’Italia di rimborsare il debito e quindi in cambio chiedevano un rendimento molto alto per acquistare le obbligazioni governative. E da allora che tutti hanno cominciato a parlare di spread.

Oggi questo spread è a 130 punti (Il BTp rende l’1,55% e il Bund lo 0,25%) e a inizio anno era a 96. Si tratta di valori bassi che indicano che sul debito sovrano italiano è tornata una certa tranquillità (i mercati non temono un default). Ma va detto che questo indicatore - che è stato usato come termometro per misurare la crisi e il livello di tensione sui mercati - non è più quello di un tempo. Ha “perso smalto” dall’estate del 2012 quando ci si è messa di mezzo (in senso buono) la Bce a fare da garante sui debiti dell’Eurozona (Grecia esclusa). 
Questo ha fatto scappare via gli speculatori che fino ad allora avevano attaccato - con vendite allo scoperto - i debiti dei Paesi della periferia dell’area euro.


I due yuan


La Bce è addirittura passata dalle parole ai fatti a marzo 2015, annunciando che ogni mese avrebbe acquistato (come fa ormai regolarmente) circa 45 miliardi in bond governativi dell’area euro, compresi i titoli italiani. Questo ha contribuito all’appiattimento dello spread come lo conosciamo oggi.

Ne consegue che oggi considerare lo spread tra BTp e Bundcome termomentro della crisi e del livello di tensione dei mercati non è più corretto. Nessuno speculatore si sognerebbe mai di giocare contro una banca centrale che, tecnicamente, ha una potenza di fuoco illimitata. La verità è che lo spread BTp-Bund è ovattato, stemperato dalla longa manus della Bce. Quindi resta un parametro interessante, ma non può più al momento essere considerato un indicatore del livello di tensione dei mercati.

Ed è per questo che i gestori adesso guardano un altro spread, che arriva ogni mattina sui monitor dritto dalla Cina. Misura la differenza tra l’andamento dei due yuan (o renminbi, cioè il nome della valuta in Cina) oggi in circolazione. Il primo, detto “spot” o “onshore”, è quello stabilito dalla People’s Bank of China che lo controlla nell’ambito di una banda di oscillazione (è quindi un cambio semi-rigido). Il secondo è libero di fluttuare liberamente sui mercati secondo le regole canoniche della domanda e dell’offerta. È lo yuan “offshore”, quotato a Hong Kong.

Lo “spread cinese” è oggi molto significativo. Quando si amplia, ovvero quando la quotazione dello “yuan offshore” ha un valore più alto (in rapporto a un dollaro) rispetto a quello “spot” e quindi vale meno in termini reali rispetto allo spot, non è un bel segnale per i mercati. Vuol dire che i mercati si aspettano da un giorno all’altro che la People’s Bank of China svaluti il cambio ufficiale (spot) nei confronti del dollaro, adeguandosi a quanto già si aspetta il mercato che difatti si muove in anticipo e svaluta il cambio sul mercato di Hong Kong, muovendo al ribasso nei confronti del dollaro la quotazione dello yuan “offshore”.

E - lo abbiamo visto lo scorso agosto e a inizio di quest’anno - quando la Cina svaluta ufficialmente il cambio si propaga un terremento su Borse globali e prezzo del petrolio. E proprio dalla svalutazione dell’8 agosto che sono iniziate le vendite in Borsa su scala globale ed è tornata l’avversione al rischio.

Analizzando questo spread emerge che c’è una soglia d’allarme, quando viene toccata le probabilità che si scateni un terremoto finanziario lato Cina aumentano. Questa soglia è 13 punti. È il picco raggiunto da questo indicatore la scorsa estate e ai primi di gennaio. In entrambi i casi, dopo che lo “spread cinese” ha toccato quota 13, la People’s Bank ha svalutato cogliendo alla sprovvista i mercati e gli investitori. Ma non certo coloro che guardavano questo spread. Il consiglio per tutti gli investitori e i risparmiatori è di guardare in questa delicata fase più lo “spread cinese” che non quello tra Italia e Germania. Se questo supera i 10 punti base e tocca 13 potrebbe aumentare l’avversione a rischio su Borse e petrolio.

La riprova del funzionamento di questo indicatore la si ha anche in questi giorni, quando sui mercati è tornata un po’ di tranquillità (le Borse europee hanno recuperato il 7% nell’ultima settimana). Questo è coinciso anche con le dichiarazione del governatore della banca centrale cinese dello scorso week end sul fatto che la Cina non ha bisogno di svalutare ancora il cambio. I mercati (questa volta) gli hanno creduto. Lo “spread cinese” si è azzerato e le Borse sono ripartite. Questa mattina la quotazione dello “yuan offshore” (6,5171 dollari) è quasi identica al cambio ufficiale (6,5163). Segnale che almeno dalla Cina non sono previsti terromoti a breve in vista. Occhio però a quota 13 che, pur a non essere scaramantici, almeno sullo “spread cinese” non porta affatto bene.




domenica 3 aprile 2016

Addestramento dei chirurghi: la vita artificiale dei cadaveri...



di Andrea Bacariol, 23 feb 2016


Anche i chirurghi devono potersi prepararsi nel modo migliore agli interventi. 
La pensano così in Francia dove hanno studiato un metodo assai particolare: esercitarsi su corpi donati alla scienza e 'rianimati', con sangue artificiale e respiratori, in modo da riprodurre condizioni più vicine possibile alla realtà. Il sistema è stato realizzato dalla Facoltà di medicina di Poitiers, da Cyril Brèque, esperto di biomeccanica che lo ha anche brevettato, battezzandolo 'Simlife'. 
Il programma consentirà ai futuri chirurghi di formarsi affrontando situazioni del tutto simili a quelle di una sala operatoria, ma senza rischi per i pazienti. Fino a oggi invece gli studenti di medicina francesi potevano prepararsi sui manichini interattivi, allenarsi alle suture su zampe di maiale o esercitarsi su cadaveri inerti. Situazioni che differiscono però dalla realtà e che si uniscono alle difficoltà di formazione legate alle regole più stringenti in sala operatoria in Francia. 
I futuri chirurghi, infatti, non hanno molte occasioni di imparare al fianco di professionisti esperti che non possono lasciarli operare, nelle prime fasi di formazione, su veri pazienti.




Da questa difficoltà è nato il progetto del centro di simulazione, appena inaugurato nella facoltà francese. 
Al momento i battiti, la respirazione e la circolazione nei corpi 'rianimati' sono controllati con sistemi meccanici, ma l'obiettivo è miniaturizzare il meccanismo che dovrà essere poi 'pilotato', attraverso il wi-fi da un tablet per proporre diverse situazioni al tavolo operatorio. Dopo una prima fase di test, una ventina di studenti dell'ultimo anno, già dalla fine del 2016, potranno esercitarsi con il nuovo sistema al Centro di simulazione della facoltà di Poitiers.

In Italia la legge vieta l'utilizzo di cadaveri per lavoro e studio, mentre negli altri Paesi questo metodo formativo viene riconosciuto come indispensabile per la didattica.  Non solo.  Il nostro Paese è costretto a importare dall'estero i cosiddetti preparati anatomici, ossia specifiche parti di cadavere, con costi molto elevati. Per una testa, ad esempio, si arriva a spendere anche 10mila euro. 

La questione è stata sollevata durante la conferenza stampa di presentazione del 15esimo meeting della Federazione mondiale delle società di neurochirurgia lo scorso settembre:"In Italia la donazione del corpo è ammessa, ma l'acquisizione dei cosiddetti preparati anatomici non avviene come in altri paesi europei (ad esempio Austria, Spagna)", ha spiegato Roberto Delfini, direttore della Scuola di specializzazione di Neurochirurgia della Sapienza di Roma.

Il grande affare degli immobili romani...



Il costruttore-editore aveva confezionato un veicolo ad hoc, la Domus Italia spa, per piazzare in Borsa vari pacchetti di edifici residenziali della capitale. L'operazione però è slittata all'ultimo causa crisi greca

di Fiorina Capozzi, 1 lug 2015

Caltagirone, il grande affare degli immobili romani dovrà attendere


Francesco Gaetano Caltagirone dovrà attendere tempi migliori per collocare in Borsa un cospicuo portafoglio di progetti di sviluppo immobiliare della Capitale. I venti della crisi greca hanno suggerito alla Domus spa, società controllata dal gruppo del costruttore-editore romano, di rimandare la quotazione allontanando anche gli incassi attesi dall’operazione. “La società si riserva di ripresentare l’offerta in un contesto di stabilità dei mercati finanziari”, si legge nella nota ufficiale che evidenzia come il progetto sia stato solo differito.

Per far cassa con gli immobili di Tor Pagnotta, Talenti, Collatina, Ponte di Nova, Prampolini, Caltagirone aveva infatti deciso di ricorrere a Piazza Affari confezionando un veicolo ad hoc, la Domus Italia spa, appunto. 
La società, che fa capo al gruppo attraverso Ical2 ed è presieduta dall’ex numero uno di Terna, Flavio Cattaneo, contiene immobili residenziali del fondo Seneca gestito da Fabrica Immobiliare, joint venture del gruppo Caltagirone con l’ex partecipata Mps. Si tratta, in buona sostanza di “una pluralità di immobili, tutti siti nel Comune di Roma, per un valore complessivo pari a 139,5 milioni di euro”, al netto di 56 milioni di oneri finanziari. Con questi edifici residenziali, Domus puntava a raccogliere in Borsa da 237,6 a 288 milioni di euro fra i piccoli risparmiatori (10%) e gli investitori istituzionali (90%), che sono poi gestori anche dei fondi di investimento di banche e Poste.

L’operazione avrebbe comportato un drastico ridimensionamento del peso di Caltagirone nella Domus Italia spa. Dopo il collocamento, infatti, il costruttore romano, attualmente titolare del 100% del gruppo, sarebbe dovuto scendere fino al 6 per cento circa. Con una conseguente riduzione ai minimi termini della sua influenza sulle strategie di Domus che però ha già deciso come spendere il denaro raccolto sul mercato. I proventi della quotazione “saranno utilizzati, in tutto o in parte, per il pagamento del corrispettivo previsto dai contratti preliminari di acquisto di immobili”, si legge nel prospetto. Il resto servirà a “implementare attività che permettano, nel rispetto della propria strategia, di accrescere i risultati, supportando gli obiettivi di crescita e sviluppo della società”.

Ma quali sono i progetti immobiliari in cui Domus vorrebbe entrare previo il superamento della soglia dei 200 milioni di raccolta? Il prospetto informativo ne dà conto in dettaglio spiegando che per il dopo quotazione, Domus ha previsto l’acquisto per 326 milioni, al lordo di Iva, di un “secondo portafoglio immobiliare che è costituito da “1.787 unità residenziali e 21 unità commerciali che al momento risultano in costruzione” con consegne previste nel giro massimo di un anno. Il portafoglio è di proprietà di quattro aziende: De Chirico Costedil 66, Tor Pagnotta Costedil, Finanziaria Italia e Coim 2013, tutte società che fanno capo allo stesso gruppo Caltagirone.

A conti fatti, insomma, per il costruttore romano, editore delMessaggero e del Mattino, l’operazione Domus è decisamente ambiziosa. Quello che ci vuole in questi anni di crisi quando persino la storica cassaforte, FGC, celebre in passato per essere una delle società più liquide d’Italia, accusa il colpo: il bilancio 2013, l’ultimo disponibile, si era chiuso con 41 milioni di perdite consolidate e 2 miliardi di debiti su un patrimonio da 2,8 miliardi. Caltagirone non era però il solo a gioire per il collocamento di Domus. L’operazione aveva l’aria di essere soddisfacente anche per lo sponsor banca Akros (gruppo Bpm) e al coordinatore dell’offerta, Banca Imi che – come riferisce il prospetto – sono in una situazione “di potenziale conflitto di interessi”. Nel dettaglio, Akros “e/o altre società appartenenti al gruppo bancario Bipiemme hanno prestato o potrebbero prestare in futuro servizi di lending , advisory e di investment banking in via continuativa a favore dell’emittente e/o a favore del gruppo facente capo a FGC a cui l’emittente appartiene”. Situazione ancora più complessa per Banca Imi e per altre società del gruppo Intesa che “hanno erogato finanziamenti significativi all’emittente e/o a favore del gruppo facente capo a FGC a cui l’emittente appartiene”. Il risultato? “Banca Imi sarà l’arranger, la banca agente, nonché il principale finanziatore” nell’ambito di quella che aveva assunto i contorni di “un’operazione di sistema”. Ma per sapere come l’accoglierà il mercato bisogna attendere.

Prodotti tecnologici italiani per la Cina...



Progettati da maker italiani, selezionati per il mercato cinese

25 feb 2016


Trasformare un semplice dito in smartwacth oppure ridare la vista agli ipovedenti grazie ai suoni: sembrano idee impossibili ma sono già prodotti reali (tutti rigorosamente made in Italy) e da oggi si preparano a conquistare la Cina. Sono due dei 4 progetti vincitori selezionati a #RoadToSuccess, l'evento organizzato dalla collaborazione tra IngDan, la più grande piattaforma web cinese di prodotti del cosiddetto Internet del cose (IoT), e Maker Faire Roma, che si è svolto oggi a Roma.

"Get sembra un semplice braccialetto ma permette di parlare al telefono semplicemente poggiando un dito sull'orecchio", ha spiegato Edoardo Parini, ideatore con il fratello Emanuele di questo 'smartwatch low-cost'. A renderlo possibile sono le ossa del corpo: nel braccialetto si nasconde un piccolo altoparlante e le vibrazioni (ossia il suono) si trasmettono quasi perfettamente lungo le ossa della mano fino al timpano. 

Non è solo un'idea, ma un vero prodotto che potrebbe entrare a breve in commercio e che permetterà a tutti di poter chiacchierare a telefono semplicemente poggiando un dito sul l'orecchio. Altro progetto premiato è Horus, una cuffia con altoparlante e telecamere ideata get:da Saverio Murgia, e capace di trasformare le immagini in un voce. Horus è pensato in particolare per gli ipovedenti e grazie a un software di analisi è in grado di descrivere gli ambienti e addirittura riconoscere le persone. Premiati sono stati anche il sistema di sensoristica Iomote e la piattaforma per il controllo di flotte di droni autonomi Archon.

Durante l'evento sono stati presentati in appena 180 secondi venti dei migliori progetti italiani presentati all'ultima Maker Faire Roma, che si era svolta ad ottobre all'interno degli spazi della Sapienza, che tornerà dal 14 al 16 ottobre alla Fiera di Roma. Dallo sport al cibo fino alla robotica e l'educazione, i 20 progetti sono arrivati da tutta Italia e al termine della giornata ne sono stati selezionati 4 che ora avranno la possibilità di conquistare il mercato cinese.

"Questi sono tutti esempi del 'nuovo' made in Italy, nati da piccole realtà ma già pronti per il mercato", ha spiegato Marco Mistretta, amministratore delegato di IngDan. "Il nostro obiettivo - ha aggiunto- è quello di promuovere questi prodotti e come un 'ponte' aiutarli a entrare sui mercati internazionali, in particolare in Cina nella Shenzhen valley, l'area che ospita la più grande produzione elettronica al mondo".



Horus: Cuffie con microcamere che traducono gli ambienti in parole (Horus/Murgia)


Get: Il dito si trasforma in altoparlante per il telefono (fonte: Get/Parini)

Farma-party: una triste follia adolescenziale USA




Dove si usano a caso medicine dei genitori

1 apr 2016


Rubano di nascosto pillole e farmaci dagli armadietti dei loro genitori e li portano a feste, i cosiddetti ‘farma-party’, dove li condividono con altri coetanei, mettendoli e mescolandoli tutti insieme in grandi boccioni, per poi prenderne e consumarne a manciate. 

E’ una delle ultime mode tra gli adolescenti negli Stati Uniti, che puo’ portare ad abusi, ricoveri in ospedale e a volte anche la morte. A spiegarlo e’ la Food and drug administration (Fda), l’agenzia Usa che regola i farmaci, che sul suo sito ha pubblicato un video in cui spiega come evitare questi incidenti.


In questa sorta di ‘roulette russa’ dei farmaci, ai ‘farma-party’ si possono trovare dai farmaci da banco per il raffreddore ad altri soggetti a prescrizione, dagli antidolorici potenti e antidepressivi fino a quelli per l’iperattivita’, tutti mescolati insieme in un’unica boccia, e magari prima bagnati con l’alcol. 

Accanto a questi abusi, possono verificarsi altri incidenti con i farmaci in casa con i bambini piu’ piccoli, che ”sono attirati dalle confezioni colorate delle pillole, che scambiano per caramelle – rileva Connie Jung, farmacista Fda – o perche’ magari i farmaci vengono smaltiti in modo non corretto e li trovano cosi’ nella spazzatura”. 

Ogni anno oltre 60mila bambini finiscono al pronto soccorso per l’assunzione di medicinali, sottolinea l’Fda, fatta mentre un adulto non li guardava. La soluzione ”e’ chiudere i farmaci a chiave e metterli in posti – conclude Jung – dove non li possono raggiungere, al di fuori della loro portata”.

sabato 2 aprile 2016

Il viaggio di Obama a Cuba...


Il viaggio anomalo di Obama a Cuba

di Alfredo Luis Somoza (Presidente ICEI), 18 feb 2016

Uno strano rapporto quello tra Cuba e Stati Uniti. 
La grande nazione del Nord combatté qui una guerra contro la Spagna alla fine dell'800 per ribadire il principio di "America agli americani", che era la visione portante della politica a stelle e strisce per il continente americano enunciata dal presidente Monroe nel 1823. Una geopolitica che rompeva con il passato del continente americano rimuovendo i residui di presenza coloniale europea, come quella spagnola a Cuba, grazie al ruolo egemone della nuova potenza con capitale a Washington.
A guerra vinta Cuba fu protettorato statunitense fino alla costituzione del 1901 che doveva però salvaguardare le leggi introdotte durante l'occupazione. In sostanza Cuba nasceva come paese indipendente, ma in libertà sorvegliata. Il "forte legame" tra i due paesi si consoliderà nel tempo fino alla sua fase terminale, durante la dittatura di Fulgencio Batista che verrà abbattuto dalla rivoluzione guidata da Fidel Castro nel 1959. Il rapporto di amore-odio tra Cuba e Usa si svilupperà quindi solo sul versante dell'odio nei lunghi decenni della Guerra Fredda, fino alla recentissima ricomposizione. Due paesi con tante cose in comune che si sono reciprocamente influenzati sul terreno della cultura, dello sport, della musica e della politica.
Due dei tre più importanti candidati del Partito Repubblicano alle Primarie in corso sono figli di cubani, di quella diaspora che praticamente ha colonizzato lo Stato della Florida. Ma la visita all'isola di Barack Obama, è paradossalmente un evento anomalo. Nel periodo in cui Cuba era praticamente una loro colonia, ricevete solo la visita di un altro presidente, Calvin Coolidge, nel 1928. Per Barack Obama la situazione sarà molto meno favorevole rispetto al suo predecessore, perché i rapporti con Cuba non sono stati ancora normalizzati del tutto e perché sarà ricevuto da Raul Castro. Un cognome che rappresenta una sconfitta storica per Washington, quella di non essere riusciti, con le buone e soprattutto con le cattive, a sbarazzarsi dei fratelli Castro e dell'unica esperienza comunista dell'Emisfero Occidentale.
Un regime antagonista, quello castrista, alla loro politica estera in America Latina e Africa che però oggi molti pensano possa diventare prezioso alleato. Cuba ha avuto e mantenuto nel tempo, da quando era colonia spagnola, una centralità politica e culturale nell'area caraibica, allargata all'intero continente dopo la vittoria della rivoluzione. Un paese ancora influente, come ha dimostrato portando a termine la mediazione tra Stato e guerriglia colombiana che per 2 anni hanno lavorato all'Avana per raggiungere un accordo che sarà firmato a fine marzo a Bogotá. Un paese al centro delle attenzioni del Vaticano, perché rimasto fondamentalmente cattolico in un continente passato in buona parte alle religioni evangeliste e pentecostali. Cuba è anche il crocevia degli investimenti di paesi che altrove sono in feroce competizione. Sull'isola stanno arrivando capitali brasiliani, cinesi, europei e prestissimo statunitensi. Qualcuno immagina l'isola come un futuro hub per diplomazia e affari all'incrocio tra Ovest ed est, tra Nord e Sud.
Sono questi i motivi che spingono Obama a recarsi a Cuba prima di finire il suo mandato. Non dovendosi ricandidare, ha scelto di assecondare la comunità degli affari statunitensi e le famiglie di oriundi cubani che non sapevano più cosa farsene dell'embargo e sognavano la possibilità di potere investire e di muoversi liberamente. La visita di Obama passerà alla storia, come sono passati alla storia la visita di Francesco, l'abbraccio con il Patriarca Kiril, la conclusione positiva degli accordi di pace tra i colombiani. Molti, troppi, eventi storici concentrati in un solo punto del pianeta nel giro di un anno. Non può essere un caso.

Cinque profezie sulla fine del mondo



7 gen 2016


Asteroidi, allarmi della Nasa, persino Obama: le cinque profezie sulla fine del mondo (vicinissima)


Come tutti sanno, contrariamente a quello che avevano previsto i Maya, nel 2012 non c'è stata la fine del mondo. Siamo tutti qui, bene o male. Ecco dunque che spuntano nuove teorie apocalittiche sul Pianeta Terra. 
Secondo un articolo di Leggo che riprende Metro.co.uk, piuttosto bislacche, ci sarebbero cinque profezie sull'Apocalisse che farebbero pensare che la fine del mondo è vicina. 

1) La profezia di Ghostbusters 2: nel secondo capitolo della saga dedicata agli acchiappafantasmi, il 14 febbraio 2016 è indicato come data dell'apocalisse. 

2) L'allarme dello scienziato della NASA: il dottor Sal, sedicente esperto dell'agenzia spaziale nordamericana, nel 2011 ci avvertì che quest'anno i due poli dovrebbero sciogliersi fino a sommergere d'acqua tutto il mondo.

3) Obama l'Anticristo: David Montaigne è un complottista divenuto molto famoso sul web perché, a suo dire, la Bibbia indica chiaramente che il vero Anticristo è Barack Obama. Secondo Montaigne, Obama attaccherà Gerusalemme il 6 giugno e provocherà l'Apocalisse.

4) L'asteroide e il buco nero artificiale: secondo il pastore Ricardo Salazar, la fine del mondo dovrebbe iniziare il 16 maggio per concludersi il 25 ottobre. Un asteroide colpirà la Terra, e la distruzione sarà completata da un buco nero creato dal Cern di Ginevra fuori controllo.

5) Il ritorno di Gesù: alcuni complottisti di fede cristiana sostengono, citando un'interpretazione forzata del Libro di Daniele, che il 2016 sarà l'anno del ritorno di Cristo sulla Terra. 




Le profezie di "Baba Vanga": il futuro di Roma...



8 dic 2015


Baba Vanga


Lei si chiamava Baba Vanga, ed è morta nel 1996 all'età di 85 anni, oltre 50 dei quali dedicati alla chiaroveggenza. 
Si tratta di una donna non vedente, di origine bulgara, considerata una sorta di Nostradamus dei giorni nostri. Nel suo "ruolino di marcia" figurano una serie di previsioni drasticamente corrette. 
In primis gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2011 e lo tsunami del 2004. Ripercorrendo la sua storia, notaIl Messaggero, ci si accorge come il margine d'errore di Baba Vanga sia molto ridotto, pari al 15%, cifre che le hanno fatto guadagnare il titolo di "Nostradamus dei Balcani", appunto.

Su Roma - Il problema è che, ora, riemerge una vecchia profezia della signora, che già si sta dimostrando fin troppo corretta. Baba Vanga diceva: "Nel 2016 si inasprirà la guerra dell'Occidente contro il mondo islamico. La fine si avrà soltanto nel 2043, quando verrà istituito unnuovo califfato che avrà Roma come suo epicentro". Secondo la signora - e lo affermava nei primi anni '90 - nel 2043 l'economia europea sarà soggetta alla legge di un nuovo califfato. Addirittura, nel 2066 la Capitale italiana, sotto il nemico musulmano, sarà bombardata dagli Usa con un'arma climatica.

La storia - Baba Vanga, nata a Strumica, attuale Macedonia, nel 1911 da una famiglia di origini poverissime, perse la vista dopo essere stata colpita da un tornado, a 12 anni. Successivamente ebbe le prime apparizioni: si diffusa la credenza che la donna potesse leggere nel pensiero e prevedere il futuro. I leader comunisti del Paese le chiesero aiuto per organizzare la loro agenda politica. Tra gli altri eventi che avrebbe predetto ci sarebbero anche la tragedia del sottomarino Kursk, avvenuta nel 2000, l'elezione di Barack Obama e la Primavera araba.

Unplugged Powered Suite: il "vestito" potenziato che aiuta a muoversi con minor fatica...



di Manuela Rizzo, 16 feb 2016

Avreste mai pensato di poter indossare un vestito intelligente che aiuta le persone a camminare ed a svolgere determinati movimenti
Ebbene si è questa l’ultima novità che ben presto potrebbe arrivare nelle vostre case e si chiama Unplugged Powered Suit e come anticipato si tratta di un vestito intelligente che aiuta le persone a camminare e come già spiegato a svolgere determinati movimenti. 

Questo nuovo progetto è stato sviluppato da Yuichi Kurita dell’Università di Hiroshima ed è stato presentato in occasione dell’Internation Robot Exhibition.L’obiettivo principale di questo particolare vestito è sicuramente quello di aiutare le persone che presentano una difficoltà motoria ma anche tutti coloro i quali vogliono faticare il meno possibile sia sul posto di lavo che durante l’attività fisica. 

Il segreto della Unplugged Powered Suito consiste nello Pneumatic Gel Muscle, ovvero un dispositivo che di fatto rappresenta un muscolo artificiale e che quindi va a sostituire elementi ingombranti come apparecchiature e compressori che nella maggior parte dei casi caratterizzano i classici tutori.

In seguito alla pressione dei piedi per terra si aziona il muscolo grazie ad una pompa posizionata proprio sotto la pianta del piede e proprio grazie a questa l’esoscheletro è in grado di fornire supporto alla camminata, scaricando la maggior parte del peso e dello sforzo proprio su questo tutore e non direttamente sulla gamba. 
Il terzo e ultimo componente dell’Umplugged Powered Suit è una specie di fascia di trasmissione, necessaria per passare la pressione, e quindi la forza, dalla pompa al muscolo artificiale.

“La struttura è semplice, facile da mantenere in funzione e poco costosa, soprattutto rispetto agli esoscheletri per il movimento assistito messi a punto finora. Nasce per facilitare il moto quando e come serve: non contiene parti pesanti e può essere agevolmente individualizzato per venire incontro alle esigenze particolari di ciascuno, dal miglioramento della forza muscolare negli atleti alla riabilitazione dopo i traumi”, dichiara l’ideatore ovvero il dottor Kurita. 
Questo particolare vestito, dunque, viene per ora utilizzato per ridurre l’attività muscolare durante l’attività fisica per lo più durante il jogging e per aumentare la velocità di un lancio. Al momento il progetto è ancora in via di sperimentazione ma l’idea se davvero riuscirà ad andarre in porto potrà davvero rivoluzionare il mondo.

venerdì 1 aprile 2016

Il futuro di Telecom Italia...




Gli altri ex monopolisti europei possono contare sull'appoggio del Governo-azionista. Cosa che manca a Telecom. A Cattaneo il compito di ricucire i rapporti anche col regolatore.

di Alessandra Talarico, 1 apr 2016


Flavio Cattaneo - Telecom Italia


Visto dall’esterno, il compito di Flavio Cattaneo alla guida di Telecom Italia appare come una sfida quasi ciclopica.
Al manager, che pure vanta un curriculum che spazia dalla Rai a Terna per finire ai treni diNTV, l’ardua mission di ricucire i rapporti con l’Agcom e con il Governo.


La prima, nel 2015 ha comminato sanzioni per complessivi 120 milioni di euro (la società ha inoltre effettuato accantonamenti relativi per 400 milioni) e ha recentemente diffidato la società dall’avviare la nuova opzione Tim Prime se non vuole rischiare una multa fino a 2 milioni. I rapporti, insomma, non sono proprio idilliaci.
Così come non sono del tutto in discesa i rapporti col Governo di Matteo Renzi.

Telecom, lo ricordiamo, è – oltre a BT – l’unico ex monopolista europeo completamente privatizzato.
Lo Stato non ha quote di capitale e quindi non ha voce in capitolo nella sua gestione e nelle vicende azionarie.


Pensiamo a quanto sta accadendo in Francia, dove il Governo controlla il 23% di Orange. L’ex France Telecom sta trattando per una fusione con il numero due del mercato, Bouygues Telecom, il cui patron, Martin Bouygues, sta cercando di ottenere in cambio una quota del 15% dell’operatore storico. La scadenza delle trattative era stata fissata per ieri, ma ancora non si è approdato a un nulla di fatto perché il Governo non vuole diluire eccessivamente la sua quota per mantenere i suoi posti in consiglio e il suo potere di veto.

Un po’ ovunque, in Europa, gli ex operatori monopolisti sono coccolati dallo Stato perché portano innovazione e garantiscono occupazione. E, soprattutto, sono tutelati perché è principalmente sulle loro reti che viaggiano le comunicazioni dei cittadini, delle imprese, delle istituzioni. C’è anche, insomma, una questione di sicurezza e interesse nazionale
Gli investimenti nella banda larga e ultralarga sono inoltre ritenuti fondamentali per la competitività e la crescita economica.

Un altro esempio: il Governo tedesco di Angela Merkel sta facendo pressing sulla Commissione europea per ottenere meno vincoli dalla Ue e andare così incontro alle richieste del campione nazionale Deutsche Telekom, che da tempo sta spingendo per un alleggerimento delle norme in cambio di un’accelerazione sugli investimenti. Anche il regolatore tedesco è finito al centro delle critiche per aver approvato lo scorso anno il piano di investimenti di Deutsche Telekom, basato sul vectoring e sulla tecnologia G.Fast, scatenando le proteste dei concorrenti.

In Italia, invece, le cose stanno andando diversamente. Lo ha sottolineato anche il Wall Street Journal, che parla di un rapporto “sempre più disfunzionale” tra Telecom e le autorità, da quando Renzi è diventato premier nel 2014.
Il Governo sta palesemente spostando il baricentro della fibra ottica sempre più verso Enel, che nelle scorse settimane ha presentato un piano di investimenti da 2,5 miliardi per portare l’ultrabroadband in 224 città tra le più redditizie. 
I dettagli del piano si conosceranno il 7 aprile. Quello che si sa è che la compagnia elettrica – di cui lo Stato controlla il 25,5% – ha in ballo accordi commerciali con i due diretti competitor di Telecom Italia: Vodafone e Wind.

E non a caso, la prima tappa dell’ultimo viaggio di Renzi negli Usa (che si concluderà oggi) è stata in Nevada dove il presidente del consiglio ha partecipato all’inaugurazione dell’impianto ibrido rinnovabile di Stillwater di Enel Green Power a Fallon.

Riferendosi alla società di Francesco Starace con l’hashtag #orgoglioItalia, il premier ha affermato “Continueremo a fare crescere Enel, anche attraverso i progetti innovativi della banda larga che presenteremo il prossimo 7 aprile”.

Un annuncio fatto mentre all’orizzonte si staglia lo stanziamento di fondi pubblici per 2,2 miliardi per la banda larga nelle aree a fallimento di mercato.

Cattaneo dovrà insomma destreggiarsi in un contesto non proprio dei più semplici per sbrogliare dossier molto sensibili anche a livello politico, tra i quali la cessione delle torri di Inwit, il piano congiunto con Metroweb per portare la fibra in 250 città (in attesa del via libero Agcom) e il più drastico taglio dei costi preteso da Vivendi.

Dalla sua parte, secondo Equita Sim, la sua esperienza di due anni nel board della compagnia telefonica e un “track record positivo per quanto riguarda l’espansione dei margini, anche attraverso investimenti che offrano soluzioni più efficienti e non solo attraverso il mero taglio dei costi”.

Certo, a differenza del suo predecessore molta differenza la farà l’appoggio di Vincent Bollorè. Un fatto non da poco, riconosciuto come uno degli “aspetti più significativi” della sua nomina dagli analisti di Banca Imi, ma che potrebbe rivelarsi anche un fardello visto che in molti, negli ambienti istituzionali considerano il finanziere bretone un ‘raider’, pronto a cedere, prima o dopo, il suo pacchetto in Telecom a Orange.

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Vivendi torna a investire in Telecom Italia. E vuole controllarne il consiglio di amministrazione: nessuno scandalo, è un suo diritto. Ma la prima responsabilità del board è tutelare gli interessi della società. L'analisi di Salvatore Bragantini

di Salvatore Bragantini, 1 apr 2016


Salvatore Bragantini

Una nuova stagione della Telecom story

Nuova puntata del serial di Telecom Italia (Ti), ove i nostri capitalisti non si sono coperti di gloria. Nel 1997 il “nocciolino duro” (Ifil e altri) si degnò d’investire su richiesta del governo che doveva privatizzare; sedeva su una miniera d’oro e non lo capì. Poi venne la mega offerta pubblica d’acquisto (Opa) dei capitali coraggiosi di Emilio Gnutti &C, vestiti con la livrea del Granducato, per un veloce capital gain esentasse. Meno bene andò a Pirelli e Marco Tronchetti, che da loro comprarono, perdendo infine una fetta dei lauti profitti dell’affare Corning Glass.
Dopo gli industriali, non fecero meglio i finanzieri; Intesa San Paolo e Mediobanca portarono la spagnola Telefònica, anch’essa uscita nel 2015 con una complessa operazione in cui ha acquistato Gvt, controllata brasiliana nelle telecomunicazioni di Vivendi, media company controllata da François Bolloré. In pagamento, Vivendi ha avuto dagli spagnoli 4 miliardi e l’8 per cento di Telecom. Pareva ovvio che, appena uscita dalle Tlc anche in Francia, cedesse quella quota. Invece, Vivendi torna a investire 3,5 miliardi nelle telecomunicazioni e arriva in Telecom al 24,9 per cento, a un passo dall’obbligo d’Opa; ora vuol controllarne il consiglio di amministrazione e inizia “dimissionando” l’amministratore delegato Marco Patuano.

Il puzzle telecomunicazioni-tv

Molto c’è dire sulla banda larga e altri temi strategici riguardanti Telecom Italia; ci si può dolere dell’ennesimo passaggio di controllo senza Opa, ma se, come pare preferibile per dar certezza al mercato, si fissa una soglia oltre cui scatta l’obbligo, tanti si fermeranno subito sotto.
Qui ci si vuol invece concentrare sul governo dell’impresa, tema sul quale le riflessioni si perdono in mille rivoli, scordando la questione-chiave. In caso di contrasto fra i due, il cda deve perseguire l’interesse dei soci o dell’impresa? Sul ricambio al vertice di Ti nulla da dire; chi investe tanto controlla il consiglio. A questo, però, è affidata la gestione: nell’interesse di Telecom, non già di Vivendi o altri. Qui è il punto chiave.
Bolloré, primo azionista non bancario di Mediobanca all’8 per cento, sta discutendo l’ingresso in Premium, pay-tv controllata da Mediaset – che smentisce; ma la zoppicante Premium ha bisogno di alleanze. È solo l’inizio: la stampa pullula di indiscrezioni, più che di notizie, su una grande alleanza fra Telecomi, Vivendi e Mediaset, nel nome della mitica convergenza fra Tlc e tv. Qualcuno include nell’affresco anche Orange, ex France Telecom, a cui Vivendi potrebbe conferire la quota in Ti. Nella sua campagna italiana Bolloré si avvale di Tarak Ben Ammar, tunisino amico di Silvio Berlusconi, per il quale si spese nei processi di Mani Pulite (Antonio Di Pietro lo definì “L’egiziano strano strano”). Tarak è proteiforme: presente nel consiglio di sorveglianza di Vivendi e nei cda di Telecom e Mediobanca, facilitatore in un ambiente nel quale si mischiano gli interessi di quelle imprese. Deve avere grandi doti per gestire a Parigi gli interessi di Vivendi, a Roma di Telecom e a Milano di Mediobanca; e non dimenticherà di chiedere un consiglio al vecchio amico.
In questo mobilissimo quadro, Inwit, controllata di Telecom e gestrice delle torri di trasmissione dei segnali telefonici, interessa a Ei Towers, controllata Mediaset. Ei Towers vuol comprare meno del 30 per cento di Inwit, evitando così l’Opa, per poi rientrare di parte dell’esborso vendendo alla stessa Inwit proprie torri per 200 milioni. Poiché la prima operazione è subordinata alla seconda, la Consob ravviserà probabilmente nell’accordo un “concerto” volto a schivare l’Opa, bloccando tutto. In campo per Inwit c’è anche un’altra offerta, della spagnola Cellnex e del fondo italiano F2i. Comprerebbero il 45 per cento di Inwit, lanciando un’Opa su un altro 40 per cento; Telecom conserverebbe il 15 per cento. Il prezzo per azione offerto da Ei pare aggirarsi sui 5 euro, quello di Cellnex sui 4,5 euro. Stranamente, i siti delle tre società quotate – Inwit, Ei e Cellnex – neanche menzionano le offerte.

Cda “tutore” di Telecom

Il cda di Telecom ha già sostituito Patuano con Flavio Cattaneo, indimenticato direttore generale della Rai berlusconiana. Il tema, sia chiaro, non è più il conflitto d’interessi dell’ex premier; che curerà bene i propri affari, come sempre, ma ormai politicamente svanisce.
La vera questione è chi penserà agli interessi di Telecom
Davanti ai grandi temi strategici sopra evocati, è strattonata in diverse direzioni, spinta dai tanti che le ronzano attorno.
Vivendi vuole un nuovo cda, è suo diritto, ma questo non potrà sfuggire a una grande, obbligata responsabilità. Prima che nel merito delle Opa concorrenti, non poi così importanti, è in quel groviglio incrociato che va trovato il bandolo degli interessi di Telecom. Scrive sul Corriere della Serail 31 marzo Federico De Rosa: “Cattaneo dovrà fare un turnaround di Ti in attesa che Vivendi finisca di disporre le sue pedine per giocare la partita europea del riassetto dei media”: veristico, ma impietoso ritratto di una corporate governance malata. Cattaneo e tutto il cda dovranno fare solo quel che conviene a Telecom, che è una persona, sia pur giuridica, il cui interesse è affidato al consiglio di amministrazione: come un minore incapace, nell’interesse del quale opera il tutore. Sarà bene ricordarlo.

Tratto dal sito www.lavoce.info


Pesci d'Aprile 2016

April Fools: Pesci d'Aprile 2016

di Alessandro Tagliabue, 1 apr 2016


Ecco alcuni "Pesci d'Aprile" di quest'anno, scovati in rete...



LA BICICLETTA A GUIDA AUTONOMA DI GOOGLE




LE CALZATURE ANTICADUTA PER BAMBINI DA BMW




LA MODALITA' DI VISUALIZZAZIONE YOUTUBE "SNOOPAVISION"




GLI OCCHIALI GOOGLE "CARDBOARD" IN PLASTICA PER LA VISIONE 3D (SENZA USO DI SMARTPHONE)




TAMPONI MESTRUALI PER UOMINI (CON PETIZIONE PUBBLICA)