mercoledì 11 ottobre 2017

Intel: il futuro dei processori (e non solo)




Intel ha sfornato e consegnato il suo primo chip quantistico con 17 qubit. Un passo importante, ma solo il primo di una lunghissima serie, verso il computer quantistico.




Intel pronta con un processore quantistico con 17 qubit



Intel sulle orme di IBM. L'azienda statunitense ha annunciato di aver consegnato un chip quantistico con 17 qubit a QuTech, partner olandese con cui collabora. 
Il nuovo chip prodotto da Intel segna un ulteriore sviluppo nel campo dei computer quantistici.

Al centro di tutto non ci sono i bit, ma i qubit, l'unità di informazione quantistica
Questi sono i blocchi fondanti di un computer quantistico, come i bit lo sono in un computer tradizionale. Usando i qubit - che possono assumere nello stesso tempo il valore 0, 1 o entrambi - i ricercatori credono che i computer saranno in grado di processare "più soluzioni per un singolo problema nello stesso momento" piuttosto che svolgere calcoli sequenziali. Il tutto a una velocità senza precedenti.


Intel Quantum 17 Qubit 2

In questo modo saranno risolti problemi complessi che i computer più moderni, basati su architettura tradizionale, non sono in grado di risolvere o che impiegherebbero anni a risolvere. 
Chimica, scienza dei materiali e modellazione molecolare sono solo alcuni dei settori in cui i computer quantistici potrebbero portare a una svolta. 
Ad esempio potrebbero contribuire a creare un nuovo catalizzatore per sequestrare l'anidride carbonica, un superconduttore a temperatura ambiente o scoprire nuovi farmaci.

A oggi malgrado i progressi, le molte teorie e le sperimentazioni, permangono sfide intrinseche alla costruzione di sistemi quantici di grandi dimensioni su vasta scala capaci di produrre risultati precisi. Creare qubit uniformi e stabili è una di queste sfide.

I qubit sono molto fragili e qualsiasi tipo di rumore od osservazione involontaria può portare a una perdita di dati. Questa fragilità richiede che operino a circa 20 millikelvin - 250 volte più freddo dello spazio profondo, e questo ambiente operativo estremo rende il "packaging" dei qubit cruciale per le loro prestazioni e il funzionamento.

Intel Quantum 17 Qubit 1

Due team di Intel, il Components Research Group (CR) in Oregon e l'Assembly Test and Technology Development (ATTD) in Arizona, sono riusciti a confezionare un chip con 17 qubit con un'architettura che ne garantisce maggiore stabilità a temperature più alte e la riduzione delle interferenze RF tra ogni qubit. 
Il chip può inviare e ricevere da 10 a 100 volte più segnale rispetto a chip comparabili "wire-bonded" e ha un design avanzato che permette alle tecniche usate di essere applicate a circuiti quantistici più grandi.

"La nostra ricerca quantistica sta avanzando fino al punto in cui il nostro partner QuTech sta simulando algoritmi quantistici.
Intel sta realizzando regolarmente nuovi chip di test nei propri impianti di produzione", ha affermato Michael Mayberry, vicepresidente corporate e amministratore delegato di Intel Labs. "La nostra competenza nella fabbricazione, nell'elettronica di controllo e nell'architettura ci distingue e ci aiuterà mentre ci avventuriamo in nuovi paradigmi di calcolo, dal neuromorfico al calcolo quantistico".




"Con questo chip ci concentreremo sul collegamento, il controllo e la misurazione di qubit multipli", ha affermato il professor Leo DiCarlo di QuTech. "Questo lavoro ci permetterà di ottenere nuove conoscenze nel calcolo quantistico che daranno forma alla prossima fase di sviluppo".

Intel e QuTech non stanno collaborando solo sull'hardware, ma sull'intero stack, quindi anche la parte software.
D'altronde la potenza è nulla senza controllo.
Intel sta inoltre studiando più tipi di qubit, dai qubit superconduttori integrati nel nuovo chip a un tipo alternativo chiamato "spin qubit in silicon" dove gli spin qubit ricordano un transistor con un singolo elettrone, simile in molti modi ai transistor tradizionali e potenzialmente in grado di essere prodotto con processi comparabili.

Il riconoscimento delle impronte digitali non sono è più univoco...



Lo indica una fonte autorevole come l'Associazione americana per l'avanzamento delle scienze (Aaas), nel rapporto redatto dai suoi esperti di scienze forensi

Roma, 10 ott 2017


Dopo circa un secolo crolla il mito delle impronte digitali, considerate da oltre 100 anni uno dei metodi più affidabili nelle indagini. 
In realtà non esistono metodi efficaci al 100% per confrontare le impronte digitali nascoste, ossia quelle invisibili lasciate sulle superfici, e per attribuirle a un'unica persona. 


Cade il mito delle impronte digitali, non sarebbero uniche


Lo indica una fonte autorevole come l'Associazione americana per l'avanzamento delle scienze (Aaas), nel rapporto redatto dai suoi esperti di scienze forensi. 

Il documento esamina le tecniche con cui vengono analizzate e confrontate le impronte digitali lasciate sulle superfici dai polpastrelli e composte dall'alternarsi di creste e solchi secondo precisi disegni. Quello che emerge è che non esiste un metodo univoco per associare un corredo di impronte a un unico individuo. Viene sancito in questo modo il 'sospetto' che recentemente aveva portato a considerare le impronte digitali un metodo di identificazione non più affidabile al 100%. 
"L'analisi delle impronte digitali è uno dei metodi forensi più utilizzati per l'identificazione", ha rilevato Joseph Kadane, che insegna statistica e scienze sociali dell'università americana Carnegie Mellon e che ha collaborato al rapporto.

In linea di principio, ha aggiunto, "i sistemi che le analizzano servono a identificare la persona che ha lasciato il suo segno sulla scena del crimine", ma l'esame delle tecniche per analizzare le impronte digitali nascoste, dimostra che "non esiste un metodo scientifico per stimare il numero di persone che condividono le caratteristiche di una impronta digitale, e inoltre non si può escludere l'errore umano durante il confronto". 
Di conseguenza, conclude, non è possibile affermare che le impronte digitali latenti "possano essere associate a un unico individuo con una precisione del 100%". 

Secondo il rapporto, tuttavia, si potrebbero migliorare le capacità dei sistemi di confronto automatico, ma c'è bisogno di intensificare la ricerca in questo campo. I sistemi automatici, osservano gli esperti nel rapporto, "oggi svolgono un ruolo importante per scartare rapidamente migliaia di impronte digitali che non hanno caratteristiche simili a quelle in esame, ma ancora non sono in grado di abbinare un'impronta digitale rilevata sulla scena di un crimine a quella raccolta dalle autorità da un sospettato, né possono determinare se un confronto sia valido".