venerdì 28 febbraio 2020

Uno studioso si inetta un batterio di 3,5 mln di anni fa per l'eterna giovinezza...


di Ilaria Betti, 1 ott 2015

Potrebbe aver trovato l'elisir dell'eterna giovinezza. Anatoli Brouchkov, scienziato russo della Moscow State University, ha iniettato nelle sue vene un super batterio, rimasto vivo nel permafrost per 3 milioni e mezzo di anni, che avrebbe avuto l'effetto di farlo sentire molto più in salute e in forze rispetto al passato. 
"Dopo esperimenti di successo sui topi e su alcuni insetti, ho pensato che sarebbe stato interessante fare un passo in più. Da quando ho iniziato a sperimentarlo su di me, ossia da due anni a questa parte, non ho mai più avuto la febbre", ha spiegato al The Siberian Times




Il batterio, chiamato Bacillus F, sembrerebbe non rappresentare un pericolo per l'uomo, dal momento che sarebbe rintracciabile anche nell'acqua usata e bevuta dalle popolazioni locali: "Il permafrost (il terreno caratteristico delle regioni del Nord, in cui il suolo è perennemente ghiacciato) si sta sciogliendo e immagino che questo batterio sia già in circolazione nell'ambiente, nelle acque. 
La popolazione locale, infatti, per molto tempo sarebbe già stata esposta alla sua influenza e sembrerebbe già vivere più a lungo rispetto a popoli di altre nazioni. Dunque, non c'erano affatto pericoli per me".

Quello condotto da Brouchkov non è un vero e proprio esperimento scientifico: mancano un team specializzato, una clinica, delle statistiche. Nonostante ciò, il professore può già affermare gli effetti positivi, provati sulla sua stessa pelle: "Non posso descriverli professionalmente, non essendo questo un vero e proprio esperimento scientifico. Ma posso dire che non ho avuto la febbre per due anni". 
Ha ammesso anche di non aver ancora afferrato il meccanismo dietro il "lavoro" di questo bacillo: "Non so esattamente come operi. Come per alcune medicine, non sappiamo con certezza perché, ma funzionano". 

Al The Siberian Times, ha poi aggiunto: "Potrei dire che esistono nel mondo batteri immortali. Non muoiono, anzi, per essere più precisi, riescono a proteggere se stessi. Le nostre cellule, invece, non riescono a proteggere se stesse da eventuali danni. Questi batteri, invece, sì. Sarebbe interessante capire il meccanismo della protezione dall'invecchiamento, a partire dai danni che questo apporta all'organismo e usare poi questi risultati per combattere l'avanzare dell'età. Penso che debbano essere fatti molti più passi in questo senso. Ora abbiamo una chiave, un antico batterio, trovato in un ambiente antico ed estremo. Ovviamente, però, la discussione è ancora aperta". 

Brouchkov è convinto che la ricerca debba focalizzarsi sempre di più sugli elisir di lunga vita. Trovare la "fonte dell'eterna giovinezza" significherebbe non soltanto cambiare la vita di centinaia di persone, ma anche l'economia di luoghi remoti della Terra. 
Ma bisogna rispondere ancora a molte domande: "Dobbiamo capire come questo batterio prevenga l'invecchiamento. Penso che la scienza debba svilupparsi in questo senso - ha spiegato il professore - Cosa rende vivo questo meccanismo? Come possiamo usarlo a nostro favore?"

giovedì 27 febbraio 2020

L'elaborazione quantica applicata alle TLC, in Italia...




TIM è il primo operatore in Europa ad usare il quantum computing per ottimizzare le reti mobili (4.5G e 5G). La tecnologia consente di ridurre il tempo dei processi di ottimizzazione, garantendo così una migliore esperienza agli utenti finali.
di Manolo De Agostini, 25 feb 2020

Il quantum computing è ancora in pieno sviluppo e agli albori, ma già viene applicato da alcune aziende per velocizzare lo sviluppo di nuove tecnologie o in altri ambiti. 
La NASA, Google, Microsoft e molti altri guardano al calcolo quantistico già da diversi anni, sperimentandolo e applicandolo laddove riscontrano benefici tangibili rispetto ai sistemi tradizionali.

I computer quantistici si basano sui qubit, unità di informazione fondamentali che sfruttando i principi della meccanica quantistica riescono ad elaborare problemi complessi e calcoli di grandi dimensioni con tempi di esecuzione molto ridotti rispetto ai computer classici. Le capacità di calcolo dei computer quantistici consentono di trattare problemi che, per la loro complessità, risultano fuori dalla portata dei computer tradizionali.

Stupisce quindi fino a un certo punto apprendere che TIM "è il primo operatore di telecomunicazioni in Europa ad aver impiegato su rete live algoritmi di quantum computing nella pianificazione delle sue reti mobili di nuova generazione". In una nota stampa, l'azienda italiana spiega di essersi affidata per i suoi scopi a un computer quantistico della canadese D-Wave.

La soluzione di D-Wave svolge i calcoli tramite un processo chiamato quantum annealing (ricottura quantistica), ed è stata usata da TIM per "ottimizzare la pianificazione delle celle radio, riconducendo il problema nell'ambito di una modellizzazione algoritmica tipo QUBO (Quadratic Unconstrained Binary Optimization)".

Insomma, il quantum computing ha permesso di configurare la rete in tempo reale per garantire ai clienti un miglior servizio mobile. "L'uso di questa tecnologia nell'ambito delle reti di telecomunicazioni è assolutamente innovativo. Più in dettaglio l'algoritmo QUBO è stato utilizzato per la pianificazione dei parametri di rete 4.5G e 5G, ottenendo una maggiore rapidità di esecuzione (con un fattore 10x) rispetto ai metodi tradizionali di ottimizzazione", afferma TIM nel proprio comunicato.

L'applicazione dell'algoritmo QUBO alla pianificazione degli identificativi di cella - grazie ai quali uno smartphone è in grado di distinguere ciascuna cella radio dalle altre - permette di assicurare una maggiore qualità del servizio VoLTE (voce su LTE), migliorandone la continuità nella fase di mobilità tra le aree di copertura di celle diverse.

Inoltre, poter svolgere la configurazione in tempo reale della rete fa parte del paradigma del "circuito chiuso" di SON (Self Organizing Network), già in uso da TIM e basato sulla raccolta delle misure in campo e sulla rapida riconfigurazione degli elementi della rete.

martedì 4 febbraio 2020

Pensieri e parole dello scrittore indiano Amitav Ghosh



A Venezia abbiamo incontrato uno dei maggiori scrittori indiani contemporanei, ospite d’onore al 37esimo seminario della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri

di Giuseppe Fantasia, 31 gen 2020


Strana la vita, per tutti, anche per Amitav Ghosh, uno dei maggiori scrittori indiani contemporanei di lingua inglese che, dopo aver ambientato il suo ultimo libro, L’isola dei fucili (Neri Pozza, trad.ne di Ada Nadotti e Norman Gobetti), in una Venezia profeticamente sommersa dall’acqua alta, scegliendo come protagonista un commerciante di libri rari, viene invitato dove e da chi? Nella città lagunare, ovviamente – “una città che una volta cavalcava con orgoglio le onde come La Serenissima e ora sarebbe meglio chiamarla La Turbatissima” – ospite d’onore al 37esimo Seminario della Scuola Umberto e Elisabetta Mauri che si è svolto in quella suggestiva cornice che è la Fondazione Cini, sull’Isola di San Giorgio. Quattro giorni di incontri e laboratori incentrati sul rapporto tra tradizione e innovazione in una prospettiva fortemente connotata in senso internazionale alla fine dei quali, è intervenuto lui con una lectio dal titolo: “Imparare dal passato: i libri e il loro futuro in un’epoca di catastrofe”. Un tema, quest’ultimo, che lo scrittore ha già affrontato in molti suoi romanzi, in particolar modo ne La Grande Cecità, uscito nel 2016 sempre per Neri Pozza e considerato un classico della letteratura sui cambiamenti climatici.

“La paura – ci spiega, con chiaro riferimento anche alla collegata psicosi collettiva nata dall’espandersi del coronoavirus - è oggi il nostro sentimento dominante e ed è proprio per questo motivo che se vogliamo ritrovare la speranza, dobbiamo cercare di guardare al passato”. Sono molto felice di poter tornare a Venezia dopo esserci stato quarant’anni fa come giurato alla Mostra del Cinema e poi nel 2013 come ospite d’onore all’Università Ca’ Foscari”. “Venezia è anche la patria di Aldo Manuzio, il fondatore delle Edizioni aldine che, dopo Gutenberg, è probabilmente il più importante stampatore ed editore italiano di quegli anni. Tra le sue opere, c’è l’Hypnerotomachia Polyphilii che è uno degli esempi più belli di testi illustrati”.

Per secoli – continua - l’immagine ha continuato ad occupare un posto di tutto rispetto nella stampa e all’inizio del XX secolo l’inclusione di tavole illustrate in un libro era considerata un pregio. È stata la produzione in serie di libri a ribaltare i criteri di giudizio e a metà dello stesso secolo, il trionfo del testo era completo. Si pensi a Dickens, per cui era normale che le immagini fossero incluse in un romanzo, ma non a Joyce o a Hemingway che invece le detestavano.

Stando agli studi compiuti da Gosh, l’arte e la letteratura hanno seguito così delle strade separate e ogni scambio tra di loro ha finito “per essere considerato dannoso”. La tecnologia della stampa – aggiunge - ci ha portato dei vantaggi, ma ha anche rafforzato il “logocentrismo” di una civiltà che già in partenza lo era, facendo sì che per buona parte del XIX e XX secolo, le attività di lettura e visione siano state completamente separate. “Facendo affidamento solo sulla parola, spiega Ghosh, abbiamo finito per estromettere quasi del tutto le immagini. Ci siamo privati di una dimensione dell’immaginazione e della conoscenza che, al contrario, svolgeva invece un ruolo fondamentale nella produzione di Manuzio e molti suoi contemporanei”. Se si sfoglia il libro citato di Manuzio, infatti, quello che colpisce è invece il legame strettissimo tra parole e immagini che si interpretano reciprocamente in un sistema molto più complesso di quello attuale, basato esclusivamente sul testo.

Nel corso del tempo, è accaduto che libri di quel tipo hanno sostituito i testi miniati come standard per l’industria editoriale. I testi che includevano immagini non sono più stati più definiti miniati, ma sono stati descritti – ricorda Ghosh - quasi in modo peggiorativo, come “illustrati”. Nel ventesimo secolo gli scrittori più seri sarebbero inorriditi al pensiero di abbinare delle immagini ai loro testi: le parole dovevano essere isolate, come componenti supreme del pensiero e del significato.

“I tempi oggi sono cambiati”, spiega lo scrittore che tornerà presto nelle librerie con un libro che sarà la traduzione in versi di una leggenda delle Sundarban, la regione delle mangrovie che oggi è stata messa in pericolo dai cambiamenti del clima. “Uno degli effetti più paradossali di cambiamento climatico indotto dall’uomo chiamato spesso ‘Antropocene’, è che ha contemporaneamente intronizzato e rovesciato l’uomo. La nostra consapevolezza del fatto che l’umanità sia diventata un agente geologico è nata come risultato diretto del risvegliarsi di molti altri agenti, dell’atmosfera, dei mari, dei ghiacciai e dei venti, che ora ci colpiscono tutti come per dimostrare che sono più potenti di quanto una volta si immaginava.

Come possiamo rispondere noi a queste sfide, gli chiediamo, visto che siamo legati alla cultura della stampa? Tornare a pensare per immagini, come ho scritto nel mio saggio ‘La Grande Cecità’. Cinema e tv son stati più sensibili ai cambiamenti climatici rispetto alla letteratura proprio perché si occupano di immagini. Il libro di Manunzio, poi, suggerisce la possibilità di tornare a una forma di espressione in cui parole e immagini si illuminano a vicenda. La rivoluzione digitale, come dicevamo, ha reso più facile che mai abbinare parole e immagini, molti media hanno già in larga maniera sostituito la stampa come luogo principale di espressione ed è molto probabile che anche questo processo aumenti negli anni a venire. Sono eccitato dalle possibilità che l’unione di parole e immagini ha aperto agli scrittori, ma ciò che mi auguro è che la lettura torni ad essere quello che è sempre stata, cioè uno strumento formidabile per i rapporti tra le persone. Il libro continua ad avere il suo valore anche se quello stesso valore, oggi come oggi, si è spostato altrove: non risiede più nell’oggetto fisico o nel prodotto, ma si rivela nella rete di relazioni che il libro stesso è in grado di suscitare. Tra le conseguenze, a detta sua, anche il modo in cui si devono concepire le librerie, che non possono più concepirsi come negozi anche se specializzati. “Il modello a cui tendere è quello delle gallerie d’arte, luoghi che le persone frequentano per incontrarsi, confrontarsi ed essere informati su quello che accade in un determinato contesto e nel mondo intero. Siamo in un’età dell’ansia, quindi se ci incontriamo con gli altri, possiamo vincerla e con essa abbattere la solitudine. Le librerie – ci dice prima di salutarci - offrono da questo punto di vista un’esperienza umana e sociale in un mondo disumano e sempre più distopico. Chi ci va, ha bisogno di un consulente, anche perché il futuro distopico è ora, non dimentichiamolo”.

lunedì 3 febbraio 2020

Alcune interessanti voci da approfondire su Wikipedia...

Alcune interessanti voci tratte da Wikipedia:


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RAPPORTO SUI LIMITI DELLO SVILUPPO




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PICCO DI HUBBERT





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CLUB DI ROMA




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THOMAS ROBERT MALTHUS

domenica 2 febbraio 2020

La novità delle "ferie illimitate" nei contratti di lavoro...



Le ferie illimitate sono una novità rivoluzionaria per molti lavoratori. Ma come funzionano? Dagli Usa all’Europa, presto le «vacanze quando vuoi» arriveranno anche in Italia.

Teresa Maddonni, 29 gen 2020

Ferie illimitate: questa è la nuova frontiera del lavoro. Aumentano i contratti e quindi le aziende che permettono ai dipendenti di andare in vacanza quando vogliono.
Ovviamente dietro questa decisione si cela una logica ben precisa delle compagnie che scelgono di concedere ai propri dipendenti le ferie illimitate e che riguarda la produttività degli stessi.
Ma l’elemento eccezionale non sta tanto nelle ferie illimitate quanto nel fatto che queste siano normalmente retribuite. La tendenza parte dagli Usa e arriva in Europa con l’azienda belga Jonckers, con una sede anche in Italia, che ha concesso le ferie illimitate ai suoi dipendenti.
Considerata la tendenza all’aumento negli ultimi quattro anni dei contratti che permettono le ferie illimitate, i numeri sono destinati a crescere. Tra poco sarà una realtà anche in Italia. Abbiamo parlato di ferie non godute e quando vengono pagate, vediamo come funzionano le ferie illimitate e perché è possibile averle.

Ferie illimitate a lavoro: ecco come funzionano

Le ferie illimitate a lavoro stanno diventando sempre più una realtà, ma come funzionano nello specifico e soprattutto perché alcuni contratti lo prevedono?
Le ferie illimitate sono una scelta che le aziende americane prima e le europee ora, come dimostra l’esempio della società belga Jonckers, stanno adottando.
L’obiettivo principale è concedere un numero illimitato di vacanze, retribuite, che il dipendente può prendersi quando vuole per riposare ed essere più stimolato e attivo.
Chi lavora con un tipo di contratto che prevede ferie illimitate può concedersi quindi il riposo oltre alle 20 giornate (di media) previste e gli straordinari.
Un dipendente più felice, per i datori di lavoro che decidono di attivare questa formula, è un dipendente più produttivo. Il patto però è che questi non solo sia trasparente nel numero dei giorni di ferie extra che decide di godere, ma anche che porti a termine gli obiettivi di lavoro prefissati.
La scelta avviene principalmente oggi dal momento che le nuove tecnologie, l’essere sempre connessi, permettono al lavoro di travalicare l’orario ordinario e occupare anche serate o week end. Un pensiero costante al lavoro che porta inevitabilmente il fisico a richiedere maggior riposo.
Negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni sono triplicati i contratti che prevedono ferie illimitate passando dallo 0,04% sul totale delle offerte di lavoro nel 2015 allo 0,13 % del 2019.
In particolare sono i lavori tecnologici nei quali si riscontra un maggior ricorso alle ferie illimitate per il maggiore stress che creerebbero. Esistono infatti al mondo dei lavori che sono più stressanti di altri.
Tuttavia secondo uno studio condotto dalla società di risorse umane Namely nel 2017 è affermata la tendenza da parte dei lavoratori americani che in media hanno 15 giorni di ferie, a godere solo di 13.
Inoltre il 13% dei dipendenti ammette di non lavorare in vacanza e lo stesso il 29% di coloro per i quali sono previste le ferie illimitate.
Pur avendo questa opportunità molti lavoratori potrebbero non volerne approfittare per evitare di sembrare pigri o poco produttivi. Per le aziende è il contrario: il dipendente riposato e che si concede le ferie quando vuole lavora meglio, non meno.

Vediamo quali sono le aziende, americane e non, che hanno già adottato le ferie illimitate per i lavoratori.

Le aziende con ferie illimitate: presto anche in Italia

Sono molte le aziende che negli ultimi anni hanno deciso di concedere le ferie illimitate ai propri lavoratori. Tra queste si annoverano le società tecnologiche Usa, le start-up della Silicon Valley quali Netflix, Dropbox, Groupon, Virgin, ma anche General Electric.
Non solo in America perché una delle ultime aziende che ha lanciato la sfida delle ferie illimitate a lavoro è la Jonckers ed è belga. La società si occupa di traduzione e interpretariato e che ha sedi in tutto il mondo. L’azienda ha concesso intanto questo beneficio ai dipendenti che si trovano nell’uffico in Repubblica Ceca.
L’obiettivo dell’azienda però è quello di concedere questa possibilità anche ai dipendenti delle altre sedi.
Joncker ha una sede anche in Italia, precisamente a Bologna, e questo fa ben sperare che presto le ferie illimitate saranno una realtà anche nel nostro Paese.
La speranza è che anche in Italia altre aziende potranno decidere di concedere ferie illimitate ai propri dipendenti e renderli così più felici e produttivi.