giovedì 29 novembre 2018

Un interessante articolo sul lavoro di Karl Popper


Da UniBocconi

Il falsificazionismo di Popper
di Carlo Veronesi, 30 mar 2011

Premessa
Secondo Popper la scienza si distingue dalle altre forme di sapere in quanto conoscenza falsificabile. Questa idea, anche se contraria ad un’opinione corrente che vede nella scienza un modello di conoscenza indiscutibile, è tuttavia dotata di una sua forza persuasiva ed è quasi diventata, almeno per le persone culturalmente informate, un nuovo senso comune.
L’epistemologia di Popper e il suo criterio di demarcazione della scienza sono molto conosciuti anche perché apparentemente semplici e facilmente divulgabili. Ad un’analisi appena ravvicinata, tutto il discorso di Popper, che muove da alcune intuizioni giovanili a cui egli (pur con aggiustamenti e integrazioni) volle restare sempre fedele, dà però origine ad una proliferazione di problemi e di sottoproblemi dei quali era consapevole lo stesso Popper e che sono ancora oggetto di critiche e di discussioni.
La genesi del criterio di demarcazione
Il criterio di demarcazione di Popper, che fa coincidere la scientificità delle teorie con la loro falsificabilità, nasce – come ricorda Popper stesso – sotto l’impressione del grande rivolgimento portato nella Fisica dalla teoria della relatività di Einstein. La teoria della gravitazione di Newton (basata sull’azione a distanza delle masse) che aveva conosciuto grandi successi per più di due secoli, trovando conferme nella caduta dei gravi, nel moto dei pianeti e delle maree, nelle misure di Cavendish con la bilancia di torsione, nella scoperta del pianeta Nettuno, fu soppiantata all’inizio del Novecento dalla Fisica relativistica.
Le spedizioni nell’emisfero australe, organizzate dall’astronomo inglese Sir Arthur Eddington durante l’eclissi di Sole del 1919, in cui fu constatato che i raggi luminosi delle stelle, pur privi di massa in senso classico, incurvano la loro traiettoria quando passano in prossimità della grande massa del Sole, costituirono l’evidenza più rilevante per la confutazione della teoria della gravitazione di Newton in favore di quella di Einstein. Non si può dunque escludere che ogni teoria, indipendentemente dalla affidabilità che sembra possedere, possa andare incontro al rischio della confutazione. Anche la Fisica relativistica potrebbe essere a sua volta confutata e lo stesso Einstein ne era consapevole.
L’anno 1919, fondamentale per l’affermazione della relatività generale, fu anche un anno cruciale per la formazione del pensiero di Popper. In quello stesso anno Einstein tenne una conferenza a Vienna, a cui il giovane Popper ebbe modo di assistere e da cui confessa di essere rimasto sbalordito, sia per il fatto che fosse venuta alla ribalta una nuova teoria della gravitazione che sembrava un reale miglioramento rispetto a quella di Newton, sia per il fatto che Einstein non avesse presentato la sua teoria come definitiva (cfr. [4], pp. 39-40). In effetti, in un’opera pubblicata nel 1916, cioè qualche anno prima delle spedizioni britanniche di cui abbiamo detto, Einstein aveva già scritto che in base alla sua teoria un raggio di luce avrebbe dovuto subire una deflessione passando accanto ad un corpo celeste e che, durante un’eclisse di sole, sarebbe stato possibile controllare la “correttezza o non correttezza di questa deduzione” ([7], p. 101). Einstein aveva individuato anche un’altra conseguenza controllabile della relatività generale: “uno spostamento dello spettro della luce proveniente dalle grandi stelle, in confronto a quello della luce prodotta sulla terra in maniera analoga (cioè da corpi della stessa struttura molecolare)” (ibid., p. 122). Anche questo effetto sarebbe stato confermato negli anni successivi ma già nel 1916 Einstein aveva scritto esplicitamente che, “se non esistesse lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso a opera del campo gravitazionale, allora la teoria della relatività generale risulterebbe insostenibile” (ibid., p. 140). 
Fu questo atteggiamento di Einstein, disposto a prendere in considerazione situazioni che avrebbero potuto sia sostenere che confutare la sua teoria, ad impressionare Popper, specialmente se messo a confronto con l’atteggiamento dei seguaci di teorie che pure aspiravano alla qualifica di scienze come il marxismo, la psicanalisi di Freud e la psicologia individuale di Adler. Popper aveva familiarità con queste dottrine, essendo stato membro di una associazione di studenti socialisti delle scuole secondarie e avendo collaborato con lo psicologo Alfred Adler in un progetto di orientamento sociale per ragazzi dei quartieri operai di Vienna (cfr. [4], p. 35; [2], pp. 62-63). E tuttavia ad un certo punto si convinse che questi sistemi teorici sembravano come impermeabili ai fatti: i loro sostenitori vedevano conferme delle loro credenze praticamente in ogni avvenimento e in ogni notizia ma non avrebbero saputo specificare situazioni in cui queste teorie sarebbero cadute in difetto. Proprio il confronto fra questa diversità di atteggiamenti tra Einstein e i seguaci del marxismo e della psicanalisi portò Popper alla conclusione che per la scienza fosse essenziale un atteggiamento critico, diverso dall’atteggiamento dogmatico, proprio perché non va alla ricerca di verifiche delle proprie teorie ma piuttosto di situazioni che possano eventualmente confutarle (cfr. ancora [2], p. 90). Dunque, secondo Popper, un sistema teorico deve essere considerato scientifico soltanto se fa asserzioni che possono entrare un conflitto con i fatti e con le osservazioni. Altrimenti deve essere trattato come una dottrina metafisica o una pseudoscienza.
L’idea che la falsificabilità debba essere una caratteristica essenziale delle teorie scientifiche può nascere anche per motivi puramente logici, cioè dalla constatazione di un’asimmetria logica fondamentale fra la verifica e la confutazione di una teoria. Se da una legge segue un fatto f, l’occorrenza di non garantisce la verità di L: la regola

sarebbe una fallacia dal punto di vista logico (fallacia dell’affermazione del conseguente). Invece, dalla falsità di posso inferire la falsità di L. Lo schema deduttivo:

è una regola di inferenza corretta, il modus tollens. Questa asimmetria, a cui “siamo costretti dalla logica” ([5], p. 201), è evidente se pensiamo che le leggi di natura sono generalmente asserti universali del tipo “Tutte le orbite dei pianeti sono ellittiche” oppure “Ogni carica elettrica è multipla della carica elementare” o “Tutti i cigni sono bianchi” (l’esempio ornitologico preferito da Popper). L’osservazione di un numero qualsiasi, ma finito, di cigni bianchi non può servire secondo Popper a formulare o a giustificare con un procedimento di induzione una legge universale, cioè valida per un insieme potenzialmente infinito di casi. L’osservazione di un cigno che non sia bianco, l’osservazione per esempio di un cigno nero proveniente dall’Australia, può invece falsificarla.
Karl Popper

L’antiinduttivismo estremo di Popper
Secondo Popper, il metodo induttivo non può servire in nessuna fase dell’impresa scientifica. In primo luogo non serve nel contesto della scoperta. La scienza non ricava le proprie leggi partendo dall’osservazione ripetuta di fatti puri; una serie di osservazioni è sempre preceduta da una ipotesi, da una aspettativa almeno inconscia. Popper sostiene che l’atto del concepire o inventare una teoria scientifica non è di natura logica. Può essere frutto di un “elemento irrazionale” o di una “intuizione creativa” nel senso di Bergson o, per dirla ancora con le parole di Einstein, di una sorta di “immedesimazione” con gli oggetti di esperienza (cfr. [1], p. 11). Il processo misterioso attraverso cui gli scienziati arrivano a formulare nuove ipotesi riguarda più la psicologia che la logica della scienza. Più tardi Popper avrebbe scritto che, avendo insegnato Logica e metodo scientifico, era stato professore di una disciplina inesistente (cfr. [5], p. 35). Seguendo quest’ordine di idee, la stessa sua opera principale – Logica della scoperta scientifica Logic of Scientific Discovery nell’edizione inglese del 1959 – sarebbe stata intitolata impropriamente perché il metodo della scoperta non è suscettibile di analisi logica. (Il titolo dell’edizione originale tedesca Logik der Forschung (1935), letteralmente “Logica della ricerca”, non sarebbe molto migliore).
Ma il compito dello scienziato – chiarisce Popper – non è solo quello di scoprire teorie. È anche quello di metterle alla prova. Perciò la teoria sviluppata nella sua opera fondamentale può essere descritta come un’analisi dettagliata dei metodi dei controlli deduttivi (cfr. ancora [1], p. 9 e p. 13). Le ipotesi scientifiche, ovviamente, possono essere controllate soltanto dopo che sono state proposte. Tuttavia, secondo Popper, l’induzione non può servire nemmeno a questo scopo, cioè nel cosiddetto contesto della giustificazione. La scienza, come già detto, è interessata a proposizioni universali del tipo “Ogni carica elettrica è multipla della carica elementare” o “Tutti i cigni sono bianchi”. Per rendere più chiaro il fatto che un’asserzione universale non può mai essere provata, cioè verificata in modo conclusivo, dalle osservazioni particolari, per quanto elevato sia il loro numero, Popper ricorre ad un’equivalenza della Logica classica. L’asserzione “Ogni carica è multipla della carica elementare” equivale a “Non esiste una carica che non sia multipla
della carica elementare”. L’asserzione universale “Tutti i cigni sono bianchi” è logicamente equivalente a ”Non esiste un cigno non-bianco” o “Non esiste un cigno scuro” (in simboli ∀x (C(x) => B(x)) è equivalente ¬ x (C(x) ^ ¬ B(x)), dove C(x) sta per “è un cigno”, B(x) sta per “è bianco”, ¬ B(x) sta per “è scuro”). Dunque, un’affermazione universale affermativa è logicamente equivalente a un’affermazione esistenziale negativa. Ma un’affermazione esistenziale negativa – argomenta Popper – è un’affermazione di non-esistenza. Mentre l’esistenza può essere verificata in modo conclusivo e la ricerca di un cigno scuro può giungere a una conclusione, l’inesistenza non può essere provata: non posso setacciare tutto l’universo spazio-temporale per affermare che una certa cosa, cioè un cigno scuro, non esiste, non è esistita o non esisterà mai (cfr. [1], pp. 54-56). A questo punto, anche se si può essere d’accordo con Popper sul fatto che gli esempi a favore non possano stabilire con certezza la verità di una asserzione universale, sembra tuttavia ragionevole pensare che la probabilità di una legge, in assenza di esempi negativi, cresca con il numero degli esempi positivi trovati. Popper nega anche questa ulteriore possibilità: in un universo infinito la probabilità di una legge universale dovrà risultare sempre zero, se si parte dall’idea che le prove favorevoli non possano essere altro che in numero finito, mentre le prove possibili della legge o delle sue conseguenze sono potenzialmente infinite (cfr. ancora [1], p. 407 e segg.).
Pertanto, Popper non crede che l’induzione possa fornire in alcun modo il metodo della scienza. Tuttavia ritiene che questo non debba spingere allo scetticismo riguardo alla possibilità della scienza empirica. Esiste, infatti, un “tipo di inferenza strettamente deduttiva che proceda, per così dire nella «direzione induttiva»; cioè da asserzioni singolari ad asserzioni universali” ([1], p. 23) e questo è il modus tollens. Questo principio, come tutta la logica deduttiva, secondo Popper, è “fuori discussione” (ibid., p. 25). Proprio dalle possibilità che ci offrono la logica deduttiva (di ricercare i punti deboli di una teoria che generalmente si trovano nelle sue conseguenze logiche più remote) e il modus tollens (di falsificare una legge generale) parte tutta l’elaborazione di Popper. Si potrebbe anche dire che il manifesto programmatico di Popper è quello di esplorare i confini estremi a cui si può giungere nell’analisi dell’impresa scientifica facendo soltanto uso della logica deduttiva classica.
Problemi della corroborazione
Popper, ritenendo che gli esempi a favore non possano rendere né vera né probabilmente vera una teoria scientifica, deve comunque trovare un modo per indicare almeno il suo grado di accettabilità provvisoria. Per dare una stima di come una teoria ha retto ai controlli e ai tentativi di confutazione, Popper usa il termine corroborazione (e non conferma, onde evitare connotazioni verificazioniste). Secondo il suo punto di vista, gli esempi favorevoli non possono rendere più probabile una teoria universale, ma le confutazioni fallite possono aumentare il suo grado di corroborazione. Tuttavia si potrebbe subito obiettare che anche una confutazione fallita è pur sempre una verifica, un esempio a favore. Dunque un problema dell’elaborazione di Popper è quello di precisare in cosa un tentativo fallito di confutazione sia diverso da un esempio favorevole puro e semplice.

E.L. Kirchner, Cinque donne per strada (1913)

Per argomentare a favore del fatto che le verifiche banali non contano, Popper utilizza anche il paradosso della conferma di Hempel. L’asserzione “Tutti i cigni sono bianchi” è logicamente equivalente a “Se una cosa non è bianca, allora non è un cigno”In simboli: ∀x ( C(x) => B(x)) è equivalente a ∀x (¬ B(x) => ¬ C(x)). Ora l’ultima asserzione può essere positivamente esemplificata da un cormorano nero, da una rosa rossa o da un’auto blu. Ma allora un cormorano nero e una rosa rossa dovrebbero essere esempi a favore anche dell’affermazione che tutti i cigni sono bianchi. Questo tipo di esempi confermanti, imbarazzanti e paradossali per i sostenitori della logica induttiva, non crea nessun disagio a Popper che anzi ne ricava un argomento a favore delle sue tesi antiverificazioniste: “un verificazionista coerente dirà che anche l’osservazione di un cormorano nero fornisce un sostegno all’osservazione che tutti i cigni sono bianchi” ([5], p. 250).
Gli esempi confermanti suggeriti dal paradosso di Hempel sono ”troppo a buon mercato” per contare qualcosa per la corroborazione, non essendo in generale il risultato di seri tentativi di confutazione. Per la stessa ragione Popper ritiene, come detto, che ai fini della corroborazione generalmente non serva nemmeno un esempio favorevole, a prima vista più serio, come l’osservazione di un cigno bianco. Tuttavia, in particolari circostanze, sia l’osservazione di un cigno bianco, sia l’osservazione di un cormorano nero, possono entrambe sostenere la tesi che tutti i cigni siano bianchi. “Così se, ad esempio, abbiamo delle buone ragioni per pensare – alla luce di teorie precedentemente accettate – che la cosa in questo stagno è un cigno nero, allora il fatto di scoprire che si tratta di un cigno bianco o di un cormorano nero potrebbe realmente fornire sostegno alla teoria che tutti i cigni sono bianchi” (ibid.). Ai fini della corroborazione non conta tanto il numero delle verifiche, quanto il loro “peso”: gli esempi a favore diventano “dati corroboranti” se sono il risultato di previsioni rischiose o se possono essere presentati come il risultato di controlli severi, cioè di tentativi seri, benché falliti, di confutazione (cfr. [2], pp. 66-67). Un controllo conta quanto più è severo e la severità di un controllo si collega al verificarsi di un evento inaspettato: se si verifica un evento che non dovremmo attenderci in assenza della teoria L, allora il fatto corrobora positivamente L. La previsione che la distanza angolare fra due stelle fisse in posizioni opposte rispetto al disco del Sole, se misurata di giorno, dovesse essere diversa da quella ottenuta con misurazioni del cielo notturno sarebbe stata del tutto impensabile senza la teoria della gravitazione di Einstein (che prevedeva che la luce dovesse essere attratta dal Sole esattamente come i corpi materiali). La posizione delle due stelle, inosservabile di giorno a causa dell’eccessivo splendore del Sole, fu fotografata proprio durante l’eclisse del 1919 e il confronto fra le diverse posizioni – notturna e diurna – delle due stelle permise di confermare la deviazione prevista dalla teoria einsteniana. Questa previsione, incompatibile con i risultati che tutti si sarebbero aspettati prima di Einstein, conteneva secondo Popper un elemento di rischio impressionante e il suo successo, difficilmente attribuibile a una coincidenza casuale, aumentò enormemente il grado di corroborazione (cfr. [2], p. 66; [5], p. 261). Dunque, un controllo è corroborante se scaturisce da una previsione rischiosa o – come dice Popper per rendere più preciso il concetto – dalla previsione di un fatto improbabile rispetto alla sola conoscenza di sfondo, cioè alla conoscenza non illuminata dalla teoria sotto controllo. Il grado di corroborazione fornito a una legge da un fatto viene definito, in prima approssimazione, a partire dalla differenza p(f, L γ) - p(f, γ) o, con notazione più usuale, p(f/L^γ) - p(f/γ). Il primo termine della differenza indica la probabilità di in presenza della legge e del resto della conoscenza γ; il secondo termine indica la probabilità di data la sola conoscenza di sfondo γ. Si noti che, nel caso che sia una conseguenza logica di e γ, risulta p(f/L^γ) = 1 e che la corroborazione è alta se la seconda probabilità della differenza è bassa. Il successo di previsioni vaghe e imprecise, come quelle di indovini e astrologi, ha scarso potere corroborante perché la mancanza di precisione si accompagna usualmente a un’alta probabilità dei fatti previsti (cfr. ancora [5], p. 261). Tuttavia queste probabilità sono difficili da stimare e anche la corroborazione risulta difficile da definire o formalizzare, come dimostrano le tre appendici alla Logica della scoperta scientifica ad essa dedicate e le successive precisazioni di Popper sull’argomento. Il concetto di corroborazione è problematico non solo dal punto vista formale, ma anche da quello filosofico. Popper, infatti, afferma che il grado di corroborazione di una teoria è un resoconto valutativo dei controlli superati, delle prove passate, che non dice nulla sulla sua “affidabilità” cioè sulla sua idoneità a sopravvivere ai controlli futuri (cfr. [3], p. 38). Se affermasse il contrario, Popper potrebbe essere accusato a ragione di far uso a sua volta, nonostante il conclamato rifiuto, di una inferenza di tipo induttivo. Tuttavia Popper ritiene che una teoria altamente corroborata possa almeno candidarsi ad essere una buona approssimazione della verità o ad essere più vicina alla verità di una teoria con un minor grado di corroborazione. “Se due teorie rivali – scrive Popper – sono state criticate e controllate nel modo più completo possibile, con il risultato che il grado di corroborazione di una è maggiore di quello dell’altra, avremo, in generale, motivo di credere che la prima è una migliore approssimazione alla verità della seconda” ([5], pp. 83-84). Ma anche questa tesi, a prima vista ragionevole ed anche fondata sul piano storico, è piuttosto impegnativa e sembra non sfuggire del tutto al rischio di ricadere nell’induzione.
Problemi della confutazione
Se è vero che sia la conferma, sia la più debole corroborazione, sono entrambe problematiche, le cose non vanno molto meglio per la confutazione.
Pierre Duhem

Prima di Popper, Pierre Duhem (1861-1916) aveva osservato che generalmente al vaglio dell’esperienza non viene sottoposta una legge fisica isolata ma tutto un insieme di ipotesi (cfr. [6], p. 211). Quando i fatti non si accordano con una teoria, il modus tollens non ci dice quale parte della teoria debba essere rigettata. Solo il “bon sens” dello scienziato riesce talvolta a individuarla. Seguendo Duhem, si può vedere che il modus tollens potrebbe non essere conclusivo per la refutazione se la teoria sotto controllo si accompagna ad ipotesi ausiliarie Hi e a condizioni iniziali Ci:

La falsità di implica la falsità della congiunzione (L^H1^….^Cne questa può essere falsa non solo se è falsa la legge sottoposta a controllo, ma anche se lo è qualcuna delle ipotesi ausiliarie o delle condizioni iniziali. Si può imputare la falsità di alla falsità di solo se si è certi che le Hi e le Ci sono vere, cosa non sempre scontata. Se, per fare ancora lo stesso esempio, sottoponiamo a controllo la teoria della gravitazione di Newton con osservazioni astronomiche, è probabile che vengano usati telescopi o altri strumenti che presuppongono quantomeno le leggi dell’Ottica. Perciò le osservazioni che non si accordano alla teoria di Newton potrebbero trovare spiegazioni che non mettono in dubbio la teoria stessa.
Per chiarire il discorso, si può ricordare che John Flamsteed (1646-1719), astronomo di Greenwich, comunicò a Newton una tabella di dati sul moto lunare che mostrava come le teorie newtoniane fossero errate. Newton lo invitò a rifare i calcoli tenendo conto dell’effetto della rifrazione dei raggi di luce lunari nell’atmosfera terrestre. In questo modo i calcoli tornarono e l’anomalia sparì. Un’altra anomalia storica della teoria newtoniana emerse qualche secolo dopo relativamente all’orbita di Urano, settimo pianeta del sistema solare. Qualche decennio dopo la sua scoperta, era stato notato che il nuovo pianeta deviava dall’orbita prevista ricavabile dalla Meccanica celeste di Newton e dalle condizioni iniziali accettate fino a quel momento, cioè che i restanti pianeti fossero sei. Tuttavia, se si fosse postulata l’esistenza di un ulteriore pianeta, la deviazione di Urano si sarebbe potuta spiegare salvando la teoria newtoniana. J.C. Adams (1819-1892) e U.J. Le Verrier (1811-1877) giunsero entrambi, in modo indipendente l’uno dall’altro, alla soluzione del problema individuando massa e posizione di un nuovo pianeta sconosciuto. La ricerca dell’ottavo pianeta ebbe successo e portò alla scoperta di Nettuno. L’anomalia del perielio di Mercurio, osservata successivamente, diede ancora luogo a ricerche di un nuovo pianeta che sarebbe stato chiamato Vulcano, ma questo pianeta non fu mai scoperto. Nel 1915 Einstein riuscì a spiegare l’anomalia dell’orbita di Mercurio sulla base della sua teoria della relatività generale e senza ricorrere ad ipotesi supplementari. E questa fu realmente una prima evidenza che portò a scalzare la teoria di Newton a favore di quella di Einstein.
Popper riconosce che la falsificazione può essere difficoltosa e che in effetti sono generalmente i sistemi di teorie ad essere sottoposti al controllo dell’esperienza, più che singoli asserti isolati da un contesto. L’attribuzione della falsità ad un singolo asserto nell’ambito di un sistema teorico è sempre estremamente incerta e l’intuito dello scienziato gioca un grande ruolo nell’indirizzare la confutazione verso una parte o un’altra del sistema. Questo anche se Popper ritiene che generalmente si riesca a individuare quali parti delle teorie implicate in un controllo siano più rischiose e più esposte alla confutazione e quali invece si possano trattare come una sorta di “conoscenza di sfondo”, relativamente non problematica. Comunque le difficoltà della falsificazione empirica delle teorie - aggiunge Popper - non possono toccare la falsificabilità logica. Il fatto che “non tutto sia logico” nell’impresa scientifica non deve impedirci di usare la logica per gettare su di essa la maggior luce possibile (cfr. [5], pp. 204-205).
Alle difficoltà della falsificazione empirica si deve aggiungere il fatto che una teoria può sempre essere salvata dalla confutazione mediante l’aggiunta di opportune ipotesi ausiliarie. Per fare un esempio vicino ai casi storici che abbiamo citato, la perturbazione dell’orbita di un pianeta rispetto a quella calcolabile con le leggi di Newton potrebbe essere attribuita alla presenza di un pianetino perturbatore p’; se però questo nuovo pianetino non fosse scoperto nella posizione prevista, lo scienziato newtoniano potrebbe pensare che i telescopi non siano abbastanza potenti da osservarlo. Se nemmeno un telescopio di nuova costruzione e più potente dei precedenti riuscisse ad osservare il pianetino, il fisico newtoniano potrebbe ipotizzare che una nube di polvere cosmica nasconda il pianeta sconosciuto. Se fosse lanciato un satellite artificiale a cercare la nube e se questa non fosse trovata, si potrebbe ancora pensare che gli strumenti del satellite siano disturbati da un campo magnetico nelle vicinanze della nube. Dunque, si potrebbe decidere di inviare un altro satellite per una nuova ricerca e così via. Questo esempio immaginario (cfr. [8], pp. 174-175) dovuto a Imre Lakatos, l’allievo più noto di Popper, spesso polemico con il suo maestro, illustra in modo colorito come possano essere adottate molte strategie di salvataggio nei confronti di una teoria scientifica. Di fronte a questa possibilità, la raccomandazione di Popper è che le ipotesi aggiuntive non siano ipotesi ad hoc, cioè non siano ipotesi che si fermino alla spiegazione del solo fatto contrario, ma che aumentino il contenuto empirico della teoria. “Per quanto riguarda le ipotesi ausiliarie, – scrive Popper – decidiamo di enunciare la regola secondo cui sono accettabili soltanto quelle la cui introduzione non diminuisce il grado di falsificabilità o di controllabilità del sistema in questione, ma al contrario l’accresce” ([1], p. 72). 
Problemi della demarcazione
Popper ritiene che le critiche viste nel precedente paragrafo non possano scalfire né la fondamentale asimmetria logica fra verifica e confutazione, né il criterio di demarcazione della scienza che si basa su di essa. Ma a questo punto si può osservare che proprio il criterio di demarcazione, basato sulla falsificabilità, rischia di essere al tempo stesso troppo forte troppo debole. Troppo forte perché, per esempio, esclude dalla scienza, in quanto non falsificabili, gli asserti strettamente esistenziali: infatti, per falsificare un asserto esistenziale, cioè per escludere che una certa cosa esista, si dovrebbe riuscire a scandagliare tutto l’universo spazio-temporale e questa impresa è manifestamente impossibile. In questo modo si escludono dalla scienza sia asserti screditati come “Esiste l’araba fenice”, sia asserti banalmente veri come “Esiste un cigno bianco”, sia un enunciato come “Esiste un elemento con numero atomico 72” che, oltre che vero, è considerato da tutti genuinamente scientifico (cfr. [1], p. 56). Il criterio di demarcazione di Popper può anche sembrare troppo debole perché rischia di includere tutte le leggi che sono state dimostrate false: se una teoria è stata falsificata, è certamente falsificabile e perciò è scientifica. E questo dovrebbe riguardare sia teorie grandiose come la Meccanica newtoniana, sia le falsità più banali.
Popper risponde in vario modo a queste obiezioni. Il suo criterio di demarcazione esclude dalla scienza solo gli asserti esistenziali “isolati”. Anche un asserto esistenziale può essere falsificato, se è parte integrante di un sistema teorico: l’asserzione che esiste un elemento con numero atomico 72 è scientifica perché non è isolata, ma è stata avanzata all’interno di una teoria che permise di specificare come trovare questo elemento (cfr. [5], p. 195). Inoltre l’asserto strettamente esistenziale, cioè l’asserto isolato “Esiste un cigno bianco”, anche se vero, non è interessante per la scienza a causa del suo scarso contenuto informativo. Il fatto che esista un cigno bianco da qualche parte è un’affermazione poco impegnativa e per esempio è logicamente più debole dell’affermazione singolare “Il cigno che osservo in questo luogo e in questo momento è bianco”. Anche questa proposizione fattuale elementare, che è sia verificabile sia falsificabile, non fa parte secondo Popper della scienza teorica ma soltanto della sua “base empirica”. A differenza degli asserti universali, che hanno rilevante potere esplicativo (in correlazione a condizioni iniziali, possono spiegare eventi o asserti singolari) gli asserti esistenziali sono troppo deboli per spiegare qualcosa e quindi non sono interessanti per lo scienziato (cfr. ancora [5], p. 200).
E.L. Kirchner, Potsdamer Platz (1914)

Seguendo lo stesso ordine di idee si può rispondere anche alla seconda obiezione avanzata all’inizio di questo paragrafo, cioè che la scienza falsificabile debba includere anche leggi false a prima vista. Così come la scienza non è interessata a verità banali del tipo “Esiste un cigno bianco”, allo stesso modo non può comprendere teorie banalmente false. Perché una teoria sia accettata nella scienza occorre che superi controlli severi, serve cioè un po’ di corroborazione. Questo discorso viene sviluppato da Popper specialmente negli scritti a partire dal 1960: “se avessimo successo soltanto nel confutare le teorie e non nell’ottenere verifiche delle previsioni di nuovo tipo, dovremmo certo riconoscere che i problemi scientifici sono diventati per noi troppo difficili, perché la struttura del mondo (se ve ne è una) va oltre le nostre capacità di comprensione. (…) Credo, tuttavia, che dovremmo renderci conto che (…) sono essenziali entrambi i tipi di successo: il buon esito della confutazione delle teorie, e il successo di alcune di queste nel resistere almeno ad alcuni dei più risoluti tentativi di confutarle” ([2], p. 420). Quest’ultimo requisito è necessario non solo per eliminare le teorie banali, ma anche per una ragione non meno importante: lo scopo della scienza, attraverso congetture, confutazioni e corroborazioni, è quello di portare ad una sempre maggiore approssimazione alla verità. Allora “se è nostra intenzione rafforzare la verosimiglianza delle teorie, cioè avvicinarci alla verità, dovremmo aspirare non solo a ridurre il contenuto di falsità delle teorie, ma anche a rafforzarne il contenuto di verità” (ibid., p 421). Con questo discorso Popper cerca di precisare l’idea intuitiva di avvicinamento alla verità, o di “verosimiglianza”, a partire dal “contenuto di verità” (insieme delle conseguenze vere di una teoria) e dal “contenuto di falsità” (insieme delle conseguenze false), ma nello stesso tempo apre un nuovo fronte di difficoltà. Proprio partendo da questi contenuti, di verità e di falsità, Popper ritiene di poter confrontare formalmente la verosimiglianza di due teorie, anche se sono entrambe false, e di definire inoltre una misura della verosimiglianza di una singola teoria. Sfortunatamente alcuni critici hanno mostrato che le proposte di Popper non sono logicamente sostenibili e quindi non sono idonee a catturare l’idea intuitiva di avvicinamento alla verità. Popper riconosce l’insuccesso scrivendo di aver accettato le critiche alla sua proposta pochi minuti
dopo che gli furono presentate. Tuttavia si dice convinto del fatto che una definizione formale di verosimiglianza potrebbe non essere necessaria per parlarne sensatamente e che l’idea di verosimiglianza potrebbe essere usata nell’ambito della sua teoria come concetto non definito (cfr. [5], p. 25).
Osservazioni finali
A questo punto è lecito chiedersi se si possa trarre qualche conclusione da questa analisi dei problemi e delle difficoltà del falsificazionismo. Popper, anche negli scritti della maturità, ha sempre difeso la sua intuizione giovanile che nella scienza hanno diritto di cittadinanza solo quelle teorie che prestano il fianco alla falsificazione e possono essere accettate provvisoriamente solo quelle che sono passate indenni attraverso i tentativi di confutazione. Queste tesi di Popper sembrano molto ragionevoli. Così come sembra plausibile l’idea che la scienza, attraverso la sostituzione di congetture confutate con altre ancora confutabili, ma non allo stesso modo delle precedenti, porti a una sempre migliore approssimazione della verità. Ma abbiamo visto che molti aspetti dell’elaborazione di Popper sono stati criticati o giudicati impraticabili. Ovviamente è difficile dire se queste lacune siano fatali per l’impianto generale del suo pensiero. Molti ritengono che la concezione di Popper, nonostante le difficoltà, continui a gettare molta luce sull’impresa scientifica e che da essa ormai non si possa prescindere. Potrebbe essere ancora attuale un giudizio espresso da Lakatos all’inizio degli anni Settanta (cfr. [9], p. 177, n. 2) quando scrive di aver ripetutamente criticato la filosofia di Popper proprio perché convinto che essa rappresenti la filosofia più avanzata del nostro tempo e che qualsiasi progresso filosofico possa essere basato solo, anche se “dialetticamente”, sui suoi risultati.

BIBLIOGRAFIA
[1] Popper K.R., Logik der Forschung, Springer, Wien 1935, trad. ingl. The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London 1959; trad. it. Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970.
[2] Popper K.R., Conjectures and Refutations, Routledge and Kegan Paul, London 1963; trad. it. Congetture e confutazioni, il Mulino, Bologna 1972.
[3] Popper K.R., Objective Knowledge, Clarendon Press, Oxford 1972; trad. it. Conoscenza oggettiva, Armando, Roma 1975.
[4] Popper K.R., Unended Quest. An Intellectual Autobiography, Fontana-Collins, London 1976; trad. it. La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Armando, Roma 1976.
[5] Popper K.R., Realism and the Aim of Science, from the Postscript to The Logic of Scientific Discovery ; Hutchinson, London 1983; trad. it. Poscritto alla logica della scoperta
scientificaIl realismo e lo scopo della scienza, il Saggiatore, Milano 1984.
[6] Duhem P., La théorie physique: son objet et sa structure, Rivière, Paris 1906; trad. it. La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura, Il Mulino, Bologna 1978.
[7] Einstein A., Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie (gemeinverständlich), Viewieg, Braunschweig 1916; trad. it. Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1967.
[8] Lakatos I., Musgrave A. (eds.), Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge University Press, Cambridge-London 1970; trad. it. Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976.
[9] Lakatos I., The Methodology of Scientific Research Programmes: Philosophical Papers Volume I, Cambridge University Press, Cambridge 1978; trad. it. La metodologia dei programmi di ricerca scientifici: Scritti filosofici I, il Saggiatore, Milano 1985.

domenica 15 luglio 2018

Una impietosa analisi sul ruolo di Roma Capitale, in confronto a Milano...



Servizi scadenti, incuria, crescita culturale e creatività urbana ridotte a zero: la “città eterna” non regge più il confronto

di Raffaele Simone, 10 gen 2017

Roma è davvero (come diceva Cavour) «necessaria all’Italia»? 
E se invece ci decidessimo a portare la capitale a Milano? Il tema è antico, e non sempre sono state le menti più scelte a sollevarlo. Ma da qualche tempo è impossibile eluderlo. La catastrofe dell’amministrazione di Virginia Raggi, la voragine del debito e l’indegno abbandono in cui la Capitale versa da anni rendono inevitabile quella domanda.

Del resto, gli indicatori della Capitale sono ormai tutti in picchiata. Qualche settimana fa una ricerca ItaliaOggi-La Sapienza sulla qualità della vita nelle grandi città italiane ha declassato Roma all’ottantottesimo posto, dal già poco onorevole 69esimo dell’anno scorso. Pochi giorni dopo un’indagine analoga del Sole24Ore ha rincarato la dose: la prima città in Italia è Aosta, Roma la tredicesima, anche stavolta con una perdita di diverse posizioni. Non stiamo a chiederci come e perché le due classifiche siano così diverse. Quel che conta è che in quella del Sole la seconda della lista è… Milano.

Beffardo e feroce, il Corriere della sera ha girato il coltello nella piaga pescando un’icona ancora più bruciante: ha confrontato, con tanto di foto, le decorazioni natalizie della capitale con quelle di Milano. Che Roma a Natale fosse buia e dimessa fino allo squallore lo sapevamo da sempre, ma il confronto è umiliante: fantasia di disegno e di colori, vivacità di luci contro mestizia, banalità e micragna.

Classifiche o non classifiche, però, sta di fatto che Roma stride in modo cocente non solo con una quantità di capoluoghi italiani, ma con tutte le capitali dell’Europa occidentale, e anche centrale. E stride per quella che, col gergo dei meteorologi, si direbbe la sua “vivibilità percepita”, che se ne infischia di indicatori numerici e dice solo come si sente il cittadino che vive qui. Basta una visita mordi-e-fuggi a Praga e a Varsavia, e a Lisbona, per non parlare di Parigi, Berlino, Stoccolma, Madrid o Ginevra, per tornare increduli e frastornati dal vertiginoso crepaccio.

Non parlo solo di quel che salta agli occhi: pulizia (a Roma nulla da anni), polizia urbana (poca, inefficiente e villana), cura del verde (zero), trasporti pubblici (catastrofici), traffico (indisciplinato fino alla malvagità: il maggior numero di pedoni ammazzati all’anno), commercio abusivo (senza freno), finitura generale dell’habitat (pessima a Roma: buche, marciapiedi rotti, scritte sui muri, segnaletica scarsa, strutture in abbandono, orologi fermi, erbacce ovunque), intelligenza commerciale (scarsissima a Roma: decine di negozi uguali l’uno accanto all’altro), rispetto degli anziani e dei bambini (bassissimo) e così via. Da qualche tempo cresce anche la varietà di tipi inquietanti (ingrediente non riducibile in percentuali, ma cruciale per la vivibilità), di accattoni organizzati, di mariuoli in trasferta: da una giratina alla stazione Termini o, ancora meglio, alla Metro Flaminio o alla Stazione Anagnina si può tornare a casa coi brividi addosso.

È ancora peggio se guardiamo alle cose meno appariscenti. Ad esempio, Roma è una delle poche capitali al mondo senza impianti sportivi comunali. Esiste un assessorato allo sport, ma non si capisce cosa faccia. I ragazzi giocano a pallone per strada; chi vuole una piscina, una palestra, un corso di sport, deve cercare tra i privati. Chi vuole musica, può trovarla in due o tre teatri al massimo, tutti raccolti nella zona centrale, uno solo dei quali (quello di Renzo Piano) davvero presentabile.

C’è poi un altro livello: la creatività urbana, le invenzioni escogitate per rendere ai cittadini la vita più facile e magari anche un po’ più divertente. Qui le città francesi, inglesi, spagnole, tedesche non vincono, ma stravincono. È in Francia che hanno inventato le biciclette a noleggio, le automobili elettriche, le spiagge sul fiume, le piscine pubbliche di design (a Parigi ce n’è perfino una che flotta sulla Senna), la metropolitana senza pilota, i mototaxi, il decoro urbano sempre reinventato. Roma, da anni gemellata senza merito con Parigi, ha copiato qualcosina, ma mestamente: le biciclette a nolo, riprese dalla ville-lumière, sono state tutte rubate, senza dire che usarle in città era quasi impossibile (piste riservate poche e malmesse, rispetto per i ciclisti nullo). A Roma il comune ha inventato un car sharing complicato, raro e antipatico, a cui è perfino laborioso iscriversi. È stato battuto in un batter d’occhio da due delle poche invenzioni che in questa città rendano il cittadino più felice, Enjoy e Car2Go, ovviamente private. E quanto alle architetture pubbliche, la discussa Nuvola dell’Eur non basta a reggere il confronto con la magnifica Fondazione Feltrinelli a Milano.

Ma dove si sente davvero pianto e stridor di denti è il Mondo Tre (come lo chiamava Popper), quello della cultura, dell’entertainment, o come altro volete chiamarlo. Si tratta, ovviamente, di business, non di opere benefiche; quindi di cose che, se ben fatte, potrebbero rendere ricco chi le promuove. Le invenzioni comunali a Milano si moltiplicano, a Roma sono prossime allo zero. La nuova giunta ha ribattezzato l’assessorato alla cultura, intitolandolo (chissà perché) alla “Crescita culturale”, ma in città non cresce niente. Non si può mettere il deserto Macro, le tristi Case del jazz, della traduzione e del cinema a petto del milanese Museo del Novecento, la romana Galleria Civica di arte moderna (ignota ai più) a confronto con la milanese Fondazione Prada; tra i musei comunali solo i Capitolini (fondati però nel 1734!) sono frequentabili. Ci sono anche indecifrabili crisi di personale: il Maxxi, la (mesta) Festa del Cinema, l’Auditorium Parco della Musica sono diretti da stranieri, che della città non sanno nulla. Roma non è dunque in grado di esprimere dirigenti culturali? Allo stesso modo, non è in grado di esprimere dirigenti politici: i capi delle municipalizzate e gli assessori della scombiccherata giunta Cinque Stelle sono stati raccattati qua e là: in Veneto, Campania, Lombardia…

Che cosa è successo nella Capitale? I ricchi di Milano contribuiscono allo sviluppo della città (vedi Fondazioni Feltrinelli e Prada), quelli di Roma alla speculazione edilizia. Perché a Roma non c’è una Fondazione Caltagirone? Dov’è finita la borghesia colta? Dove sono i giovani creativi? Insomma, di cosa è capitale la Capitale? Della Grande Bellezza? Macché. Ormai, si direbbe, della politica e della burocrazia, del commercio indisciplinato e abusivo, dei palazzinari e soprattutto dell’incuria.

Se è così, che si aspetta? Coraggio: a Milano, a Milano!

domenica 8 luglio 2018

Iniziare ad amare se stessi, prima di tutto...




di Daria Sessa, 10 ago 2015
“Se non credi in te stesso, chi ci crederà?”
Kobe Bryant
A questo mondo esiste una ed un’unica persona con cui avrai sempre a che fare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ogni singolo momento della tua vita.
È la prima persona di cui hai percezione ogni mattina quando ti svegli, e l’ultima che ti accompagna la sera prima che ti addormenti.
Hai già capito a chi mi stia riferendo, vero?
Proprio così, sto parlando di te.
Molte persone andranno e verranno nella tua vita, ma quella che vedi ogni giorno riflessa nello specchio ci sarà per sempre.
Quanto veramente ti adoperi per avere cura di lei sostenendola ed apprezzandola in ogni aspetto della sua essenza?
In che misura la relazione con te stesso è appagante e libera da sofferenze e dolori emotivi?
Immagina per un momento di rivolgere al tuo migliore amico le medesime parole che abitualmente usi per riferirti a te stesso: credi ne sarebbe orgoglioso ed appagato?
La relazione con te è la base che definisce ed origina la tipologia di qualsiasi altro rapporto.
Ti riporto alcuni esempi per meglio comprendere:
Come puoi educare i tuoi figli al rispetto di sé, se tu per primo manchi di fare altrettanto nei tuoi riguardi?
Che tipo di rapporto potrai mai offrire al tuo partner, se non sei in grado di alimentare una relazione virtuosa in primis con te?
Quanto è coerente aspettarsi che gli altri si interessino della tua opinione, se tu per primo non ti esprimi e mostri di svilire il tuo contributo?
Proprio come nella nostra vita impariamo a camminare, correre e parlare, abbiamo bisogno anche di imparare ad amarci e volerci bene.
Amare se stessi è un’abilità che si costruisce nel tempo, un traguardo frutto di una serie di comportamenti coerenti con il desiderio di dare valore a sé ed alla propria vita.
Per te, ho identificato 5 comportamenti comuni da evitare per imparare ad amare se stessi e portare valore e luce alla tua essenza.
Vediamoli subito insieme!

#1. Smetti di criticarti continuamente

“Non preoccuparti se gli altri non ti apprezzano. Preoccupati se tu non apprezzi te stesso.“
Confucio
Potrai mai costruire una relazione d’amore e pace con te stesso, se non perdi occasione per criticarti e svilirti?
Una volta soddisfatte le necessità primarie di protezione, sopravvivenza e sostentamento, ogni essere umano nutre il bisogno fondamentale di sentirsi amato, accettato, desiderato, compreso e valorizzato.
Ognuno di noi è nutrito dalla possibilità di essere costantemente supportato e sostenuto, e una dose massiccia di critiche non assolve certamente a questa funzione.
Le critiche creano chiusura, protezione e difesa…esattamente l’opposto dell’espansione, apertura e fioritura necessari, all’apprezzamento di sé.
Smetti di puntare il dito verso te stesso, ed inizia piuttosto a porgerti il braccio.
Chiediti: come e cosa posso fare di meglio la prossima volta?
E ricorda che il tuo intento è la costruzione di solide basi al tuo interno, e non una loro demolizione.

#2. Smetti di voler essere perfetto
“Accettati come sei in questo momento; una persona imperfetta, mutevole, in crescita e rispettabile.“
Denis Waitley
Indovina un po’: tu (sì, anche tu!) sei un essere umano. Il che significa che non sei né perfetto né invincibile.
Commetterai degli errori, ti capiterà di inciampare e cadere, e soprattutto comprenderai come l’unica virtù sia imparare ogni giorno tanto dai tuoi pregi quanto e soprattutto dai tuoi limiti.
Accettarti per quello che sei indipendentemente dai tuoi vizi e virtù, è il primo esercizio d’amore che puoi praticare nei tuoi riguardi.
Amare, amare veramente, significa volere bene prescindendo da alcuna condizione.
L’amore è un’energia che tutto dona e nulla chiede.
Frasi come “ti voglio bene a patto che…” sono richieste e certamente non offerte.
Comincia da te e con te.
Nel momento in cui ti accetti incondizionatamente, liberandoti di qualsiasi pressione ed aspettativa, ti aprirai alla vita vera (che sappiamo bene essere fatta di successi come di sbagli).
E sai che va bene, tutto va bene: sei nel tuo percorso di crescita, evoluzione e cambiamento, forte del sostegno di qualcuno (te stesso) orgogliosamente sempre al tuo fianco.

“Quando sei contento di essere semplicemente te stesso e non fai confronti e non competi, tutti ti rispetteranno.“
Lao Tzu
Non esiste nessuno a questo mondo che sia paragonabile a te.
Siamo a nostro modo tutti unici e diversi, ciascuno con il proprio bagaglio di esperienze, conoscenze, emozioni e pensieri.
Osservare il prossimo toglierà energia da te e dai tuoi obiettivi, distraendoti dall’unica persona con cui ha senso entrare in competizione: te stesso.
Non hai bisogno di confrontarti con dei perfetti sconosciuti, sarebbe inutile, pretestuoso e poco saggio.
L’unica persona rispetto cui è bene tu sia ogni giorno migliore, sei e sarai sempre solo tu.
E quanto più dedicherai attenzione al tuo percorso, tanto più massimizzerai le risorse personali per ciò che vuoi ed è importante per te.
Quanto più mostrerai di apprezzare il valore della tua unicità, tanto più offrirai stimoli agli altri affinché facciano altrettanto nei tuoi confronti.

#4. Smetti di identificarti con le tue capacità
“Avere quel senso del proprio valore intrinseco che costituisce il rispetto di sé significa avere potenzialmente tutto.“
Joan Didion
Molte persone identificano se stesse ed il proprio valore a partire dai personali meriti e capacità.
Ovvero: faccio un lavoro di prestigio, dunque sono una persona di prestigio. Come anche (al contrario): faccio un lavoro di poco conto, sono una persona di poco conto.
In realtà chi sei è ben altra cosa rispetto ciò che fai; meritare un’insufficienza in una prova, non significa essere insufficienti. Significa avere delle abilità insufficienti in quel determinato compito, E NON essere delle persone insufficienti.
Sei molto di più di ciò che fai: quello che fai esprime le tue capacità (contingenti e migliorabili) e solo una minima parte della tua essenza umana e spirituale.
C’era una volta un uomo che picchiava la moglie e rubava per soddisfare il suo vizio del fumo.
Cosa mai ti aspetteresti da una persona del genere?
Certamente mai e poi mai che sia stato portavoce di un movimento di pace e non violenza (l’Ahimsa), certamente mai e poi mai che quell’uomo si chiami Gandhi.
Ricorda bene: un conto è ciò che sei, un conto ciò che fai.
Evita di apprezzarti o svilirti misurandoti attraverso le tue capacità: la tua natura è divina, e il pregio della tua essenza connaturato al semplice fatto che tu esista.

#5. Smetti di dire sempre di SÌ

In altri termini, impara a dire NO evitando di cadere nella tentazione di compiacere gli altri a tutti i costi.
Il messaggio che più o meno consapevolmente stai comunicando accondiscendendo sempre a tutto e tutti, è qualcosa del tipo: “Io non valgo abbastanza, e ho bisogno della tua approvazione per sentirmi finalmente considerato e amato.“
È questo quello che vuoi?
Ricorda che non hai bisogno del permesso di nessuno per sentirti bene e avere successo nella vita. Appartieni a te, ed a nessun altro prima di te.
Smetti di tradire la tua volontà, onora la tua autenticità, e datti la possibilità di circondarti di persone che ti apprezzino per quello che sei veramente.
La tua vita deve prima di tutto avere senso per te stesso ancor più che per gli “altri”.
Sì…o No?
E tu?
Quale comportamento scegli di sacrificare oggi stesso per iniziare finalmente ad amarti un po’ di più?

P.S. Se vuoi cominciare da ora a concederti il diritto di accogliere nella tua vita tutto l’Amore che meriti, scopri lo straordinario Corso L’Amore e Oltre in esclusiva per la tribù Omnama <3

Forse non lo sai, ma l’amore vibra a delle frequenze molto alte e per sintonizzarti su quelle frequenze e riuscire ad attrarre tutto l’amore che meriti devi innalzare le tue frequenze vibrazionali.
Fuori e dentro di te.
Il primo passo è amare se stessi.
Sei pronto a partire per questo viaggio?

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Daria Sessa
Daria ha conseguito il Diploma Internazionale ISNS di Master in Programmazione Neurolinguistica e Neuro-semantica presso l’Istituto Italiano di Neuro-semantica, è accreditata come Licensed Practitioner del metodo Insights Discovery®, è Facilitatrice del metodo Tutta Un’altra Vita® di Lucia Giovannini ed è facilitatrice e coach di Breathwork“Life Breath”. 
Da sempre interessata alla valorizzazione e alla crescita del potenziale umano, per oltre 4 anni ha collaborato come coach team leader accanto a Lucia Giovannini e Nicola Riva in programmi di formazione specifici nel campo del coaching e dello sviluppo personale. 
Lavora come Life Coach e Breath Coach in sessioni orientate alla valorizzazione e crescita delle risorse e potenzialità umane, offrendo strumenti strategici alla creazione di una vita colma di realizzazione, passione ed equilibrio. 
Tiene seminari e training nell’ambito della comunicazione, gestione emozionale, relazione interpersonale, efficacia individuale. 
Dinamica, positiva e affermativa, Daria fa del lavoro la propria passione, arricchendo di significato e alte intenzioni le sue personali competenze e capacità. 
Guarda alla vita come occasione di continua crescita, evoluzione e miglioramento, valorizzando i meriti dell’eccellenza al di sopra dei limiti del perfezionismo. 
Ha due figli, sua eterna fonte di insegnamento e ispirazione in ogni ambito della vita. 
Visita il suo blog Dariablog.me.