venerdì 28 ottobre 2016

Il Vulcano dormiente ai piedi di Roma...



L'area vulcanica dei Colli Albani, alle porte di Roma, rimasta in assoluto stato di quiete da 36.000 anni a questa parte - nonostante miti e leggende che hanno accreditato eruzioni fino in epoca romana - è attiva e a diversi chilometri di profondità si sta accumulando nuovo magma, facendo presagire un risveglio tra migliaia di anni. A sostenerlo, uno studio firmato INGV, Sapienza Università di Roma, CNR e Università di Madison, pubblicato su Geophysical Research Letters

di Silvia Mattoni, 19 lug 2016


I Colli Albani, l'area vulcanica alle porte di Roma, inizia a dare segni di un futuro risveglio. 

A stabilirlo, uno studio multidisciplinare "Assessing the volcanic hazard for Rome: 40Ar/39Ar and In-SAR constraints on the most recent eruptive activity and present-day uplift at Colli Albani Volcanic District", condotto da un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Geologiche - “Sapienza” Università di Roma, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), e Laboratorio di Geocronologia dell'Università di Madison, che ha permesso di ricostruire la storia delle eruzioni avvenute da 600.000 anni fa a oggi nel distretto vulcanico dei Colli Albani, assieme a quella delle deformazioni della crosta terrestre che hanno accompagnato nel tempo la sua evoluzione.

“Il risultato sorprendente”, afferma Fabrizio Marra, ricercatore dell’INGV, “è che non solo il vulcano è tutt'altro che estinto, ma ha appena iniziato un nuovo ciclo di alimentazione delle camere magmatiche che potrebbe portarlo nel prossimo millennio, da uno stato dormiente a quello di risveglio. Da qui la necessità di monitorare sin da oggi quest'area vulcanica”.
Gli elementi emersi dallo studio sono molteplici, legati a diversi indicatori geofisici, tutti convergenti nell'indicare che l'area vulcanica è attiva e che a diversi chilometri di profondità si sta accumulando nuovo magma.

“In quanto tempo questo magma potrebbe trovare una via di risalita e dar luogo a un'eruzione è difficile da stabilire con precisione, quello che è certo è che i tempi fisici per cui ciò possa avvenire sono alla scala delle diverse migliaia di anni. Tutt'altra storia rispetto al Vesuvio, dove le eruzioni sono avvenute in tempi storici e i tempi di ritorno dell'attività vulcanica sono dell'ordine delle decine e delle centinaia di anni: ai Colli Albani tutto procede con tempi delle migliaia e delle decine di migliaia di anni. A cominciare dai tempi di ritorno delle eruzioni”, prosegue Marra.

Lungo tutto il periodo di attività, indipendentemente dalla grandezza dei singoli aventi, le eruzioni ai Colli Albani sono avvenute con cicli molto regolari di circa 40.000 anni, separati da periodi di pressoché assoluta quiescenza.

“A partire da 600mila anni fa”, spiega il ricercatore dell’INGV, “ci sono stati 11 di questi cicli eruttivi. L'ultimo, avvenuto al Cratere di Albano, è iniziato proprio 41.000 anni fa ed è terminato intorno a 36.000 anni. Questo vuol dire che il tempo trascorso dall'ultima eruzione è dello stesso ordine dei tempi di ritorno: quindi il vulcano deve considerarsi attivo e pronto per un nuovo futuro risveglio”.

I ricercatori hanno inoltre accertato che nel periodo di attività più recente, a partire da 100.000 anni fa, i tempi di ritorno si sono leggermente accorciati e sono stati dell'ordine di 30.000 anni. L'area in cui sono avvenute tutte le eruzioni più recenti è concentrata in un settore allungato in direzione nord-sud e comprende i crateri di Ariccia (200 mila anni), Nemi (150 mila anni), Valle Marciana (100 mila anni), Albano (due cicli a 69 mila e 41-36 mila anni), e il cono vulcanico di Monte Due Torri (40 mila anni).

“Tale settore corrisponde esattamente a un’area in cui le osservazioni di telemetria satellitare (InSar), fatte dai ricercatori INGV, hanno rivelato un continuo sollevamento, con tassi di 2-3 mm/anno, negli ultimi 20 anni. Questo lascia perciò ipotizzare che al di sotto dell'area dove sono avvenute le eruzioni più recenti si stia accumulando nuovo magma che provoca un rigonfiamento della superficie. La rivalutazione di studi di tomografia crostale condotti in passato suggerisce che questa zona di accumulo possa essere tra i 5 e i 10 km di profondità. Abbastanza profonda, quindi, da non destare preoccupazioni al momento”, continua Marra.

Infine, il terzo importante elemento è scaturito dagli studi che hanno investigato le cause dei lunghi periodi di inattività che hanno separato le diverse eruzioni.

“Anche qui si è capito che la causa di questo comportamento peculiare, diverso dagli altri distretti vulcanici attivi nello stesso periodo di tempo nell'Italia centrale (Vulsini, Vico, Monti Sabatini e Roccamonfina), stia nelle particolari condizioni geodinamiche dell'area di Roma, dove sono state attive forze crostali prevalentemente compressive, rispetto a quelle estensionali delle aree circostanti, che ha l'effetto di sigillare le fratture e le faglie che costituiscono le vie di risalita del magma durante le eruzioni. Così il magma rimane in profondità finché il progressivo accumulo non genera delle pressioni tali da superare le forze compressive crostali. A questo punto si esercita una spinta verticale che riapre le faglie e le fratture: il campo di stress diviene cioè estensionale come nelle regioni circostanti, e un nuovo ciclo eruttivo ha inizio”, aggiunge Marra.

Al momento attuale gli indicatori geofisici indicano l’esistenza di un campo di stress estensionale ai Colli Albani e nell'area romana, compatibile con un sollevamento in atto e favorevole alla eventuale risalita di magma. 

Al tempo stesso “nessun elemento derivante dalle osservazioni geochimiche e geofisiche in atto lascia ipotizzare che un’eruzione possa avvenire né in tempi brevi né medi. Quindi, se una ricarica dei serbatoi magmatici è in atto, questa durerà senz'altro migliaia di anni prima che possa dar luogo a un'eruzione”, conclude Marra.






Le idee dell'americano Jacques Fresco







..Il ‪#‎VenusProject‬ ( ‪#‎TVP‬) è un’organizzazione che propone un piano di azione realizzabile per il cambiamento sociale, un sistema socioeconomico olistico e globale chiamato “economia basata sulle risorse” ( ‪#‎RBE‬ – Resource-Based Economy), il cui obiettivo è una civiltà pacifica, sostenibile e globale; delinea un’alternativa per cui battersi, in cui i diritti umani non sono solo proclami su carta, ma uno stile di vita.

Il Venus Project presenta una visione alternativa per una civiltà sostenibile e mondiale diversa da qualsiasi altro sistema politico, economico o sociale che ci sia mai stato; prevede un periodo nel prossimo futuro in cui il denaro, la politica e gli interessi personali e nazionali verranno eliminati gradualmente.
Sebbene questa visione possa sembrare idealistica, si basa su anni di studio e ricerca sperimentale; considera una gamma che va dall’educazione ai trasporti e dalle fonti di energia pulita al sistema cittadino totale.Molte persone credono che sia necessario un alto senso di standard etici e la messa in vigore di leggi e trattati internazionali per garantire una società sostenibile e globale: anche se le persone più etiche del mondo fossero elette a cariche politiche, senza sufficienti risorse avremmo ancora molti degli stessi problemi che abbiamo oggi; finché poche nazioni continueranno a controllare la maggior parte delle risorse del mondo e il fine ultimo sarà il profitto, continuerà a prevalere il medesimo ciclo di eventi.
Mentre proliferano le sfide globali e le informazioni scientifiche, le nazioni e le persone affrontano delle minacce comuni che trascendono i confini nazionali: la sovrappopolazione, le carenze di energia, il riscaldamento globale, l’inquinamento ambientale, la scarsità d’acqua, la catastrofe economica, la diffusione di malattie incontrollabili e la sostituzione tecnologica delle persone con le macchine minacciano ciascuno di noi. Sebbene molti si adoperino per attenuare questi processi, i problemi sociali ed ambientali rimarranno insormontabili finché le poche nazioni potenti e gli interessi finanziari manterranno il controllo e consumeranno la maggior parte delle risorse mondiali e fino a quando prevarrà il sistema monetario.Se vogliamo veramente porre fine ai continui problemi internazionali e sociali, dobbiamo dichiarare la Terra e tutte le sue risorse patrimonio comune di tutti.


Che cos’è l’economia basata sulle risorse?


Per trascendere queste limitazioni, il Venus Project propone di puntare a un’economia mondiale basata sulle risorse, un sistema socioeconomico olistico in cui le risorse planetarie sono ritenute patrimonio comune di tutti gli abitanti della Terra; la pratica attuale di razionarle attraverso metodi monetari è inappropriata, controproducente e ben lungi dal soddisfare i bisogni dell’umanità.
Detto semplicemente, l’economia basata sulle risorse utilizza le risorse esistenti, anziché i soldi, per fornire un metodo equo di distribuzione nel modo più umano ed efficiente possibile; è un sistema in cui tutti i beni e i servizi sono disponibili per tutti senza l’utilizzo del denaro, del credito, del baratto o di qualsiasi altra forma di debito e servitù.
Per capire meglio l’economia basata sulle risorse, consideriamo questo: se tutti i soldi del mondo sparissero da un giorno all’altro, finché vengono lasciati intatti i terreni coltivabili, le fabbriche, il personale e le altre risorse, si potrebbe costruire qualsiasi cosa serva per soddisfare la maggior parte dei bisogni umani. Non è del denaro che la gente ha bisogno, ma piuttosto del libero accesso alla maggior parte dei propri bisogni senza doversi preoccupare della sicurezza finanziaria o dover far appello a una burocrazia governativa; in una economia basata sulle risorse di abbondanza, il denaro diventerà inutile.
Siamo giunti a un punto in cui le innovazioni in ambito scientifico e tecnologico possono facilmente fornire abbondanza a tutte le persone del mondo; non è più necessario insistere con il ritiro consapevole dell’efficienza attraverso l’obsolescenza pianificata, perpetuata dal vecchio e superato sistema del profitto. Se siamo sinceramente preoccupati per l’ambiente e per gli altri esseri umani, se vogliamo veramente porre fine alle dispute territoriali, alla guerra, al crimine, alla povertà e alla fame, dobbiamo riconsiderare consapevolmente i processi sociali che ci hanno condotto in un mondo in cui questi fattori sono comuni; che ci piaccia o no, sono i processi sociali (le pratiche politiche, le convinzioni, l’economia basata sul profitto, le norme comportamentali pilotate dalla cultura) che conducono e mantengono la fame, la guerra, le malattie e i danni ambientali.
L’obiettivo di questo nuovo progetto sociale è di incoraggiare un sistema di incentivi non più diretti verso gli scopi superficiali ed egocentrici della ricchezza, della proprietà e del potere; questi nuovi incentivi incoraggerebbero le persone verso l’autorealizzazione e la creatività, sia materiale sia spirituale.
Alcuni documentari da visionare, buona visione :
Cosa riserva il futuro oltre il 2000:
https://youtu.be/YVRGS3fT8CE
The Choice is Ours:
https://youtu.be/Yb5ivvcTvRQ
Jacquefresco sulla economia basata sulle risorse Tedx Ojai (California 2012):
«Da giovane, quando ero a New York, rifiutai di giurare fedeltà alla bandiera. Naturalmente fui mandato dal preside, che mi chiese: "Perché non vuoi giurare fedeltà? Lo fanno tutti"
Gli risposi: "Tutti una volta credevano che la Terra fosse piatta, ma non per questo era vero".
Gli dissi anche che tutto ciò che gli Stati Uniti possedevano era grazie alle altre culture e alle altre nazioni e che avrei preferito giurare fedeltà alla Terra e a chi la popola. Inutile dire che non passò molto prima che lasciai definitivamente la scuola. Allestii una laboratorio nella mia camera da letto: lì iniziai a studiare le scienze e la natura. Capii allora che l’universo era governato da leggi e che l’essere umano, con la società stessa, non è esente da queste leggi.

Poi arrivò la crisi del 1929, che iniziò con quella che chiamiamo oggi "Grande Depressione". Trovai difficile capire perché milioni di persone non avessero lavoro, una casa, cibo, quando le fabbriche erano ancora al loro posto e non erano venute meno le risorse. Fu allora che mi resi conto che le regole del gioco economico erano intrinsecamente senza senso. Poco dopo scoppiò la seconda guerra mondiale, durante la quale varie nazioni si alternarono a distruggersi sistematicamente a vicenda.
Più tardi calcolai che tutta la distruzione e le risorse sprecate spese per quella guerra avrebbero potuto facilmente soddisfare ogni bisogno umano sul pianeta. Da quel momento ho visto l’umanità dirigersi verso la sua stessa estinzione. Ho visto le risorse preziose e limitate esser continuamente sprecate e distrutte in nome del profitto e del libero mercato. Ho visto i valori sociali della società essere ridotti ad un mero materialismo e a un consumo sconsiderato.
E ho visto i poteri monetari controllare la struttura politica di cosiddette "società libere".
Ho 99 anni e temo che il sentimento sia rimasto lo stesso di 75 anni fa: questa merda se ne deve andare!».
Jacque Fresco

domenica 16 ottobre 2016

L'Intelligenza Artificiale ora compone musica...



L'hanno realizzata i ricercatori del Sony Research Laboratory e il compositore francese Benoît Carré grazie a un software in grado di "apprendere" e comporre spartiti

di Marta MANZO, 25 set 2016

A sentirla è un'orecchiabile canzone pop che ricorda la musica dei Beatles, ma dietro non c'è il quartetto di Liverpool. Si chiama "Daddy's car" ed è la prima canzone interamente composta con l'intelligenza artificiale. L'esperimento è riuscito al Sony Csl Research Laboratory, grazie a un sistema di software chiamato Flow Machines.

I ricercatori hanno impostato un enorme database, con circa tredicimila spartiti di differenti stili e compositori: dentro c'è molto jazz, pop, ma anche tanti brasiliani e classici cantautori americani. Quindi, hanno utilizzato "Flow composer", uno strumento di intelligenza artificiale basato sull'apprendimento automatico. Questo software è una specie di assistente intelligente che aiuta a comporre nuove canzoni, in qualsiasi stile, sia in modalità automatica, sia in modo interattivo, e a creare nuove armonie. Consente anche di modificare le melodie o, basandosi su uno spartito, di comporre come se si stessero suonando strumenti diversi. Basta selezionare stile e lunghezza della pista e si può cominciare a comporre.


Per "Daddy's Car" i ricercatori si sono affidati al cantante e compositore francese Benoît Carré: è stato lui a scegliere lo ''stile Beatles" degli anni '60 e il sistema ha generato melodia e armonia, mentre al compositore è rimasto di scrivere il testo. Quindi, con un altro sistema chiamato Rechord, Carré ha miscelato altri frammenti audio con lo spartito ottenuto. Infine, ha terminato la produzione e mixato. E il risultato è in tutto e per tutto simile a una ben più celebre "All you need is love".

Il giovane autore è ancora al lavoro e ha già creato un'altra canzone, pescando stavolta nel contenitore dei cantautori americani, che contiene spartiti di compositori come Cole Porter, George Gerswhin, Duke Ellington. Con la stessa tecnica, anche qui scrivendo le parole, ha dato luce a "Mr. Shadow".



La musica composta dall'intelligenza artificiale è un esperimento interessante, pur con i suoi limiti. Ci suona familiare e potrebbe aprire nuove frontiere alla composizione, ma è senz'anima, come la macchina che l'ha generata


di Ernesto ASSANTE, 25 set 2016



LENNON e McCartney possono essere sostituiti dall’intelligenza artificiale? Anzi, i compositori, gli autori, i musicisti, possono essere rimpiazzati da macchine creative? La risposta tecnica è sì, la potete ascoltare nel brano ''impostato'' da Benoit Carnet e creato dal software Flow Machines: Daddys' Car. La risposta critica è ''sì, se le canzoni composte dalle macchine sono belle''. La risposta è anche ''no, perché Lennon & McCartney li abbiamo già avuti''. Insomma, se ci si concede un po' di equilibrio, la risposta corretta dovrebbe essere ''dipende''.

Brian Eno, ad esempio (ma ci sono molti altri artisti che hanno lavorato negli ultimi sessant'anni sulla stessa frontiera) ha ampiamente teorizzato e lavorato attorno alla ''generative music'', musica generata da macchine con un piccolo intervento umano, anzi ha costruito buona parte delle sue opere musicali sul rapporto tra uomo e macchina e sulla possibilità che la musica si crei da sola attraverso le macchine. Flow Machines prova ad applicare le stesse teorie alla canzone, che è materia profondamente diversa e che, fino ad oggi, ha richiesto un fortissimo rapporto con l’autore e un rapporto ancora più forte con l’interprete. Il rapporto tra macchine e creatività è stato fondamentale per lo sviluppo della musica del nostro secolo, le macchine sono servite per creare musiche che non esistevano prima, suoni che hanno aperto mondi completamente nuovi e che hanno dato modo a milioni di musicisti e compositori di creare, a loro volta altre musiche e altri suoni, dando corpo a idee e spazio all’immaginazione. E' questo il caso in questione? Beh, si tratta di un esperimento, in parte riuscito, in parte no, certamente interessante e curioso, un'eccellente dimostrazione delle possibilità della composizione automatica.

Musica senz'anima? Certamente sì, non può averla, non vuole averla, non l'avrà. Sarà un altro tipo di musica, sarà brutta o bella, affascinante e insulsa, inutile o necessaria quanto la musica ''umana''? Non siamo in grado di dirlo oggi, possiamo dire però che fin quando si limiteranno a replicare cose che siamo in grado di fare da soli, sarà sostanzialmente inutile. 
Ma ci servono davvero dei compositori automatici? Beh, avere dell'arte in più non fa mai male, perchè per rendere questo mondo migliore ci servono compositori di ogni genere, ci serve la musica, la creatività, la melodia, non ne possiamo fare a meno. Se i compositori automatici sapranno scrivere bella musica
ben vengano, saranno migliori di altri compositori automatici o umani che ne scrivono di brutta. Se invece si limiteranno all'ovvio o al brutto, beh, saranno in ottima compagnia di tanti compositori umani, alcuni dei quali sia in passato sia oggi sono riusciti anche ad ottenere grande successo.

venerdì 14 ottobre 2016

I giovani che vivono e studiano all'estero: la nuova emigrazione che impoverisce l'Italia

Da Panorama

Storia di un padre e delle sue gemelle, Elena e Silvia, che studiano a Maastricht e in Scozia via da un Paese in cui è stato rubato loro il futuro

di Marco Ventura, 8 ott 2016

Mi dice Elena che lo scorso anno, all’appuntamento degli studenti italiani a Maastricht in Olanda erano in 20, quest’anno in più di 100. Statisticamente, il dato conta poco. Si tratta solo di una singola cittadina olandese. Ma Elena, mia figlia, 19 anni, al secondo anno di Studi internazionali all’University College di Maastricht (UCM), dal quale usciranno per metà diplomatici, per l’altra metà eurocrati, cioè funzionari europei, non rientra negli oltre 107 mila italiani espatriati nel 2015 e censiti dal rapporto Migrantes.
LEGGI, DI SEGUITO ALL'ARTICOLO, COSA DICE IL RAPPORTO
Temo che il numero sia di gran lunga superiore, considerando quanti ancora non si sono registrati. Elena è solo una goccia di quel fiume di italiani fuori dall’Italia che non sono la generazione Erasmus (6 mesi di scambio tra Università europee, poi di nuovo qui), ma generazioni di connazionali, di nostri figli, che mossi dal desiderio di maggiori opportunità lasciano la casa, la mia casa, la loro città, la mia città, il loro e mio paese. E vivono stabilmente fuori dai confini nazionali.
Elena mi racconta che il rettore della sua Università va la domenica in biblioteca a distribuire biscotti agli studenti che preparano gli esami. Due anni fa, insieme a Silvia, l’altra mia figlia (sono gemelle), Elena era andata all’orientamento della Sapienza di Roma, dov’era atteso il rettore. Che non si è fatto vedere.
Silvia, anche lei, ha lasciato l’Italia. Studia filosofia e psicologia a St. Andrews, in Scozia, e appena arrivata ha indossato il mantello rosso dell’Università e insieme a studenti di tutto il mondo ha fatto il “Pier Walk”, la camminata in cima allo stretto molo teso a strapiombo sul Mare del Nord come iniziazione alle tradizioni universitarie e ingresso nella comunità di studenti.
Poi ha conosciuto la sua “famiglia accademica”, composta da allievi del terzo anno che hanno il compito di introdurla al mondo universitario e cittadino. È continuo il suo contatto con il tutor, un professore, e col titolare della cattedra, e se supera i punteggi più alti le arriva una lettera del preside o rettore che si congratula e la incoraggia.
Per aprire un conto in banca ha vantaggi speciali, più sconti dappertutto, dai negozi ai musei, e l’edificio della Union, l’associazione studentesca, è un intero isolato nel quale trova assistenza per organizzare viaggi, spese, feste, studi, perfino il sabbatico, un anno di giro del mondo.
Lo studente è un re, a St. Andrews, perché è il futuro. E loscambio culturale è planetario, perché dall’America all’Asia passando per l’Europa l’offerta universitaria in Scozia attrae ragazzi di ogni lingua ed etnia.
A St. Andrews gli studenti dell’Unione europea non pagano la retta (a eccezione degli inglesi), solo vitto e alloggio. Alla fin fine, costa meno mantenere un figlio che studia nella prima Università scozzese (e terza assoluta in Gran Bretagna ma prima per molte materie) che non nelle migliori Università private italiane, comunque in basso nelle classifiche mondiali.
A Maastricht, l’UCM che pure è un Ateneo a numero chiuso, non costa di più. La sua sede è dentro un monastero e una chiesa sconsacrati, in biblioteca non si può accedere dall’ingresso principale dopo una certa ora ma soltanto da una porta laterale pernon disturbare nidi di uccelli e lucertole, e gli studenti se vogliono passeggiano nelle ore libere fuori in un parco, tra oche e cerbiatti.
Se sei studente dell’UCM e decidi di frequentare per 6 mesi un’altra Università con la quale c’è interscambio nel mondo, perdi punti perché l’UCM si considera la migliore. Quanto a St. Andrews, c’è un fiorire di società filosofiche, scientifiche, sociali, di scrittura creativa...
Per chi vuole intraprendere la carriera universitaria, la prospettiva è quella di cominciare a guadagnare dopo il baccalaureato, la laurea breve, e le mie figlie mi dicono che l’età media dei loro professori (molto quotati) è bassissima rispetto ai nostri ordinari. A trent’anni, se lo meriti, sei già un luminare. 
Quando la Gran Bretagna ha votato per la Brexit, a St. Andrews l’Ateneo ha mandato subito una lettera agli studenti stranieri per ribadire che è stato preso un impegno con loro, che le rette non saliranno e che non cambierà nulla. Perché gli studenti sono quanto di più prezioso ci sia nella società. L’assicurazione sul futuro. In fondo, si tratta per i britannici di mantenere anche un grande business. Nulla di ciò che fanno è in perdita. Anzi. 
Mi fa orrore pensare che tutto questo sia impensabile e impossibile da noi, e che i miei soldi debbano andare all’estero per sovvenzionare un sistema che trarrà dalla competenza delle mie figlie tutti i vantaggi, ma non per l’Italia. Perché io lo so già, che molto probabilmente Silvia ed Elena non torneranno più, non saranno messe nella condizione di tornare.
Vuoi per mancanza di opportunità nella ricerca, vuoi per scarsità di gratificazioni economiche. So che continueranno ad amare l’Italia, anzi sempre di più, ma sempre più da lontano. Come un sogno, un rifugio, una villeggiatura. Come la terra dei padri. Come da sempre per i nostri migranti in cerca di fortuna. In Italia, la mia generazione e le precedenti hanno rubato il futuro ai nostri, ai miei, figli. E non c’è perdono per questo “delitto perfetto”.
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Secondo il rapporto Migrantes si sono trasferiti all'estero nel 2016 oltre 100mila connazionali: un flusso in crescita che riguarda soprattutto i giovani

Sono 107.529 i connazionali espatriati nel 2015 secondo l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire): un numero superiore a 6.232 unità rispetto all'anno precedente, per un incremento del 6,2%.
A fare  le valige sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni , 39.410 persone, e il 36,7%) dei nuovi emigranti.
La meta preferita rimane  la Germania (16.568), che precede in termini di numero di italiani residenti la Svizzera, la Francia, l'Argentina (oltre 700 mila italiani residenti, +26%), il Brasile, ilBelgio, mentre tra le regioni che hanno subito un  travaso più consistente di emigranti verso i Paesi stranieri, ci sono - anche per ragioni demografiche - la Lombardia - con 20.088 unità nel 2015 - e il Veneto, con 10.374 persone che hanno scelto di andarsene.
Ma sono soprattutto le regioni meridionali quelle che, in rapporto alla popolazione, conoscono il travaso più consistente: sono meridionali il 50% degli italiani residenti all'estero.  
Il rapporto si chiama Italiani nel mondo 2016 ed è stato presentato oggi a Roma dalla Fondazione Migrantes: un rapporto che è - secondo gli estensori della ricerca - la spia di un depauperamento progressivo del nostro Paese che riguarda - a differenza delle grandi ondate migratorie degli inizi del 900- tutte le fasce sociali, dagli studenti ai ricercatori fino ai tradizionali lavoratori manuali, ma principalmente i millenials, i giovani nati nel nuovo secolo che, spesso, quando l'emigrazione è dovuta a ragioni di studio, scelgono come meta preferita la Gran Bretagna.
C'è un altro fenomeno inedito però che riguarda gli italiani emigranti: quello dei doppi migranti”,  coloro che sono arrivati in Italia da altri Paesi, si sono fermati almeno dieci anni acquisendo la cittadinanza e poi decidono di partire per cercare fortuna altrove. Per lo più sono persone originarie del Bangladesh. La loro meta prediletta è ancora il Regno Unito.
Nel complesso, il conteggio dei connazionali residenti all'estero ha raggiunto al 31 dicembre 2015 quasi quota cinque milioni, un dato che rispetto all'anno precedente è più alto del 3,7 per cento. Significa che poco più di un italiano su 12 è emigrato. Un dato cui deve aggiungersi un'altra percentuale di chi parte per non tornare più: il saldo migratorio tra chi rimpatria e chi parte, che era rimasto quasi costante nel primo decennio del millennio, sta subendo una brusca virata in negativo. Un altro elemento che fa temere un progressivo impoverimento del nostro Paese.


venerdì 7 ottobre 2016

La competitività in Italia che non cresce...



di Vittorio Da Rold, 27 set 2016

Il punteggio della competitività italiana nel consueto rapporto del World Economic Forum è migliorato, ma più lentamente rispetto ad altri, e per questo l’Italia scivola di una posizione nella classifica generale al 44esimo posto rispetto al 43esimo dell’anno scorso. A pesare di più è l’elevato grado di tassazione, la debolezza dei mercati finanziari (banche in particolare) e del lavoro e una digitalizzazione ancora poco diffusa.

È il giudizio del Global Competitiveness Report 2016-2017 dell'organizzazione di Ginevra, che conferma Svizzera, Singapore e Usa nei primi tre posti della classifica mondiale e mette in guardia sulle prospettive globali nell'era della Brexit e dei grandi trattati di liberalizzazione commerciale finiti nel congelatore: «Il calo dell'apertura delle economie a livello globale sta minacciando la crescita», ha avvertito il fondatore e presidente esecutivo del Wef , Klaus Schwab. E i maxi-interventi monetari, dal Giappone all'Europa agli Usa, non riescono a sostenere la crescita senza riforme.

«La competitività dell'Italia è migliorata ma più lentamente degli altri», e così il Paese «scivola di un posto ed è 44esimo» scalzato dalla Russia di Vladimir Putin. Il rapporto annuale sulla competitività vede nella crisi delle banche il principale tallone d'Achille italiano: le riforme hanno migliorato la situazione, ma pesano la burocrazia, la fuga dei talenti e i tempi lunghi necessari perché funzioni il jobs act.

La fotografia del Wef in sintesi per la situazione italiana è la seguente:

  • l’Italia ottiene il miglior punteggio di sempre e piano piano sta chiudendo il gap con le altre principali economie europee; a differenza di Spagna e Francia, il livello di competitività italiano è al di sopra del livello pre-crisi economica del 2007;
  • Tuttavia, altri Paesi emergenti stanno facendo meglio, come l'India, causando il calo di una posizione nel ranking. (succede anche alla Germania, che perde anch’essa una posizione in classifica generale);
  • come è cambiata la competitività italiana negli ultimi 10 anni? Innovazione e infrastrutture in miglioramento, finanza in peggioramento. Mercato del lavoro ed efficienza delle istituzioni in crescita negli ultimi due anni (grazie alle riforme del governo Renzi, dice il Wef).

«L’implementazione delle riforme negli ultimi anni ha migliorato la competitività per le imprese - si legge nel report - ma la corruzione (+14), ai fini delle prestazioni del settore pubblico rimane ancora elevata, con la burocrazia troppo pervasiva e un sistema giudiziario altamente inefficiente». Il mercato del lavoro in Italia, sempre secondo il Wef, è diventato più efficiente, licenziamenti e assuzioni sono diventati più flessibili mentre la contrattazione sui salari è stata decentrata. Tutte queste riforme, secondo gli esperti del think tank ginevrino, richiederanno tempo per dispiegare i loro effetti, mentre serviranno più relazioni cooperative e meno conflittuali tra datori di lavoro e dipendenti.

Nel frattempo l'Italia continua a sperperare le sue risorse: nel sud del paese solo una donna su tre lavora (dati Istat), il tasso di occupazione femminile nell’Italia meridionale era pari al 30,6 per cento (nel 2015), mentre la riforma al sistema pensionistico introdotta nel 2012, anche se necessaria, ha bloccato ulteriormente il mercato del lavoro ai giovani.



Ma è lo sviluppo del sistema finanziario (nell’accesso al credito l’Italia è 122esima su 138) il vero anello debole del nostro Paese: il settore bancario è carico di crediti in sofferenza, e alcune istituzioni necessitano di ricapitalizzazioni. Recenti scandali bancari hanno ulteriormente ridotto la fiducia dei risparmiatori, mentre alcune questioni cruciali, tra cui il forte legame con le fondazioni locali, sono state portate a soluzione dal governo solo parzialmente.
























L’Italia ha rafforzato la sua posizione macroeconomica, ma il debito pubblico resta ancora elevato anche a causa della bassa inflazione. Il rapporto ricorda, infine, che «l'innovazione e la sofisticazione del business rimangono tra i punti di forza dell'economia e l'Italia ha continuato a migliorare la dimensione della preparazione digitale, come si vede nel Rapporto Mondiale del Forum'sGlobal Economic Information Technology 2016».

«C'è qualche segnale incoraggiante, come la maggiore efficienza del mercato del lavoro grazie alle riforme e anche i miglioramenti sul fronte dell'etica», osserva, Attilio Di Battista, economista del World Economic Forum. Ci vorrà tempo, comunque, prima che si vedano i pieni benefici delle riforme e serviranno anche relazioni più collaborative tra le parti sociali, rileva lo studio. Anche se è migliorata, secondo il Wef, la percezione delle aziende sulla corruzione, la performance della pubblica amministrazione resta scarsa, la burocrazia dilagante e il sistema giudiziario inefficiente (136mo, cioè terzultimo posto quanto a risoluzione di controversie). Bocciatura secca anche per gli sprechi nella spesa pubblica (130esimo posto).

Insomma ci salva la nostra creatività, ma ci frena la nostra poca capacità di affrontare nel tempo i nostri punti deboli di sistema, quali il debito, la burocrazia, l’imposizione fiscale eccessiva e la corruzione.

lunedì 3 ottobre 2016

Le prossime future novità pensionistiche...



di Davide Colombo, 8 set 2016

I primi giorni di agosto l'Ufficio parlamentare di Bilancio (UpB) in un focus sulla flessibilità pensionistica lo ha spiegato chiaramente: per evitare che l'Ape, l'anticipo pensionistico allo studio del Governo, impatti sull'indebitamento netto dei prossimi anni dovranno essere rispettate tre condizioni. La prima: le norme non dovranno prevedere alcun obbligo per i lavoratori interessati, le banche o le assicurazioni coinvolte nel meccanismo del prestito assicurato. Due: lo Stato non dovrà assumere direttamente alcuna funzione assicurativa diretta (né sull'ipotesi di pre-morienza né per i casi di insolvenza dei beneficiari). Infine il sostegno pubblico previsto per i pensionati più bisognosi non dev'essere incondizionato ma sottoposto a verifiche annuali.

Una rendita prima della pensione 

Aumentare la flessibilità di uscita senza toccare i requisiti di legge (e quindi la spesa pensionistica) impone il massimo di creatività. Ed è per questo che oltre all'anticipo pensionistico con finanziamento bancario assicurato rimborsabile in vent'anni, l'Ape appunto, si metterà in campo anche Rita, la rendita integrativa temporanea anticipata, che consentirà di percepire la rendita prima della pensione obbligatoria. Si partirebbe dai lavoratori rimasti senza contratto e che a gennaio hanno i requisiti per l'accesso all'Ape, ovvero 63 anni e almeno 20 di contributi versati. Ma la misura è stata annunciata come stabile, una sorta di prestito ponte cui i lavoratori che hanno aderito a un fondo pensione possono accedere per garantirsi un reddito nei due o tre anni di attesa della pensione di base.

Le agevolazioni fiscali 

L'anticipo con Rita sarebbe agevolato fiscalmente, visto che il prelievo sostituivo è del 15% massimo e del 9% minimo (con un decalage dello 0,3% l'anno per ogni anno di adesione al fondo pensione superiore ai 15 anni). Attualmente se un lavoratore chiede un anticipo della rendita ha un prelievo del 23% se la motivazione è diversa da quella per cure sanitarie o il finanziamento dell'abitazione principale (casi in cui la tassazione è al 15%). Mentre se la rendita complementare si prende con la pensione di base la tassazione è quella Irpef e dipende dallo scaglione di reddito di appartenenza. Morale: arriva una flessibilità anche sul secondo pilastro che rende più conveniente, per chi ancora non lo ha fatto, optare per un'adesione a un fondo.

Facciamo un esempio: se un lavoratore ha ancora 10 o 15 anni davanti prima dei requisiti di pensionamento può decidere a questo punto di destinare il suo Tfr a un fondo negoziale sapendo che potrà avere la rendita anticipata su cui contare in caso scegliesse un ritiro anticipato di un paio di anni o tre.

Le altre novità in vista 

In attesa delle conferme di questa Rita stabile in legge di Bilancio, entro i primi di ottobre dovrebbero arrivare altre due novità interessanti per i lavoratori che non hanno mai fatto la scelta di aderire a un fondo complementare. Nel ddl Concorrenza all'esame del Senato ci sono due misure sul tema: 1) la possibilità di accedere in via anticipata alla rendita per i disoccupati di lungo corso (almeno 24 mesi); 2) la facoltà di destinare anche solo una parte del Tfr alla previdenza complementare sulla base di intese collettive.

Se Ape e Rita servono per finanziarsi un ritiro anticipato fino a 3-3,7 anni, le altre misure al vaglio dei tecnici e che verranno presentate in forma definitiva nei prossimi giorni ai sindacati potrebbero garantire uscite flessibili a platee con storie contributive diverse e complesse. Ricordiamole per sommi capi. 

Ricongiunzioni - Attualmente per chi ha versato i contributi previdenziali in più gestioni c'è la possibilità di ricongiungerli in una sola andando in pensione con le regole e il trattamento economico applicate dalla gestione in cui viene fatto confluire tutto. Operazione che però comporta oneri fino a 30-40mila euro per il lavoratore, sulla base di età, reddito e contributi da “spostare”. Il governo sta valutando l'ipotesi di renderla gratuita, sia per il trattamento di vecchiaia che per quello anticipato. Si tratterebbe di un'opzione con caratteristiche simili in parte al cumulo e alla totalizzazione già esistenti.


Precoci - La cancellazione della pensione di anzianità e l'adeguamento dei minimi contributivi e anagrafici introdotti nel 2012 hanno penalizzato i lavoratori precoci, quelli che hanno iniziato l'attività prima di aver raggiunto i 18 anni di età. L'intervento al quale sta lavorando il governo prevede il riconoscimento di un bonus sui contributi di 3 o 4 mesi per ogni anno di lavoro svolto da minorenni. A oggi questi lavoratori possono accedere alla pensione anticipata con regole standard che attualmente richiedono almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne), indipendentemente dall'età.


Usuranti - Il governo, anche attraverso alcune semplificazioni, punta a rendere più facile l'accesso alla pensione per chi svolge attività particolarmente pesanti o lavora di notte (attività complessivamente indicate come “usuranti”). Per essi è possibile andare in pensione con il sistema delle “quote”, cioè la somma di età e contributi (quest'anno la quota dev'essere almeno di 97,6 con una soglia minima di 61 anni e 7 mesi e almeno 35 anni di contributi). I paletti da rispettare sono tali da disincentivare questa soluzione, anche perché a volte si arriva prima alla pensione anticipata “standard”.