sabato 26 maggio 2018

Un commento a caldo su Paolo Savona, candidato Ministro della XVIII legislatura della Repubblica Italiana...



Giuseppe Conte ha ricevuto l'incarico di formare un Governo, di cui potrebbe far parte Paolo Savona come ministro dell'Economia. Il punto di Nicola Berti

di Nicola Berti, 24 mag 2018

Paolo Savona (LaPresse)
Il curriculum di Paolo Savona, candidato ministro dell'Economia nel governo Lega-M5S, è l'esatto contrario di quello di Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze che ballò solo mezza estate nella tragicommedia del 2015 fra la Grecia di Tsipras e l'Europa dei falchi tedeschi. 

Savona ha iniziato a occuparsi di governo dell'economia in Italia e fuori quasi sessant'anni fa nella Banca d'Italia di Guido Carli. 
Nella sua vita di economista e tecnocrate ha fatto tutto o quasi. 
Ha studiato politica monetaria al Mit di Boston con il Nobel Franco Modigliani molto prima che lo facesse Mario Draghi. 
Ha fatto il Direttore generale di Confindustria con lo stesso Carli, "pilota automatico" dell'economia lungo l'intera Prima Repubblica. 

È stato banchiere, Savona: amministratore delegato della Bnl e vicepresidente di Capitalia, presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi. È stato ministro dell'Industria nel governo tecnico e iper-europeista di Carlo Azeglio Ciampi, ma anche capo del dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio sotto il Berlusconi-3. È stato presidente di Impregilo e Aeroporti di Roma, consigliere di Rcs. Fino alle dimissioni di ieri è stato consigliere di Euklid, un fondo d'investimento londinese molto proiettato sull'uso dell'intelligenza artificiale. 

Savona ha conoscenza di cose e persone - anche a livello internazionale - molto superiore a quelle ritrovabili nel governo Renzi o in quello Gentiloni. E forse il "problema-Savona" sta proprio qui: non tanto nel merito di una nota freddezza verso la globalizzazione finanziaria e i Trattati di Maastricht, quanto sull'autorevolezza con la quale sosterrebbe a Bruxelles e Francoforte la nuova dialettica italiana prospettata dalla maggioranza giallo-verde. Dietro e dentro il braccio di ferro sull'economista sardo si scorge qualcosa di poco riducibile alla presunta esigenza di un "appeasement" di facciata con i poteri forti europei. 

Savona, certamente, affronterebbe senza complessi d'inferiorità e senza inutili scrupoli ogni confronto con un presidente della Commissione Ue come Jean-Claude Juncker, capace al massimo di provocazioni mirate verso Roma, come l'ultima di ieri: "La Ue vigilerà sui diritti umani degli profughi africani in Italia". Savona, probabilmente, saprebbe inserirsi nella frattura che si va approfondendo fra Francia e Germania sulla stesso riforma dell'euro. Perché sarà pur vero che l'Italia ha i conti in disordine - ancora ieri Bruxelles lo ha rinfacciato a Roma -, ma certamente una parte del problema (sia sul fronte del Pil che della solidità bancaria) è derivato da una gestione squilibrata dell'eurozona dopo il 2008. 

È stato semmai l'approccio demagogico - se non dilettantesco - seguito in misura crescente da Renzi a confondere due distinti piani di discussione: le richieste "congiunturali" dell'Italia di ottenere flessibilità durante una recessione durissima (ma in campo bancario la richiesta era di semplice applicazione corretta delle regole); e la richiesta strutturale da parte di un Paese fondatore dell'Unione europea per ri-esaminare patti macro-politici strizzati in formule aritmetiche e strumentalmente usati come armi di guerra economica dentro l'Unione.

"Se le creature sono mal fatte, lo saranno le politiche; se si vuole cambiare queste, occorre cambiare le istituzioni. Perciò ben venga la presa di coscienza sulla vulnerabilità della nostra economia legata all'anomalia del rapporto debito pubblico/Pil, ma la speranza è che siano respinte le promesse insulse o pericolose che peggiorano la nostra credibilità internazionale e, di conseguenza, la nostra esposizione agli attacchi speculativi". Paolo Savona lo ha scritto una settimana prima del voto del 4 marzo. E a proposito: l'uomo che soprattutto Salvini vorrebbe a bordo del nuovo governo, già sei ani fa ha proposto un piano taglia-debito (da 130% a 100% sul Pil) basato sulla dismissione flessibile di una parte del patrimonio pubblico non strategico.

Può darsi che Savona non approdi in via XX settembre (può darsi ancora che il governo Lega-M5S non nasca). Ma il "caso Savona" sarebbe già stato utile a sciogliere qualche ulteriore equivoco nel parto difficile della Terza Repubblica.

sabato 5 maggio 2018

La lattuga: utile nell'alimentazione fin dall'antichità



Fresca e digestiva, la lattuga aiuta l'intestino, combatte l'insonnia, tiene al riparo dalle allergie e, grazie alla clorofilla, depura e pulisce il sangue

2 mar 2018



Rinfrescante e digestiva, la lattuga fa parte da poco degli smartfood, i cibi “intelligenti” in grado di proteggere l’organismo e di allungare la vita. 
La lattuga era ben conosciuta già dagli antichi romani, che ne facevano scorpacciate per riprendersi dalle fatiche dei lunghi viaggi; il famoso medico dell’antichità Galeno non andava a dormire senza averne mangiata in abbondanza, poiché affermava che la lattuga gli assicurava sonni tranquilli. Aveva ragione: la scienza moderna ha confermato che il consumo serale di lattuga combatte effettivamente l'insonnia.

Consumala subito per godere di tutti i suoi benefici

Sembra che le qualità di lattuga siano circa 140 tra selvatiche e coltivate. Le più conosciute sono la lattuga riccia, la lattuga romana, il lattughino da taglio, la lattuga rossiccia (la più utile alla salute per la salute, grazie alla presenza delle antocianine che le conferisocno il colore tipico), la mortallina, la lattuga a cappuccio o iceberg. 
Le più amata e diffusa è la cappuccina o trocadero, dall’aspetto globoso, con foglie esterne verdi, mentre quelle interne tendono a essere bianche. 
L’ideale è consumarla fresca in insalata poiché la quantità di clorofilla si riduce con il passare del tempo dal momento del raccolto. Inoltre nell’ortaggio fresco la clorofilla è associata anche ad altre sostanze depurative, antiossidanti e drenanti, come l’acido ascorbico(vitamina C)e i sali minerali come magnesio e potassio.

Favorisce la produzione degli ormoni del benessere

Uno studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston e apparso sul Journal of Nutrition, ha mostrato che preferire un certo tipo di cibi ogni giorno aiuta nel processo contro l’invecchiamento. Uno di questi è proprio la lattuga, un ortaggio ricco di vitamina C e clorofilla che le conferiscono effetti antiossidanti e antianemia
La lattuga vanta poi la presenza di pro-vitamina A che rinforza il sistema immunitario e la vista. 
La vitamina B9 potrebbe favorire la prevenzione di problemi cardiaci e cali di umore, grazie alla capacità di ridurre i livelli di omocisteina nel sangue, un aminoacido che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e che interferisce con la produzione di “ormoni del benessere” (come la serotonina, la dopamina e la noradrenalina) che regolano l’umore.

Ricca di clorofilla, la spazzina del sangue

Le foglie verdi della lattuga sono ricche di clorofilla. Questa ha una funzione fondamentale nel ciclo vitale: utilizza l’anidride carbonica dell’aria che espiriamo (le nostre tossine di scarto) trasformandola in ossigeno. Quest’ultimo è la molecola indispensabile per accelerare e rivitalizzare i nostri processi metabolici cellulari. 
La clorofilla è dunque fondamentale per ripulire il sangue dai radicali liberi.

Addio pancia gonfia grazie alle sue fibre

Le fibre di cui è ricca la lattuga puliscono l’intestino dai depositi dannosi e aiutano il corpo a liberarsi delle tossine che lo avvelenano. 
In più, questo ortaggio contiene inulina, una fibra prebiotica che riduce la produzione di gas intestinale ed è utile in caso di gastrite e colite.

Aiuta a dormire bene, depura in profondità

Dal piede della lattuga appena raccolta fuoriesce una secrezione biancastra detta “lattucario”, dotata di proprietà sedative. Per questo le lattughe sono particolarmente raccomandate per i pasti serali di chi soffre di insonnia o è soggetto a risvegli notturni. 
Inoltre consumare lattuga cinque volte alla settimana potrebbe contribuire a diminuire i livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”) nel sangue. Ciò è dovuto all’azione sinergica delle fibre alimentari, “spazzine” dell’intestino, e della colina, una sostanza che aiuta il fegato a smaltire i grassi dannosi.

Grazie alla quercetina, dà l'alt alle allergie

La quercetina di cui è ricca la lattuga è un antistaminico naturale che aiuta l’organismo a prevenire il rilascio di istamina e di altri composti causa di infiammazioni e allergie. 
La quercetina abbassa la pressione, regola i livelli di colesterolo, migliora l’elasticità dei vasi e la fluidità del sangue. Inoltre, come evidenziato da studi condotti in Giappone, questa molecola attiva la proteina AMPK, collegata ai geni della longevità.

Acquistala in cespi e biologica

Le foglie dell'insalata sono molto permeabili ai trattamenti chimici: i diserbanti, i pesticidi e i fertilizzanti si fermano proprio sulle parti commestibili della pianta. 
Non si tratta di percentuali tossiche, ma sufficienti a esporci al consumo di sostanze insalubri. Ecco perché oggi molti esperti nutrizionisti ritengono che sia preferibile adottare una dieta prevalentemente biologica, la sola che possa proporre prodotti incontaminati da agenti chimici. Se puoi, acquistala sempre in cespi e non nelle buste, poiché il taglio disperde buona parte dei nutrienti, in particolare la vitamina C.




mercoledì 2 maggio 2018

Ciò che resterà della nostra civiltà: una vista prospettica nel remoto passato preistorico...



Un nuovo articolo lancia la provocazione: quali segni dovremmo cercare negli strati geologici per dimostrare l'esistenza di una civiltà altamente industrializzata precedente alla nostra? 
Le risposte partono dalle ipotesi su ciò che questi ultimi 300 anni di uso intenso delle risorse naturali e di distruzione dell'ambiente lasceranno dietro di sé

di Steven Ashley/Scientific American

Una delle conclusioni più inquietanti tratte dagli scienziati che studiano l'Antropocene – l'epoca della storia geologica della Terra in cui le attività dell'umanità dominano il globo – è quanto strettamente il cambiamento climatico indotto attualmente dalle attività industriali assomigli a condizioni osservate in periodi passati di rapido aumento della temperatura.

"Questi 'ipertermali', eventi di picco della temperatura della preistoria, sono la genesi di questa ricerca", dice Gavin Schmidt, esperto di modelli climatici e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. "Non importa se il riscaldamento è stato causato dall'uomo o dalle forze naturali: le impronte digitali, i segnali chimici e le tracce che costituiscono le prove di ciò che è accaduto in quel periodo sono molto simili tra loro”.

Impronta di dinosauro risalente a 130-120 milioni di anni fa, scoperta nel sito di Cornago, La Rioja, Spagna.
Un calcolo approssimativo indica che rimane un segno come questo ogni 10.000 anni (age fotostock / AGF)

L'esempio canonico di ipertermale è il Massimo Termico del Paleocene-Eocene (PETM), un periodo di 200.000 anni, situato temporalmente circa 55,5 milioni di anni fa, in cui le temperature medie globali aumentarono di 5-8 gradi Celsius.

Schmidt ha riflettuto sul PETM per tutta la sua carriera, ed era nei suoi pensieri anche quando un giorno dell'anno scorso l'astrofisico dell'Università di Rochester Adam Frank gli ha fatto visita nel suo ufficio. Frank era lì per discutere l'idea di studiare il riscaldamento globale da una "prospettiva astrobiologica", vale a dire indagare se l'ascesa di una civiltà industriale aliena su un esopianeta avrebbe necessariamente innescato cambiamenti climatici simili a quelli che vediamo durante il nostro Antropocene terrestre.

Ma appena prima che Frank potesse descrivere in che modo cercare gli effetti climatici delle "esociviltà" industriali sui pianeti scoperti di recente, Schmidt lo 
interruppe con una domanda sorprendente: "Come sai che questa è la prima civiltà sul nostro pianeta?”

Frank rifletté un momento, prima di rispondere a sua volta con una domanda: "Potremmo mai dire che è esistita una civiltà industriale molto prima di questa?"

Il loro successivo tentativo di rispondere a entrambe le domande ha prodotto un articolo provocatorio sulla possibilità che la Terra abbia ospitato più di una società tecnologica durante i suoi 4,5 miliardi di anni di storia.

E se davvero una tale cultura fosse sorta sulla Terra nelle oscure profondità del tempo geologico, come farebbero gli scienziati di oggi a individuare i segni di quell'incredibile sviluppo? Oppure, come dice l'articolo: "Se sulla Terra fosse esistita una civiltà industriale molti milioni di anni prima della nostra era, quali tracce sarebbero rimaste? E quali sarebbero rilevabili oggi?"

Schmidt e Frank sono partiti dalla previsione delle impronte geologiche che l'Antropocene probabilmente lascerà dietro di sé, come i segni lasciati sulle rocce sedimentarie dalle temperature altissime e dal sollevamento dei mari.

Queste caratteristiche, hanno sottolineato i due, sono molto simili ai segni geologici del PETM e di altri eventi ipertermali. Hanno quindi considerato quali test potrebbero plausibilmente distinguere una causa industriale da cambiamenti climatici naturali. "Questi problemi non sono mai stati affrontati in alcun modo", osserva Schmidt. E questo vale non solo per gli scienziati, ma evidentemente anche per gli scrittori di fantascienza, aggiunge: "Ho esaminato la letteratura di fantascienza per cercare una storia di una civiltà industriale non umana sulla Terra. La prima che ho trovato è in un episodio di Dottor Who".

I Siluriani, la specie tecnologicamente avanzata che precedette gli esseri umani
immaginata dalla serie televisiva britannica Doctor Who (Cortesia BBC)

Quell'episodio del 1970 della classica serie televisiva riguardava la scoperta dei Siluriani, un'antica razza di umanoidi rettiliani tecnologicamente avanzati che avrebbero preceduto l'avvento degli umani di centinaia di milioni di anni. Secondo la trama, questi sauri altamente civilizzati prosperarono per secoli finché l'atmosfera della Terra entrò in un periodo di cambiamento catastrofico che costrinse Homo reptilia a entrare in letargo sottoterra per scampare al pericolo. Schmidt e Frank hanno reso omaggio all'episodio intitolando il loro articolo: "L'ipotesi siluriana".

Persa negli strati geologici

Qualsiasi plausibilità dell'ipotesi siluriana deriva principalmente dalla vasta incompletezza delle registrazioni geologiche, che diventano sempre più rade più si va indietro nel tempo.

Oggi, meno dell'1 per cento della superficie terrestre è urbanizzata e la possibilità che una qualsiasi delle nostre grandi città rimanga per decine di milioni di anni è estremamente bassa, dice Jan Zalasiewicz, geologo dell'Università di Leicester. Il destino ultimo di una metropoli, osserva, dipende in gran parte dal fatto che la superficie circostante si abbassi (per essere sepolta nella roccia) o si sollevi (per essere erosa via dalla pioggia e dal vento). "New Orleans sta sprofondando; San Francisco si sta sollevando", spiega. Sembra perciò che il quartiere francese abbia molte più possibilità di Haight-Ashbury di entrare nelle registrazioni geologiche.

"Per stimare le probabilità di trovare artefatti", afferma Schmidt, "basta considerare che un calcolo approssimativo indica che emerge un fossile di dinosauro ogni 10.000 anni". Le impronte di dinosauri sono ancora più rare.

"Dopo un paio di milioni di anni", dice Frank, "è probabile che qualsiasi ricordo fisico della nostra civiltà sia svanito, quindi occorre cercare altri elementi, quali anomalie sedimentarie o rapporti isotopici". Le ombre di molte civiltà pre umane, in teoria, potrebbero nascondersi in questi dettagli.

Il distretto di Haight-Ashbury, a San Francisico.
L'area della città californiana si sta sollevando, ed è probabile che lascerà
pochi segni di sé nell'arco di ere geologiche (age fotostock / AGF)

Ma quello che dovremmo cercare esattamente dipende in una certa misura dal modo in cui una cultura tecnologica terrestre, ma aliena, avrebbe scelto di comportarsi.

Schmidt e Frank hanno deciso che l'ipotesi più sicura sarebbe stata che qualsiasi civiltà industriale attuale o di centinaia di milioni di anni fa dovesse essere affamata di energia. Il che significa che qualsiasi antica società industriale avrebbe sviluppato la capacità di sfruttare intensamente i combustibili fossili e altre fonti di energia, proprio come abbiamo fatto noi oggi. "Dovremmo andare alla ricerca di effetti globalizzati che avrebbero lasciato tracce in tutto il mondo", cioè tracce chimico-fisiche su scala planetaria dei processi industriali ad alta intensità energetica e dei loro rifiuti, dice Schmidt.

Segue la questione della longevità: più a lungo persiste e cresce il periodo ad alta intensità di energia di una civiltà, più evidente è la sua presenza nelle registrazione geologica.

Consideriamo la nostra stessa era industriale, che esiste solo da circa 300 anni, su milioni e milioni di anni di storia dell'umanità. Confrontiamo ora quel minuscolo arco temporale con il mezzo miliardo di anni in cui le creature hanno vissuto sulla terra.

L'attuale fase dell'umanità, caratterizzata da un uso smodato di combustibili fossili e dal degrado ambientale, dice Frank, è insostenibile per lunghi periodi. Col tempo finirà, o per scelta degli esseri umani o per la forza della natura, rendendo l'Antropocene meno un'epoca duratura e più un istante nelle registrazioni geologiche. "Forse una civiltà come la nostra c'è stata più volte, ma se ognuna è durata solo 300 anni, nessuno la vedrà mai", dice Frank.

Tenendo conto di tutto questo, ciò che rimane è una gamma di tracce diffusi e di lunga durata compresi i residui di combustione di combustibili fossili (carbonio, principalmente), prove di estinzioni di massa, inquinanti plastici, composti chimici sintetici non presenti in natura e persino isotopi transuranici da fissione nucleare. In altre parole, ciò che avremmo bisogno di cercare nelle registrazioni geologiche sono gli stessi segnali distintivi che gli esseri umani stanno lasciando ora dietro di loro.

Segni di civiltà

Trovare i segni di un ciclo del carbonio alterato sarebbe un grande indizio dei precedenti periodi industriali, afferma Schmidt. "Dalla metà del XVIII secolo, gli esseri umani hanno rilasciato circa 500 miliardi di tonnellate di carbonio fossile a tassi elevati. Tali cambiamenti sono rilevabili nei mutato rapporto isotopico tra carbonio biologico e carbonio inorganico, cioè tra il carbonio incorporato in oggetti come le conchiglie e ciò che si trova invece nella roccia vulcanica senza vita".

Un altro tracciante sarebbe uno specifico schema di deposizione dei sedimenti. I grandi delta costieri indicherebbero un aumento dei livelli di erosione e fiumi (o canali artificiali) ingrossati dall'aumento delle precipitazioni. Tracce rivelatrici di azoto nei sedimenti potrebbero suggerire l'uso diffuso di fertilizzanti, indicando come possibile responsabile l'agricoltura su scala industriale; picchi nei livelli di metalli nei sedimenti potrebbero invece indicare acque reflue di manifatture e altre industrie pesanti.

Tracce più uniche e specifiche sarebbero molecole sintetiche stabili, non naturali come steroidi e molti materiali plastici, insieme a inquinanti ben noti tra cui i PCB, i bifenili policlorurati tossici derivanti da dispositivi elettrici, e i CFC, i clorofluorocarburi che consumano ozono provenienti dai frigoriferi e dalle bambolette spray.

La strategia chiave per distinguere la presenza dell'industria dalla natura, osserva Schmidt, è sviluppare una firma multifattoriale. In mancanza di artefatti o marcatori chiari e convincenti, l'unicità di un evento può essere vista in molte impronte digitali relativamente indipendenti rispetto al coerente insieme di cambiamenti che sono considerati associati a una singola causa geofisica.

"Trovo incredibile che nessuno abbia mai lavorato prima a questo problema, e sono davvero felice che qualcuno abbia dato un'occhiata più da vicino", dice l'astronomo della Pennsylvania State University Jason Wright, che l'anno scorso ha pubblicato un articolo esplorando l'idea poco intuitiva che il miglior posto per trovare le prove di una delle presunte civiltà preumane della Terra potrebbe benissimo essere fuori dal mondo. Se, per esempio, i dinosauri avessero costruito razzi interplanetari, presumibilmente alcuni resti di quell'attività potrebbero rimanere preservati in orbite stabili o sulla superficie di corpi celesti geologicamente più inerti come la Luna.

"200 anni fa, la domanda se ci potesse essere una civiltà su Marte era legittima", dice Wright. "Ma una volta che sono arrivate le immagini dalle sonde interplanetarie, il problema è stato risolto per sempre. E questa idea si è radicata, al punto che questo non è un argomento valido per la ricerca scientifica; è considerato ridicolo. Ma nessuno ha mai posto realmente limiti scientifici su ciò che può essere successo molto tempo fa”.

Wright riconosce anche la possibilità che questo lavoro possa essere male interpretato. "Certamente, qualunque cosa dica, sarà interpretato come ‘Gli astronomi dicono che i Siluriani potrebbero essere esistiti", anche se la premessa di questo lavoro è che non ci sono prove del genere", dice. "Ancora una volta, l'assenza di prova non è prova di assenza".


(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 23 aprile 2018
Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)



martedì 1 maggio 2018

Un nuovo organo umano: l'interstizio...





Scienziati americani scoprono un nuovo organo. 

E’ il più grande del corpo umano e probabilmente è alla base dell’efficacia dell’agopuntura

di Stefania Del Principe, 28 mar 2018

Le scoperte della scienza non finiscono mai di stupirci. 
Questa volta, in maniera quasi inaspettata, alcuni ricercatori sono riusciti a scoprire un organo completamente nuovo, del quale – fino a ieri – nessuno conosceva l’esistenza. 
E ciò che fa più sorridere è che non è affatto piccolo, anzi, è il più grande del corpo umano. 
Tutto ciò rappresenta una vera e propria rivoluzione nell’anatomia moderna. Ecco cos’è e dove si trova secondo i ricercatori dell'Università di New York e dal Mount Sinai Beth Israel Medical Centre.


E’ ovunque
Il nuovo organo è stato ribattezzato con il nome di interstizio. Ma non lo dobbiamo immaginare come tutti gli altri, confinato in una zona specifica del corpo e con una dimensione ben determinata. 
L’interstizio, in realtà, è diffuso in ogni angolo del nostro organismo: sotto la pelle, nei tessuti che rivestono i polmoni, l’apparato digerente, i vasi sanguini e i muscoli.

Alla base dell’agopuntura?
Questo bizzarro organo è formato da particolari cavità – connessa una con l’altra – e piene di liquido. Tali cavità, tuttavia, prendono forma grazie alla presenza di elastina e collagene. 
La sua presenza potrebbe finalmente fornire una risposta a molte delle domande della moderna scienza: perché la pelle invecchia? Come fanno a diffondersi tumori e malattie degenerative? Ma, soprattutto, come è possibile che l’agopuntura funzioni?

Dov’è il tessuto connettivo?
Il motivo per cui è rimasto nell’ombra fino ai giorni nostri, nonostante le numerose ricerche scientifiche, è che parte di quest’organo era stato etichettato come tessuto connettivo. 
In realtà i metodi tradizionali che utilizzavamo per studiarlo – come l’esame al microscopio – non ci consentivano di vederlo come, in realtà, è davvero. Si pensava, infatti, che potesse trattarsi di un semplice tessuto denso e compatto.

Endomicroscopia confocale laser
Per fortuna, oggi la scienza ha a disposizione anche tecniche e strumentazioni innovative come la endomicroscopia confocale laser (CLE). 
Si tratta di un nuovissimo prodotto nato allo scopo di visualizzare le immagini della mucosa gastrointestinale in tempo reale e ad alta magnificazione. Attraverso questo, si possono vedere i tessuti vivi direttamente dentro il corpo, senza dover fare prima un prelievo.

Sorpresa!
Generalmente alcuni medici utilizzano la CLE nei pazienti malati di tumore, qualora debbano essere sottoposti a chirurgia per rimuovere o il pancreas o il dotto biliare. 
E proprio grazie a quest’utilizzo è stato possibile osservare la presenza di un organo sconosciuto: l’interstizio. Una volta compreso che nel nostro organismo c’era qualcosa di «anomalo», gli studi sono proseguiti anche in altre zone del corpo. E da lì gli scienziati si sono trovati di fronte a una vera e propria sorpresa.

Un organo complesso
La reale struttura dell’interstizio è stata evidenziata successivamente (quasi) in ogni angolo del corpo sottoposta a movimenti e pressioni. Forse è proprio la sua incredibile complessità di funzionamento ed estensione che gli ha permesso di essere promosso a organo.
«Questa scoperta ha il potenziale per determinare grandi progressi in medicina, inclusa la possibilità di usare il campionamento del fluido interstiziale come potente strumento diagnostico», ha dichiarato Neil Theise, docente di patologia all'Università di New York.

Tumori e interstizio
A detta dei ricercatori, il fluido contenuto all’interno dell’interstizio – e il relativo movimento – potrebbe spiegare perché i tumori si diffondono così velocemente quando invadono tale organo. 
Pare infatti che esso sia in qualche modo drenato dal sistema linfatico e, più probabilmente, la sorgente da cui nasce la linfa vitale per il funzionamento delle cellule immunitarie che generano l’infiammazione.

Cambiano con il passare degli anni
Le cellule che vivono nell’interstizio mutano con il passare degli anni e, probabilmente, contribuiscono alla comparsa di rughe, di malattie infiammatorie, all’irrigidimento delle articolazioni e ai fenomeni di sclerosi e fibrosi. In due parole, tutto ciò che è legato al processo di invecchiamento.

E l’agopuntura cosa centra?
Un’altra ipotesi è correlata all’agopuntura. 
Una scienza antichissima utilizzata con successo persino ai giorni nostri, mai compresa appieno dai ricercatori moderni. Tuttavia, la presenza di un reticolato di proteine che sostiene l’interstizio, potrebbe essere in grado di generare correnti elettriche durante il loro ripiegamento. Forse è questo – ipotizzano gli scienziati – il meccanismo che sta dietro all’efficacia di questa tecnica millenaria. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.



Stress e clima: l'influsso stagionale...



Il cortisolo varia non solo nel corso della giornata e in funzione del nostro umore, ma segue anche un andamento stagionale e tende ad aumentare nei mesi più caldi

di Irma D'Aria, 27 apr 2018

Le giornate più lunghe, il sole e l’aria più calda invitano al buonumore eppure a volte ci sentiamo più nervosi del solito. 
Colpa del cortisolo che tende ad aumentare proprio quando arriva il caldo. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università di Scienze Mediche di Poznan, in Polonia, che hanno classificato l’estate come la stagione più stressante. E non solo perchè il caldo può essere molto fastidioso, ma per colpa degli ormoni. 

Lo studio, che è stato appena presentato a San Diego nel corso del meeting annuale dell’American Physiological Society (APS) ha, infatti, dimostrato che l’estate, e non l’inverno, è la stagione durante la quale è più probabile che ci siano livelli più alti nel sangue di ormoni dello stress.

IL CORTISOLO E LE SUE FLUTTUAZIONI

Questo risultato contraddice l’idea che l’inverno, con le sue temperature rigide, sia più pesante da sopportare per l’organismo mentre l’estate è più gradita. 
Il cortisolo, spesso definito come "l'ormone dello stress" perché viene rilasciato nel flusso sanguigno durante situazioni stressanti, aiuta a regolare i livelli corporei di zucchero, sale e liquidi. Questo ormone aiuta anche a ridurre l'infiammazione ed è essenziale per il mantenimento della salute in generale. 
I livelli di cortisolo sono generalmente più alti al mattino e diminuiscono gradualmente durante il giorno ed in particolare la sera per mantenere il giusto ritmo del sonno. 
Malattia, mancanza di sonno e alcuni farmaci possono influenzare i livelli di cortisolo più delle normali fluttuazioni giornaliere.

LA RICERCA

I ricercatori dell'Università di Scienze Mediche di Poznan, però, hanno scoperto ora che i livelli di cortisolo variano anche in base alle stagioni. 
I ricercatori hanno studiato un gruppo di studentesse di medicina in due giorni separati in inverno e per due giorni di nuovo in estate. Hanno prelevato campioni di saliva ogni due ore durante ciascun periodo di test - un ciclo completo di 24 ore - per misurare i livelli di cortisolo e i marcatori di infiammazione. 
Le volontarie hanno anche completato un questionario sullo stile di vita, sulle loro abitudini di sonno, sul tipo di dieta che hanno seguito e i livelli di attività fisica. Al termine, i ricercatori hanno rilevato che i livelli di cortisolo sono stati più alti quando i test sono stati eseguiti in estate. 
I livelli di infiammazione, invece, non sono cambiati significativamente tra le stagioni.