lunedì 2 febbraio 2015

Sulla terminologia del femminicidio

Dal Blog di Lameduck [Barbara Tampieri]

Sesso e possesso


6 mag 2012


Stamattina leggevo questo appello per l'adozione di un codice etico per la stampa che deve riportare i casi di "femminicidio". Al di là della definizione di "femminicidio" che non mi convince affatto:
"Femminicidio è quel tipo di violenza con la quale viene colpita una donna per il solo fatto di essere donna; si tratta di violenza sessuata, fisica, psicologica, economica, normativa, sociale e religiosa, che impedisce alla donna di esercitare appieno i diritti umani di libertà, integrità fisica e morale." 
rimango perplessa anche sui punti di questo codice. Ne riporto qui solo due, invitandovi comunque alla lettura completa dell'articolo.
1. I giornalisti e le giornaliste devono mettere in evidenza la motivazione di genere (svalorizzazione simbolica, discriminazione economica e sociale) come causa profonda della violenza contro le donne. Essi devono fare buon uso delle informazioni di casi studio e statistiche disponibili, sia quando segnalano casi di violenza contro le donne sia quando danno notizia di casi di sfruttamento sessuale e della prostituzione, collocando le notizie in un contesto più ampio che riveli la motivazione di diseguaglianza a cui sono sottoposte le donne che ne soffrono e tutte le vittime che sono femminilizzate (discriminate come se fossero donne – ad esempio omosessuali, transessuali).
4. I giornalisti e le giornaliste devono in ogni modo evitare di usare l’equazione “odio uguale amore” e mai utilizzare frasi che possano giustificare in qualche maniera simbolicamente la violenza come gesto sconsiderato o addirittura “folle” e quindi non del tutto legato alla responsabilità individuale. Da evitare in senso assoluto anche il presentare la violenza sessuale, domestica, e il femminicidio come amore passionale incontrollato con frasi dal vago sapore romanzato e romantico (follia d’amore, pazzia d’amore, amore e sangue) – La violenza e l’omicidio sono i più gravi crimini che si possono compiere contro un altro essere umano donna o uomo.
Ciò che mi spaventa di questo codice presunto etico, oltre alla sua ignoranza della psicologia e psicopatologia umane, è il suo voler ridurre un fenomeno complesso ad un semplice fatto di definizione, il suo voler inquadrare l'omicidio delle donne in uno schema di ortodossia politica dove bisogna usare le chiavi di lettura approvate dal comitato centrale.
Per dare la "libertà alle donne" infatti, se non ho capito male, bisogna limitare la libertà di espressione, imbavagliando la stampa o costringendola a scrivere secondo l'ortodossia del politically correct. Qualcosa di sempre mostruoso. Perché oltretutto, secondo questo pensiero magico, il definire il femminicidio in maniera ortodossa da parte dei giornali contribuirebbe addirittura a limitarlo.
Occorre inoltre, secondo il codice, cancellare per decreto l'intera gamma delle passioni umane che comprendono, mi dispiace per le madri costituzionaliste, anche l'odio; rendere queste passioni irrilevanti e punire un reato per se, senza prendersi la briga di indagarne le motivazioni. Un abominio giuridico.
Si dovrebbe negare, pur parlando di esseri umani, l'esistenza di relazioni affettive problematiche tra individui - e spiego alle leguleie che il termine affettività include anche sentimenti negativi come il possesso, l'invidia, la gelosia; negare la valenza patogena di tali relazioni per ridurre tutto ad un fatto politico, di principio.
La libertà delle donne, infine, passerebbe attraverso la loro definitiva separazione dall'uomo, deresponsabilizzazione e clausura in un recinto di protezionismo a tutti i costi dove, ovviamente, le donne non possono essere mai a loro volta colpevoli perché se no crolla tutta la baracca abusiva già pericolante.
Quando chiesi tempo fa ad alcune femministe se riuscissero ad inquadrare nel concetto di "femminicidio" il delitto di Sarah Scazzi, ovverosia un delitto maturato in un contesto familiare dove le donne sono la parte dominante e  tutta una serie di sentimenti ad alto tasso di estrogeni aveva provocato la morte di una ragazzina, non ho mai avuto risposta. 
Non ho avuto risposta perché un "femminicidio" probabilmente commesso da altre femmine in concorso è, a quanto pare, qualcosa che non rientra nello schema del "femminicidio" come "delitto di genere" dove la donna viene uccisa "solo in quanto donna"  e da un uomo che agisce non in quanto assassino ma in quanto uomo. Questo almeno è il concetto che si vorrebbe incidere nella pietra, chiudendo ogni ulteriore discussione su quella che è una piaga della società e che richiede quindi un approccio sociologico un tantino più approfondito.
Dispiace che un movimento potente ed importante come quello femminista si sia fatto alla fine intrappolare nell'atteggiamento piagnone e nel modus operandi tipico delle minoranze prepotenti, quelle che se sbagli le parole quando parli di loro o fai notare i loro difetti, sei un  bestemmiatore da schiacciare. In questo caso sarei, credo, una donna che odia sé stessa.
Se la morte di una donna viene ridotta sempre ad un fatto binario uomo-donna, ad un atto di guerra tra i sessi, avulso dalle sue motivazioni macrosociali insomma, si otterrà una dichiarazione di belligeranza continua uomo vs. donna che, basandosi su questioni di ortodossia, difficilmente potrà mai arrivare al ristabilimento della pace. Insomma una situazione tipo Coloni vs. Palestinesi dove i coloni, in questo frangente, non sono sempre e prevedibilmente gli uomini.
E' una politica che crea divisione tra i soggetti che, uniti, potrebbero fare molto male al sistema e quindi il potere ha interesse che restino divisi da qualcosa di infinito come la guerra trentennale al terrorismo oppure, in questo caso, la guerra dei generi. Divide et impera. Strano che le ragazze non se ne siano ancora accorte.
Considero quindi i termini "femminicidio" e "delitto di genere"  forzature ideologiche che nascondono il vero cuore del problema della violenza in aumento non solo sulle donne ma sui bambini, sugli omosessuali - che non vengono colpiti in quanto femminilizzati (che sciocchezza) ma in quanto omosessuali - sui diversi per razza e religione, su tutti quelli che portavano un triangolo colorato nei lager, sui poveri e soprattutto sui lavoratori. Le vittime di "lavoratoricidio" dall'inizio dell'anno sono già 170, per inciso. 

In Argentina hanno di recente  inserito nel codice penale un'aggravante per i delitti commessi da persone che erano legate alla vittima da vincoli di parentela o sentimentali. Mi pare giusto e ragionevole. Nello stesso decreto è stata inserita una definizione di "violenza di genere" che è più discutibile perché ideologica e compiacente verso il femminismo politico ma comunque l'impianto complessivo del provvedimento sottolinea correttamente il focus che dovrebbe essere studiato al fine di comprendere il fenomeno dell'aumento delle morti violente a danno delle donne: si uccide perché si considera la vittima una PROPRIETA'. Il senso di possesso tra amanti, tra coniugi, tra famigliari, tra dipendente e datore di lavoro, perfino tra amici. E' quello stesso senso di possesso e di potere di vita e di morte sui deboli che ha fondato per secoli l'istituzione famigliare. In quel caso erano i figli ad essere vittime di "bambinicidio". I figli li si poteva violentare in ogni modo, fisicamente e psicologicamente, da parte delle madri e dei padri, e perfino ucciderli.  Quel "t'ho fatto, ti disfo" che quelli della mia età ancora si sono sentiti dire tante volte da mamme esasperate alle quali si era improvvisamente sturato l'inconscio. 

Nessuno nega che vi sia un allarme violenza. L'aumento statistico delle morti femminili - che sono solo la punta dell'iceberg di violenze e soprusi quotidiani più nascosti - ha però più probabilmente una motivazione sociologica che di genere e potrebbe non essere affatto legata ad una presunta e congenita malvagità maschile ma essere correlata direttamente ad un disagio esistenziale più generale.
Azzardo che, in tempi di incertezza su ciò che è veramente nostro e di nostra proprietà, visto che siamo costantemente depredati del lavoro, della capacità di sostentarci e infine della libertà, seppure in modo molto subdolo, il disporre della vita di qualcuno che riteniamo una cosa di nostra proprietà dando ad esso la morte, potrebbe essere una reazione patologica, un modo per alleviare la frustrazione di chi ha paura un domani di non essere più possessore di nulla. Gli uomini potrebbero essere maggiormente sensibili a questa frustrazione, essendo stati per secoli indiscussi proprietari dei membri delle loro famiglie e non solo, anche di schiavi, lavoratori e altri sottomessi.
L'emancipazione femminile ha contribuito a mettere in discussione questo principio di predominio maschile nella proprietà degli altri esseri umani - diversi per razza o sesso - andando a scardinare le fondamenta dell'istituzione familiare e delle relazioni interpersonali e per qualche anno si è pensato di aver rifondato la società in modo più giusto, suddividendo i compiti e le responsabilità tra maschi e femmine, anche nel mondo del lavoro.
L'ultraviolenza del capitalismo neoliberista che ha reintrodotto lo schiavismo come modo di produzione, l'utilizzo dello shock and awe come arma psicologica di dominio sulle masse e le ricorrenti crisi economiche che minano le ultime certezze dell'individuo, gettandolo nella disperazione, nell'angoscia da retrocessione sociale e nel nichilismo, sono in grado di cancellare decenni di conquiste e di provocare questo aumento di violenza, di cui le donne sono ormai troppo spesso le vittime d'elezione. La macelleria femminile è solo un reparto della macelleria sociale globale, insomma.

Non occorre quindi misurare le parole con il nonio ai giornalisti per paura di offendere le donne. Non dobbiamo farci condizionare dalle trappole ideologiche che oggi sono solo strumenti di distrazione di massa dal cuore del problema: viviamo in tempiprerivoluzionari e occorre svegliarci per agire. Occorre smetterla con la guerra di genere, avere la forza di urlare, uomini e donne assieme, che la società che provoca la violenza che ci fa ammazzare tra di noi e questa crescente insostenibile diseguaglianza che ci fa regredire culturalmente e socialmente al medioevo, noi non la accetteremo più. 

Interpretare un'opera d'arte con un video d'arte



di Stefano Biolchini
10 giu 2014

«La storia mentale sottintesa al dipinto è in chi lo guarda, o meglio in chi lo legge, cioè sono gli spettatori che fanno il dipinto». Parola di Marcel Duchamp. 

Si iscrive idealmente in questo solco una iniziativa lanciata da Intesa Sanpaolo, Curator for a Day, tesa a coinvolgere fette di pubblico sempre più ampie nel processo di diffusione della cultura museale, mirando alla attiva partecipazione dei giovani. 
Come? 
In pratica il pubblico può selezionare una delle opere visualizzate in una gallery sul sito internet www.curatorforaday.it e proporne una interpretazione personale utilizzando diversi mezzi espressivi (musica, danza, recitazione, arti figurative, performance). 

Il tutto deve però essere tradotto in un video. Gli esempi cinematografici - dal Pasolini della Ricotta "Rosso Pontormo" a La ragazza con l'orecchino di perla di Peter Webber - non mancano certo. E dunque largo alla creatività dei più giovani!

Tornando ai partecipanti racconteranno la propria idea di interpretazione attraverso dei video e le migliori idee verranno selezionate da una giuria e realizzate come performance presso la sede di Gallerie a cui appartiene l'opera scelta (Milano, Napoli, Vicenza) e successivamente diffuse in forma di video sulle piattaforme digitali di Intesa Sanpaolo e Gallerie d'Italia.

Per il lancio dell'iniziativa sono stati realizzati due video di esempio per i partecipanti che hanno come protagonisti l'attore Massimo Popolizio del Piccolo Teatro di Milano (interprete magistrale di alcune opere di Canova nelle collezioni milanesi) e il primo ballerino della Scala Claudio Coviello (che ha danzato che "sulle note" di "Vedeteci quel che vi pare" di Enrico Baj (1951) .

Parallelamente a Curator for a Day, Intesa Sanpaolo ha annunciato che è attiva da oggi sulla street view di Google la visita virtuale alle Gallerie d'Italia Piazza Scala - unico caso in Italia insieme ai Musei Capitolini – che verrà estesa alle Gallerie di Napoli e di Vicenza entro la fine dell'anno.

Il sito ufficiale delle Gallerie d'Italia (www.gallerieditalia.com) è stato inaugurato in occasione dell'apertura delle Gallerie d'Italia di Piazza Scala a fine 2011.