sabato 31 maggio 2014

L'indecoroso buffet sulla terrazza del Vaticano nel giorno dei due Papi Santi

Vaticano, festa con i vip per i Papi santi
L'ira di Bergoglio: "Chi ha pagato?"

Il pontefice pretende chiarimenti sul buffet organizzato sulla terrazza della prefettura per la canonizzazione di Wojtyla e Roncalli

28 apr 2014

"Chi ha pagato quel buffet?". Papa Francesco, il pontefice che ha riportato al centro della Chiesa povertà e sobrietà, non ha alcuna intenzione di chiudere un occhio sulla festa vip organizzata sul terrazzo della prefettura degli Affari economici del Vaticano in occasione della canonizzazione di Wojtyla e Roncalli del 27 aprile. Bergoglio chiede chiarimenti: sul banco degli imputati Francesca Immacolata Chaouqui.



Sarebbe stata lei, membro della discussa commissione economica per la revisione economica, a organizzare il party. 

Il suo nome sarebbe stato fatto dal presidente della prefettura stessa, il cardinale Giuseppe Versaldi che, respingendo qualsiasi responsabilità, ha svelato la delusione di Bergoglio: "Papa Francesco non è rimasto contento, per usare un eufemismo". 

La Chaouqui, tuttavia, smentisce a sua volta di essere l'organizzatrice dell'evento che ha così fatto arrabbiare il pontefice. "Non ho chiamato nessuna azienda, non ho gestito nè parterre nè inviti. Ha organizzato tutto la Prefettura", ha dichiarato al settimanale l'Espresso, che pubblica alcune missive. 

E su Twitter si difende con una serie di post: "Oggi sono in tutte le edicole. Con le solite bugie. Sorrido e aspetto. Vediamo quando passerà". E ancora: "Io avanti per la mia strada al fianco di @Pontifex_it" (il profilo Twitter del Papa, ndr). "Guerra santa contro il buffet dei vip 18mila euro per sedie e panini". 

Di certo, a quel party, lei c'era. Tanto che, proprio quel giorno, ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto: "Io non ho invitato nessuno, ho accolto chi mi ha chiesto di assistere alla cerimonia", si legge in uno dei commenti al post. 

Gli invitati - Sulla terrazza della prefettura, con la Chaouqui, c'erano tante persone, tra cui molti vip. Tra gli altri, l'imprenditore vicino al premier Renzi, Marco Carrai, il presidente dello Ior, Ernst Von Freyberg, il responsabile delle relazioni esterne di Eni, Leonardo Bellodi, Bruno Vespa, Maria Latella, Antonio Preziosi e altri ancora. 

Coinvolti degli sponsor? - Papa Francesco vuole sapere tutto di quella festa. Chi ha organizzato e, soprattutto, chi ha pagato. Il cardinal Versaldi ha così contattato diverse aziende: "Egregio, Le sarei grato se potesse darmi qualche riscontro sia circa le persone eventualmente presentatesi a lei sia circa l'importo richiesto e a quale scopo specifico. Come Lei può intendere, si tratta di un fatto grave in cui la Prefettura da me presieduta è stata coinvolta a sua insaputa e in cui l'immagine della Santa Sede risulta compromessa". 

Si parla di un contributo parecchio oneroso, fino a 18mila euro. E di inviti con tanto di stemma del Vaticano contraffatto. Un "giallo" che, secondo alcune fonti, avrebbe così deluso Papa Francesco da portarlo alle lacrime.











Il linguaggio "volgare" nei comizi: un male dei politici italiani, da sempre.

Ai comizi vince l'insulto Ma con Togliatti era peggio

di , 24 mag 2014

Le critiche sdegnose che da molte parti sono state rivolte a questa campagna elettorale mi sembrano sorprendenti. 
Non perché io ritenga ingiusto definire volgare il linguaggio di molti comizianti, indecente il turpiloquio di alcuni, insopportabile la ripetitività di tutti. Ma perché in tutte le elezioni italiane e in tutti i momenti di tensione della vita politica abbiamo assistito a sceneggiate che quando andava bene erano di questo tipo, e quando andava male erano peggio. 

Gli eccessi attuali sono truculenti ma non seri. Manca alla situazione d'oggi - nonostante la sua gravità economica - il sottofondo di dramma e anche di tragedia che caratterizzò altre chiamate alle urne. Beppe Grillo è il tonitruante annunciatore di un'apocalisse prossima ventura, e io - pur impressionato o piuttosto angosciato dai consensi che raccoglie - non riesco a prenderlo sul serio. È sangue da fiction televisiva quello di cui vedo impregnato il verbo grillesco. Un eccellente copione che, apprezzabile in scena, costretto a misurarsi con la realtà diventa, secondo me, chiassoso e falso. Magari le urne mi smentiranno. Ma l'opinione è mia e non la ripudio.

Un po' di tempo addietro -1948 - gli italiani dovettero scegliere il loro futuro. O con l'Occidente o con l'impero di Mosca. C'era paura, soprattutto nei palazzi e nelle anticamere romane. Molti moderati temevano che i cavalli dei cosacchi si abbeverassero alle fontane di piazza San Pietro. La nomenklatura del Pci, abituata a ragionare in termini di censura e di galera e propensa ad attribuire agli avversari i suoi stessi metodi, prendeva precauzioni. Ha scritto Miriam Mafai, allora militante comunista senza dubbi: «Appartamenti, ville e casali vengono acquistati, altri vengono affittati per conto del partito da prestanome assolutamente insospettabili. Di tutti questi appartamenti Nino Seniga (che un giorno s'involerà con la cassa del partito, ndr) ha una pianta dettagliata. Ed è lui,con altri compagni della Vigilanza, a decidere dove dovranno rifugiarsi i capi nei giorni del pericolo». Cautele adesso impensabili. Anche perché i possibili rifugi sono stranoti. 

Gli insulti si sprecano oggi, ma le parole di solito volano via. Non è stato sempre così. Il 13 luglio 1948 Carlo Andreoni, battagliero direttore del quotidiano socialdemocratico L'Umanità, così scrisse dopo un accenno di Togliatti a una possibile esplosione rivoluzionaria: «Dinnanzi a queste prospettive ed alla iattanza con la quale il russo Togliatti parla di rivolta, ci limitiamo ad esprimere l'augurio, la certezza che il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l'energia, la decisione sufficienti per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non solo metaforicamente». Poche ore dopo la pubblicazione di questo articolo truculento, Antonio Pallante sparò al leader comunista ferendolo gravemente. E Andreoni fu bollato come istigatore all'omicidio.

Altri tempi. Più inquietanti degli attuali. Dopo i truci accenti del comunismo e dell'anticomunismo d'antan, la melassa democristiana aveva assopito l'Italia, la guerra fredda si intiepidiva, si sperò in un'era tollerante. Fino a quando imperversarono gli anni di piombo, con la loro catena di morti. Poi la P2 offrì con Licio Gelli materiale inedito alla polemica e alla satira. Infine arrivò Berlusconi: personaggio inimitabile e provvidenziale del quale s'impadronirono sia i professionisti schifiltosetti del moralismo salottiero, sia i professionisti bramosi di sangue del moralismo cavernicolo. Presero in consegna il Cavaliere fin dal suo esordio in politica, era «re fustino»,«ragazzo coccodè», «profeta di un peronismo elettronico», «uomo di plastica». È curioso notare quante di queste battute s'adatterebbero alla perfezione al profeta urlante dei teleschermi di oggi.

Non c'è nulla da rimpiangere nella battaglia partitica cui abbiamo assistito e nemmeno nulla da esecrare. Ha rispettato le antiche regole del nulla enfatico, portato a livello di sublime perfezione dal giullare Grillo. Per favore un applauso, mentre cala il tendone.

sabato 24 maggio 2014

Le valutazioni delle agenzie di rating: sono politiche?

Mossa elettorale di S&P-Fitch: promosso chi si piega all'Ue

Le due agenzie alzano il rating di Grecia e Spagna anche se nei due Paesi non c'è ombra di ripresa. E la decisione sembra fatta apposta per frenare la corsa dei partiti euroscettici

A una manciata di ore dalle elezioni europee, Standard&Poor's e Fitch emettono suoni vellutati nei confronti di Grecia e Spagna, non più appartenenti alla razza inferiore dei Pigs (l'acronimo dispregiativo che marchia i Paesi del Club Med con i conti fuori controllo), ma bravi alunni che stanno facendo i compiti assegnati. Ciò vale quindi una promozione: S&P ha migliorato ieri il voto di Madrid da BBB- a BBB (lo stesso livello dell'Italia) in virtù delle riforme strutturali realizzate, mentre la consorella americana ha alzato la valutazione di Atene da B- a B grazie all'avanzo primario 2013.

Se a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, allora qualche sospettuccio sul timing scelto dalla coppia è lecito averlo. I precedenti, del resto, non depongono a favore delle Signore del rating sovrano, spesso vere e proprie bombe a orologeria pronte a detonare alla bisogna. 
L'Italia ne sa qualcosa. 

Furono proprio S&P e Fitch a mettere in dubbio, tra il maggio 2011 e il gennaio 2012, sia l'affidabilità creditizia del nostro Paese, sia l'azione di risanamento intrapresa contribuendo all'impazzimento dello spread. Fitch minacciò più volte di declassarci, S&P passò direttamente ai fatti tagliando di ben due gradini (da A a BBB+) il rating tricolore. Fatti, peraltro, che saranno al centro di un processo a Trani.

Insomma: riesce difficile non trovare qualche corrispondenza tra l'upgrade di Grecia e Spagna e l'ormai imminente appuntamento con le urne. Sui mercati come a Bruxelles, in molte cancellerie europee fino ad alcuni organismi internazionali, serpeggia la paura di un'affermazione dei partiti no-euro o, comunque, di quelli che intendono rottamare le politiche di austerity. Così da riportare l'economia sul sentiero di una crescita che deve, necessariamente, passare da un rilancio degli investimenti e dell'occupazione. Bene. Le agenzie di rating sono da sempre in prima fila quando c'è da sostenere la filosofia del rigore. 
Costi quel che costi. 
Recessione? Passerà: basta far le riforme, e i risultati arriveranno. Troppa gente a spasso? Un tributo inevitabile al consolidamento dei conti pubblici. Il messaggio subliminale (ma neanche tanto) lanciato a greci e spagnoli sembra questo: «Attenti a chi votate: il vostro governo si è comportato bene, e ora lo abbiamo premiato. Se abbandonate questa strada, chissà...». D'altra parte, dopo ben tre anni, Moody's ha di recente assegnato all'Italia un outlook favorevole, non senza aver prima ricordato che «le possibilità che un partito politico guadagni il potere sulla base di una piattaforma che preveda un'uscita dall'euro rimangono non trascurabili».

Riflessioni sulle nuove Grandi Stazioni ferroviarie: grandi sprechi?

Quelle stazioni lastricate d’oro


Firenze, Bologna, Tiburtina e le altre: progetti di archistar con costi stellari e poca funzionalità

di Marco Ponti (docente di economia dei trasporti al Politecnico di Milano), 21 mag 2014
tratto da un articolo de LaVoce del 16 mag 2014

In un viaggio da nord a sud Italia si incontrano diverse nuove stazioni ferroviarie. Sono spesso progettate da archistar, ma la loro funzionalità e utilità suscitano più di un dubbio. Mentre mancano del tutto controlli e sanzioni per eventuali costi impropri. 
Cosa farà l’Autorità dei trasporti?

Il fenomeno noto in linguaggio regolatorio come gold plating ha origini nella prima esperienza americana di regolazione economica dei monopoli naturali negli anni Trenta: quel regolatore aveva posto limiti al saggio di interesse sul capitale investito tramite il controllo delle tariffe (rate of return regulation), si era generato così un ovvio incentivo a investimenti inutili, o inutilmente costosi, visto che il dispositivo ne garantiva la remunerazione. Da qui il nome.
Ma ovviamente l’incentivo a un uso inefficiente delle risorse si genera anche nel caso di finanziamenti pubblici per investimenti fatti sostanzialmente “in solido”, situazione che si verifica in Italia per le Ferrovie dello Stato. Non sembra infatti che sia in atto alcun controllo “terzo” ex-ante, né alcuna sanzione ex-post per costi impropri delle opere, se non forse per un’unica audizione parlamentare sui costi straordinariamente elevati delle infrastrutture per l’alta velocità, conclusa con la molto generica costatazione della “eccezionalità del caso italiano” rispetto agli altri Paesi europei.
Ora, che il problema abbia dimensioni potenzialmente estese risulta anche da una semplice osservazione sulle stazioni Fs più recenti, fatta in termini intuitivi, mancando ogni contabilità accessibile sui costi e i ricavi aggiuntivi che quelle opere generano (una contabilità che qualsiasi privato terrebbe con estrema cura). Che poi motivazioni artistiche o “mecenatistiche” possano giustificare spesa pubblica a fondo perduto non sembra un argomento molto convincente, data l’autoreferenzialità della situazione e la totale assenza di verifiche contabili: per esempio, quanta spesa in più di quella necessaria viene giustificata con motivazioni artistiche? E d’altra parte anche l’esperienza diretta in valutazioni di questo tipo fatte all’estero da chi scrive conferma la fattibilità e l’opportunità dell’analisi per gli investimenti pubblici. (1)
Anche perché le società “Grandi Stazioni” e “Centostazioni” hanno obiettivi unicamente legati alla massimizzazione dei ricavi, non alla remunerazione delle risorse pubbliche impiegate.
Il primo caso che prendiamo in considerazione è la Stazione Centrale di Milano, rifatta integralmente con materiali pregiati e un sistema di rampe molto impegnativo e complesso. Ora accedere ai binari dalla metropolitana è molto meno diretto di prima, e questo grave disagio (si pensi a persone in ritardo e con bagagli) è chiaramente pensato in modo da “costringere” i viaggiatori a percorrere vaste aree commerciali. Potremmo classificare questo caso come “discutibile induzione alla spesa”. È un modo sensato e accettabile di spendere i denari pubblici, anche nell’ipotetico ma improbabile caso che i ricavi aggiuntivi ripagassero l’investimento pubblico con un ritorno accettabile?
stazioni
(Stazione Centrale di Milano. Vittorio Zunino Celotto/GettyImages)
Proseguendo verso sud, incontriamo la stazione di Reggio Emilia (Stazione Av Mediopadanandr), progettata dall’archistar Santiago Calatrava e da alcuni maligni denominata lo “scheletro di dinosauro”. Al di là di soggettive valutazioni estetiche, era necessario convocare una celebrità (con i del tutto probabili costi relativi) per una stazione che in realtà è una semplice fermata in un’area in aperta campagna, dove sostano pochi treni al giorno? Qualche dubbio è legittimo. Potremmo classificare questa categoria come “discutibile pregio architettonico”.
stazioni
(Stazione AV Firenze Belfiore: foto del plastico/RFI)
Ora, la nuova stazione di Bologna ha senza dubbio un ruolo importante, ma si dispiega su una profondità di circa cinque piani interrati, con un volume interno straordinario (ricorda una cattedrale). I tempi e le complessità logistiche da superare per risalire dal livello dell’alta velocità alla superficie e ai treni locali sono altrettanto straordinari, e suscitano forti perplessità sulla razionalità dei costi di una soluzione così scarsamente funzionale per le coincidenze, una delle massime esigenze delle stazioni di interscambio.
stazioni
(Stazione Bologna Centrale: rendering interno/RFI)
Ma il caso più eclatante è quello della costruenda nuova stazione sotterranea di Firenze, progettata da un’altra archistar, l’inglese Norman Foster. Sul piano funzionale, si suppone che una stazione sotterranea si costruisca per accelerare i treni in transito e per ottimizzare l’interscambio con i treni locali. Ma non è così: la linea sotterranea percorre un tracciato tutt’altro che rettilineo e la risalita verso i treni locali è complessa, con una lunga rampa obliqua e una tratta ulteriore in orizzontale. Per quanto concerne i costi, poi, si possono stimare quadrupli di quelli di una soluzione a raso, ma in questo caso sarebbero stati ancora più alti: per raccordarsi con la soluzione sotterranea è stato modificato, sembra, lo sbocco in pianura della tratta alta velocità Bologna-Firenze, con una decina di chilometri supplementari in galleria e con costi aggiuntivi (parametrizzando sui costi dell’intera tratta) dell’ordine di molte centinaia di milioni. Potremmo classificare il caso di queste due stazioni come “gigantismo progettuale”.
Proseguendo verso Sud, nulla si può dire invece della funzionalità della nuova stazione “a ponte” di Roma Tiburtina, anche questa firmata da un’archistar (Zaha Hadid). La sensazione qui è di semplice gold plating, per i materiali e le dimensioni complessive, mentre gli sconfinati spazi commerciali la fanno rientrare nella tipologia della “discutibile induzione alla spesa”.
stazioni
(Stazione di Roma Tiburtina. FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Rimanendo a Roma, possiamo ricordare un altro episodio celebre di gold plating, seppure accaduto più lontano nel tempo: la stazione Ostiense. Doveva essere il terminale urbano per i treni diretti all’aeroporto di Fiumicino. Già l’idea appariva insensata: perché non far proseguire semplicemente la metropolitana urbana per Fiumicino, visto che non esistevano problemi di scartamento né di alimentazione, che oltretutto avrebbe evitato ai viaggiatori unoscomodissimo interscambio? Sembra per semplici ragioni di gestione di risorse pubbliche afferenti a due amministrazioni diverse (nella più benevola della ipotesi). Comunque la scomodità della soluzione era tale che il (monumentale e, si suppone, costosissimo) terminal fu presto abbandonato e divenne per dieci anni rifugio per senzatetto. Nessuno ovviamente ha mai risposto dello straordinario spreco di risorse pubbliche che l’operazione ha comportato. Il livello di disfunzionalità di questo caso lo rende difficilmente classificabile.
Certo, questo è un “processo indiziario”, in cui prevalgono considerazioni qualitative, che per definizione risultano fragili e opinabili. Ma proprio questo è il problema: dati gli incentivi a massimizzare la spesa, incentivi condizionati politicamente sia dai costruttori che dalle amministrazioni locali (il residual claimant pubblico si è sempre dimostrato molto disponibile), è urgente una rendicontazione regolatoria e dettagliata, che sgombri il campo da ogni sospetto di gold plating. E questo vale ovviamente per tutte le infrastrutture regolate: la casistica infatti potrebbe ampliarsi molto. Finora, a questo tipo di fenomeni nel panorama italiano non è stata data alcuna attenzione, ma la recente costituzione dell’autorità regolatoria indipendente per il settore trasporti fa sperare (obbliga a sperare) in un radicale cambio di scenario.
(1) È il caso della verifica costi-benefici di una stazione di autobus a Montevideo, opera candidata al finanziamento da parte della Banca Mondiale.


LEGGI ANCHE:

Storia e mito della fu Stazione Termini, oggi Vodafone 

di 




giovedì 22 maggio 2014

L'Attestato di Prestazione Energetica (APE): non tutti lo sanno...

Vademecum sull'Ape (attestato di prestazione energetica) degli edifici

4 apr 2014


1. Che cos'è l'Ape e perché serve per la propria abitazione?

L'Ape (attestazione di prestazione energetica) contiene la «targa energetica» che sintetizza le caratteristiche energetiche dell'immobile. Per misurarle, il tecnico deve analizzare le caratteristiche termo igrometriche, i consumi, la produzione di acqua calda, il raffrescamento e il riscaldamento degli ambienti, il tipo di impianto, eventuali sistemi di produzione di energia rinnovabile. L'attestato deve contenere anche i dati catastali dell'immobile. Nel caso si debba vendere la propria abitazione o stipulare un nuovo contratto di locazione per tovare un inquilino, i relativi annunci commerciali tramite tutti i mezzi di comunicazione devono riportare l'Indice di prestazione energetica (Ipe) dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispodente, contenute nell'attestato di prestazione energetica. Poi, durante le trattative di compravendita o di locazione, venditori e locatori devono rendere disponibile al potenziale acquirente o al nuovo conduttore l'attestato di prestazione energetica. In caso di vendita l'attestato dovrà essere consegnato all'acquirente, così come in caso di locazione al conduttore.

2. Quali obblighi ha chi vende o affitta per quanto riguarda l'Attestato di prestazione energetica?

Il decreto 63/2013, poi convertito dalla legge 90/2013, ha introdotto l'Ape (attestato di prestazione energetica) al posto del precedente Ace (attestato di certificazione energetica) e ha sanzionato di nullità, in caso di mancata allegazione dell'Ape, a far tempo dal 6 giugno 2013, tutti i contratti di compravendita immobiliare (e pure di ogni altro contratto traslativo di immobili a titolo oneroso: permuta, conferimento in società, transazione, rendita, eccetera); i contratti di donazione e ogni altro atto traslativo di immobili a titolo gratuito; i "nuovi" contratti di locazione (vale a dire non i contratti che siano una proroga di precedenti contratti).

3. Cosa si rischia in caso di mancata allegazione dell'Ape ai contratti?

L'obbligo di allegazione è stato introdotto pena la nullità dell'atto stesso. Si tratta di una nullità assoluta, che può essere fatta valere da chiunque e può essere rilevata d'ufficio dal giudice; l'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione. In ballo, dunque, c'è il rischio di trovarsi in mano un contratto non effettivo, oltre al fatto che in caso di vendita il proprietario che viola l'obbligo di dotazione dell'attestato di prestazione energetica è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 3mila euro e non superiore a 18mila euro; in caso di nuovo contratto di locazione il proprietario che viola l'obbligo è invece punto con una sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1.800. A questo si somma poi la necessità di indicare nella pubblicità di vendita o affitto l'indice di prestazione energetica: in caso di mancata indicazione nei cartelli sono previste sanzioni amministrative.

4. Che differenza c'è tra l'Ape e il vecchio Ace (attestato di certificazione energetica)?

Prima che il Dl 63/2013, convertito dalla legge 90/2013, scorso introducesse per la prima volta l'attestato di prestazione energetica (Ape), esistevano gli attestati di certificazione energetica (Ace), già obbligatori nei rogiti di compravendita. L'Ape sarà un documento più complesso dell'Ace, perché dovrà tenere conto di diversi parametri energetici dell'edificio rispetto all'attestato precedente, come ad esempio la climatizzazione invernale). Le procedure e metodologie di calcolo per la redazione dell'Ape non sono, però, ancora note: sarà compito del ministero dello Sviluppo Economico, con un futuro regolamento, definirle in modo uniforme su scala nazionale. Fino all'entrata in vigore di questo regolamento, i calcoli si continuano a effettuare in base a quanto previsto dal Dpr 59/2009 e relative norme Uni e Cti (le stesse con cui vengono redatti i "vecchi" Ace nelle Regioni che non hanno approvato leggi regionali ad hoc). Nemmeno importa, inoltre, che i nuovi certificati non siano denominati Ape, perché l'utilizzo dell'espressione Ace è una mera imperfezione formale, priva di conseguenze. Tanto che, inoltre, sono ancora utilizzabili, se non ne sono venuti meno i presupposti (ad esempio per lavori effettuati nell'edificio), gli Ace prodotti anteriormente al 6 giugno 2013. In tutte le Regioni (e Province autonome) invece "legiferanti", che cioè hanno definito procedure diverse per la redazione degli attestati, gli Ape/Ace si continuano a redigere secondo la normativa locale vigente al 6 giugno 2013. E in queste Regioni la normativa statale prevale su quella locale con riferimento alla nullità dei contratti per mancata allegazione dell'Ape/Ace.

5. Sugli annunci commerciali di vendita o affitto è necessario riportare i consumi energetici?

Si, nel caso di offerta di vendita o di locazione, i relativi annunci tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali dovranno riportare l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispondente. Tutte informazioni contenute nell'Attestato di prestazione energetica. In caso contrario, «il responsabile dell'annuncio» è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3mila euro.

6. Un attestato rilasciato prima del 6 giugno 2013 può essere allegato ad un nuovo contratto di locazione?

Per una vendita posta in essere dal 6 giugno 2013 in poi, il venditore può ancora avvalersi dell'eventuale attestato di certificazione energetica (Ace) rilasciato in data anteriore al 6 giugno 2013, e ancora in corso di validità. L'attestato ha sempre una validità massima di 10 anni, subordinata al rispetto delle prescrizioni di controllo degli impianti termici e alle necessità di aggiornamento in caso di interventi migliorativi o di ristrutturazione impiantistica. Se invece, per vendere o affittare casa, il proprietario dovesse produrre un attestato oggi (dopo il 6 giugno e prima dell'entrata in vigore del nuovo regolamento sulle modalità di calcolo per l'Ape) è meno certo il valore futuro del documento: se nel frattempo, prima della chiusura del contratto o del rogito, venisse approvato il regolamento, c'è solo da sperare che il documento resti valido. Un Ace fatto oggi non è detto che possa rispondere ai futuri regolamenti, a meno che le nuove norme non facciano salvi gli attestati prodotti fino a quel momento.

7. Anche per l'affitto breve di una casa a uso vacanze è necessario l'Ape?

Sì, il Dl 63/2013 non fa alcuna distinzione tra locazioni turistiche e non. L'Ape deve essere allegato a tutti i nuovi contratti di locazione (e non di proroghe o di rinnovi o altro) stipulati in seguito all'entrata in vigore del decreto stesso, pena la nullità. L'articolo 12 del Dl 63/2013, inoltre, prevede la sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1.800 euro per il proprietario che in caso di nuova locazione non doti l'immobile di Ape. La legge, comunque, prevede un lungo elenco di fabbricati per i quali vi è esonero dall'allegazione dell'Ape al contratto di vendita o di locazione di cui essi siano oggetto: i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 metri quadrati; i fabbricati industriali e artigianali quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo produttivo (ad esempio: una serra) o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili; i fabbricati agricoli non residenziali, sprovvisti di impianti di climatizzazione; gli edifici adibiti a luoghi di culto; i manufatti qualificabili come "ruderi"; edifici il cui utilizzo non prevede l'installazione e l'impiego di sistemi tecnici, quali box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi e strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi (fatta eccezione per le porzioni di edifici eventualmente adibite ad uffici); edifici in cui non è necessario garantire un comfort abitativo perché non destinati alla permanenza di persone, quali i garage, i depositi, le cantine, le centrali termiche, i locali contatori, le legnaie, le stalle; manufatti, comunque, non riconducibili alla definizione di edificio (ad esempio: una piscina); i fabbricati "al grezzo", vale a dire i manufatti che si trovano nello stato di "scheletro strutturale", cioè privi di tutte le pareti verticali esterne o di elementi dell'involucro edilizio; nonché gli edifici venduti "al rustico", cioè privi delle rifiniture e degli impianti tecnologici; gli edifici "marginali" ossia gli edifici che non comportano un consumo energetico in relazione alle loro caratteristiche tipologiche e/o funzionali (ad esempio: portici, pompeiane, legnaie); gli edifici inagibili o comunque non utilizzabili in nessun modo e che, come tali, non comportino un consumo energetico (ad esempio fabbricati in disuso)

8. L'Ape è un documento complesso. Come riconoscerne uno valido a fine di legge?

L'offerta di mercato che non garantisce sempre lo stesso risultato. Ad esempio su Groupon, sito internet di sconti e coupon promozionali, è possibile portarsi a casa un attestato «a 59 euro invece di 250, con sopralluogo e registrazione al Catasto regionale». Ma la pagella energetica, obbligatoria dal 6 giugno anche per gli affitti, è un documento complesso e nella corsa dei professionisti per accaparrarsi questa fetta di mercato si insinuano documenti non validi o di scarsa qualità.

Prima del rogito è il notaio a dover verificare che l'attestato esibito dal cliente abbia quel contenuto minimo che, in base alla normativa vigente, lo possa qualificare comeApe (oppure Ace se ancora in corso di validità): deve indicare la classe di prestazione energetica dell'edificio, la data di rilascio (sia l'Ape che i vecchi Ace hanno validità decennale), gli elementi idonei a collegare il certificato all'immobile negoziato (in primo luogo i dati di identificazione catastale), la sottoscrizione del tecnico che lo ha redatto e la sua dichiarazione di indipendenza. Spetta però al proprietario del bene, e non al notaio, verificare che il tecnico sia in possesso dei requisiti di legge: l'accertamento non è poi così facile, poiché non tutte le Regioni si sono dotate di un apposito albo o registro di certificatori accreditati. I principali network di mediazione immobiliare hanno stipulato delle convenzioni ad hoc e propongono prezzi agevolati, per evitare di imbattersi in certificati rilasciati in fretta, sulla base di fac simili pre-compilati, senza vedere l'immobile. Meno controlli, invece, sul fronte degli affitti: «Se il proprietario si presenta con il suo certificato – afferma Isabella Tulipano di Solo Affitti – che ritiene valido, non c'è nessuno che poi va a controllarlo. Tanto meno l'inquilino, poco attento al parametro della prestazione energetica, che sposta ancora pochissimo la trattativa». In una rilevazione fra le 310 agenzie di Solo Affitti questo requisito è all'ultimo posto fra le esigenze manifestate nella ricerca di un immobile da affittare.

9. È vero che, oltre all'Ape, bisogna allegare al contratto anche il libretto di impianto?

No. All'attestato di Prestazione energetica (Ape) che, a pena di nullità, va allegato ai contratti di compravendita, donazione e locazione, non deve essere unito il «libretto di impianto»: lo sostiene una nota del consiglio nazionale del Notariato. L'articolo 6, comma 5, del Dlgs 192/2005 (modificato dal Dl 63/2013) dispone che i libretti di impianto «sono allegati» all'attestato di prestazione energetica: l'espressione «allegazione» deve essere intesa nel senso che l'Ape deve essere accompagnato nel tempo dai documenti necessari affinché possa essere verificata una delle condizioni cui è subordinata la validità dell'attestato. Infatti l «libretto di centrale» e il «libretto d'impianto» sono previsti dall'articolo 11 del Dpr 412/1993: devono essere conservati presso l'edificio o l'unità immobiliare in cui è collocato l'impianto termico. Il libretto di impianto è importante, ai fini dell'Ape, perché la validità massima dell'attestato è di dieci anni, e l'Ape va aggiornato a ogni ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell'edificio o dell'unità immobiliare interessata. La validità decennale dell'Ape è subordinata al rispetto delle prescrizioni per i controlli di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell'edificio. In caso di mancato rispetto di queste norme l'attestato decade il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza (prevista appunto nel "libretto") non rispettata. Occorre pertanto distinguere tra l'esemplare dell'Ape da consegnare all'acquirente o al conduttore, che va accompagnato da una copia del "libretto", e l'esemplare destinato ad essere allegato al contratto, che invece può essere privo del "libretto".

10. Le parti possono concordare di fare a meno dell'Ape?

No, è illegittimo e il contratto di compravendita privo di attestato sarebbe nullo, cioè privo di effetti. L'attestato deve comunque sussistere fin dall'inizio della trattativa, poiché il proprietario è tenuto a metterlo a disposizione di ogni potenziale acquirente e a indicare la prestazione energetica negli annunci. Al momento del contratto preliminare basta che sia consegnato al promissario acquirente, ma non occorre che sia allegato come invece va fatto al momento del rogito.


martedì 20 maggio 2014

Sulle detrazioni Irpef...

Asilo nido, psicologo e veterinarioRedditi, ecco cosa si può scaricare

19 mag 2014

L'elenco dell'Agenzia delle Entrate sulle spese detraibili al momento di presentare la dichiarazione dei redditi.

Come ogni anno gli italiani sono alle prese con commercialisti, moduli e calcolatrici per consegnare la propria dichiarazione dei redditi. E per risparmiare qualcosina, è partita la caccia alle detrazioni. 
Cosa è detraibile e cosa no? 
Di seguito un sintetico vademecum con le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate (da approfondire per evitare di incorrere in sanzioni)

VETERINARIO, ASILI NIDO, PSICOLOGI E CO. 

La visita medica per il rinnovo della patente, sedute da psicologo e psicoterapeuta, farmaci omeopatici oltre a quelli normali e una lunga serie di spese per l'istruzione, dall'asilo nido al test di accesso ad un corso di laurea, fino al master post universitario. E' lungo l'elenco delle spese scaricabili a fini fiscali e sulle quali l'Agenzia delle entrate fornisce ogni chiarimento. Deducibile, ad esempio, è anche il costo sostenuto per sedute di musicoterapia a vantaggio di una persona disabile, così come quello per il veterinario e per i farmaci per la cura di un animale, anche se con un tetto di spesa.

ADDIO DETRAZIONI PER PARAFARMACI E PALESTRA 

Anche se con prescrizione medica, per la spesa per i farmaci da banco non è riconosciuta detrazione d'imposta. Allo stesso modo l'iscrizione in palestra non può essere qualificata come spesa sanitaria anche se l'attività motoria è finalizzata alla cura di una patologia certificata dal medico e quindi non può detratta. Non sono scaricabili nemmeno le spese per la scuola materna e per l'osteopata perché, a differenza di quella del fisioterapista, la figura professionale non rientra in quelle elencate nel decreto ministeriale del ministero della Salute del 2001.

IL DILEMMA ASSICURAZIONE

Nella dichiarazione dei redditi 2014 si possono continuare a portare in detrazione i premi assicurativi sulla vita e contro gli infortuni con un importo massimo di 630 euro. Per i contratti stipulati o rinnovati fino al 31 dicembre 2000, la detrazione riguarda i premi per le assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni, a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a cinque anni. Per i contratti stipulati o rinnovati a partire dal primo gennaio 2001, sono detraibili i premi per le assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte, di invalidità permanente superiore al 5% (da qualunque causa derivante), di non autosufficienza nel compimento degli atti quotidiani (in questo caso, la detrazione spetta a condizione che l'impresa di assicurazione non possa recedere dal contratto).

I DUBBI SULLA CEDOLARE SECCA

Riguardo ai contratti di affitto, l'Agenzia delle Entrate chiarisce che durante il periodo di applicazione della cedolare secca il canone non può essere aggiornato e quindi il locatore non ha facoltà di chiedere una modifica a qualunque titolo (compresi gli aggiornamenti Istat). La cedolare può essere applicata anche a contratti transitori di durata inferiore a 30 giorni, mentre del regime non possono usufruire società di persone e di capitali né enti commerciali o non commerciali.

IL BONUS MOBILI 

L'agevolazione spetta per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014. 
Per usufruirne è ammesso anche il pagamento con carte di credito e bancomat.

lunedì 19 maggio 2014

Università e Carriera

Da IlSole24Ore

Università che "producono" più milionari, Bocconi e Sapienza nella top 100.
La facoltà con più Paperoni? Ingegneria


di Alberto Magnani, 19 mag 2014

Nella vita e nel business, la laurea è solo l'inizio.
Ma se il curriculum dice Harvard, Stanford o Oxford, qualche pronostico in più si può fare.

La società di ricerca WealthInsight ha redatto in tandem con il magazine Spear's la classifica delle 500 università che «producono più milionari» al mondo. L'indagine, svolta sulle orme accademiche di 70mila Paperoni in 200 paesi, ha confermato i vertici già fissati anno per anno dai più noti ranking di Times Higher Education e derivati.

Top 10 tutta nordamericana e britannica con le solite Harvard e Stanford in cima, Italia in leggera controtendenza ai buchi nelle ultime graduatorie con la doppia presenza della Sapienza di Roma (90esima) e soprattutto Bocconi: 24esima, meglio di colossi come London School of Economics e Imperial College.
E tra i corsi di laurea?
Si sgonfia il vecchio dominio di economia, legge e finanza: i "millionaires" del 2014 hanno studiato soprattutto ingegneria.

Di Zuckerberg ce n'è uno... Top 10 tutta americana e inglese, la Bocconi meglio della Lse

L'indagine stronca la mitologia del self made man che «impara tutto sul campo», evidenziando come appena l'1% dei super paperoni abbia fatto strada senza il cappello di una preparazione accademica.
Nomi grossi, certo, dal Mark Zuckerberg che ha piantato Harvard per il suo impero social in giù.
Ma, appunto, nomi e non fenomeni statistici in una classifica che parla chiaro sulle lauree più blasonate.
La top 100 stilata da WealthInsight, nel dettaglio, non si smarca troppo da gerarchie e mappatura dei ranking più influenti del settore.
Le eccellenze di Usa e Regno Unito conservano il timone, con una lista di "alumni" da sei zeri che si appaia ai punteggi record per qualità didattica e finanziamenti ricevuti: sul podio Harvard, Harvard Business School e Stanford University, a seguire University of California, Columbia, Oxford, Mit di Boston, New York University, Cambridge e University of Pennsylvania. L'Italia non sfigura: con l'exploit di Bocconi (24esima, tre posizioni sopra la London School of Economics) e Sapienza (90esima) il nostro paese si posiziona 7esimo su scala mondiale: dietro all'accoppiata States-Regno Unito, Canada, Francia, India e Germania, davanti a giganti fragili come come Cina e Russia e alla Svezia.

Vecchio curriculum, addio: fa successo chi innova

Se fai business, devi studiare "solo" business? Il background dei magnati sotto la lente della ricerca dimostra di no: secondo i dati WealthInsight, la facoltà con più appeal sui milionari internazionali è ingegneria. 
La formazione tecnica e scientifica scalza le garanzie comunque provvedute da itinerari più tradizionali come un Mba, legge, economia, lauree triennali nella stessa Business Administration, commercio, accounting, scienze informatiche, finanze e scienze politiche. 
Il cambio di guardia non ha nulla di spiazzante, se si considera l'evoluzione di un mercato del lavoro che guarda meno ai curricula e più agli impulsi innovativi: oggi «molti ingegneri non sono di fatto ingegneri, ma imprenditori», così come la storia della finanza è costellata da laureati in giurisprudenza che «non devono le loro fortune all'aver praticato le propria professione, ma all'aver scalato posizioni nel settore dei servizi». 
Il futuro? 
Sempre secondo WealthInsight una laurea in informatica e a maggior ragione in ingegneria informatica potrebbe ritagliarsi una fetta ancora più consistente tra i background dei milionari in classifica: «Negli anni che verranno – hanno spiegato gli autori dell'indagine - più gli imprenditori tech faranno crescere l'industria e più ci potremmo aspettare di vederla crescere nella lista».