martedì 10 dicembre 2013

E` l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi

In una delle lettere (la settima del terzo libro), Seneca esorta il suo amico Lucilio, lo esorta a cambiare l'anima e non il cielo sotto cui vive.

I viaggi, le distrazioni, ma anche la carriera professionale non possono cambiarci veramente.
Inizia con una frase chiara ed esplicita: "Tu credi che sia capitato solo a te, e ti meravigli come di un fatto strano di non esser riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati. Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi."
Le parole di Seneca sono davvero attuali, soprattutto pensando che oggi viviamo in un mondo frenetico, in una società complessa che sembra offrire innumerevoli possibilità anche per il nostro mutamento interiore.
In realtà non è così: Seneca, infatti, incalza con questa ulteriore riflessione: "Tu corri qua e là per cacciare via il peso che ti opprime e che diventa più gravoso col tuo stesso agitarti. Similmente sulla nave il carico esercita minore pressione se è ben fissato, mentre se si sposta disordinatamente, fa sommergere il fianco su cui viene a gravare. Qualunque cosa tu faccia, la fai a tuo danno; e con lo stesso movimento ti danneggi, perché scuoti un ammalato."
Spesso corriamo inutilmente da un luogo all'altro, da un'attività all'altra, pensando di vincere le nostre tristezze, di dimenticare i nostri vizi. Ma legare l'anima ad un luogo, ad una pur brillante carriera lavorativa, ad una scintillante "vita di società", è destinato inevitabilmente al fallimento: "Potrai anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare: ogni luogo, qualunque esso sia, sarà per te ospitale. L'importante è sapere con quale spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo legare l'animo a nessun luogo."

Ecco la traduzione in italiano, e – di seguito – il testo originale in latino: potrebbe anche essere lo spunto per un esercizio di traduzione …


Lucio Anneo Seneca, “LETTERE A LUCILIO” (Libro III, Lettera XXXVIII): "E` l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi"

Tu credi che sia capitato solo a te, e ti meravigli come di un fatto strano di non essere riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati.
Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi.
Anche se attraversi il vasto oceano; anche se, come dice il nostro Virgilio, "ti lasci dietro terre e città", dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi.
Disse Socrate ad uno che si lamentava per lo stesso motivo: "Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t'incalza cioè sempre lo stesso male che t'ha spinto fuori".
Che giovamento può darti la varietà dei paesaggi o la conoscenza di città e luoghi nuovi?
Tale sballottamento non serve a nulla. Chiedi perché tu non trovi sollievo nella fuga?
Perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso. Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il peso che hai nell'animo.
Pensa che il tuo stato corrisponde a quello che il nostro Virgilio attribuisce alla profetessa invasata dal nume, traboccante di un'ispirazione che non procede da lei: "La profetessa si dibatte furiosa, nello sforzo di scuotere da sé l'azione del dio".
Tu corri qua e là per cacciare via il peso che ti opprime e che diventa più gravoso col tuo stesso agitarti.
Similmente sulla nave il carico esercita minore pressione se è ben fissato, mentre, se si sposta disordinatamente, fa sommergere il fianco su cui viene a gravare.
Qualunque cosa tu faccia, la fai a tuo danno; e con lo stesso movimento ti danneggi, perché scuoti un ammalato.
Ma quando tu riuscissi ad estirpare codesto male, ogni cambiamento di luogo ti sarà piacevole. Potrai anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare; ogni luogo, qualunque esso sia, sarà per te ospitale.
L'importante è sapere con quale spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo legare l'animo a luogo alcuno.
Bisogna vivere con questa persuasione: "Non sono nato per attaccarmi a un posto. La mia patria è l'universo intero".
Se la cosa fosse chiara alla tua mente, non ti meraviglieresti che non ci dia giovamento la varietà delle regioni in cui ti sposti, sempre annoiato delle precedenti.
Ti sarebbe piaciuta la prima in cui fossi capitato, se ogni regione la considerassi tua. Ora tu non viaggi, ma vai errando e sei spinto a passare da un luogo a un altro, mentre quello che cerchi, la felicità, si trova in ogni luogo.
Qual luogo può esser più turbolento del foro? Eppure anche li si può trovare il modo di vivere tranquilli.
Ma se mi fosse consentito di disporre di me liberamente, fuggirei lontano anche dalla vista e dalle vicinanze del foro.
Come i luoghi malsani minacciano anche la salute più solida, cosi anche per un animo buono, ma non ancora maturo e saldo, alcuni posti sono poco salubri.
Non approvo coloro che si gettano in mezzo ai flutti e preferiscono una vita tumultuosa, perciò lottano coraggiosamente con le difficoltà di ogni giorno. Il saggio le saprà tollerare, ma non le cercherà, e vorrà vivere in pace piuttosto che nei contrasti.
Non giova molto essersi liberato dai propri vizi, se bisogna poi combattere con quelli degli altri.
Tu dirai: "Trenta tiranni vissero intorno a Socrate, ma non riuscirono a fiaccarne l'animo". Che conta quanti siano i tiranni? La schiavitù è una e chi l'ha disprezzata è libero, qualunque sia il numero dei padroni.
Devo ormai concludere, ma non senza aver pagato la mia tassa.
"La conoscenza dei propri difetti è l'inizio della guarigione". Mi sembra che questo motto di Epicuro sia molto giusto.
Chi non sa di peccare non può correggersi. Prima di emendarsi, occorre essersi accorti del fallo.
Alcuni si gloriano dei vizi; ma, se li annoverano fra le virtù, come possono pensare alla guarigione?
Perciò, per quanto puoi, accusati da te, esamina le tue colpe. Prima esercita la funzione di accusatore, poi quella di giudice; e in ultimo quella di avvocato difensore.
All'occorrenza, sappi anche infliggerti una condanna. Addio".


Ecco il testo latino

XXVIII. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM
[1] Hoc tibi soli putas accidisse et admiraris quasi rem novam quod peregrinatione tam longa et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque mentis? Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster, terraeque urbesque recedant, sequentur te quocumque perveneris vitia.
[2] Hoc idem querenti cuidam Socrates ait, 'quid miraris nihil tibi peregrinationes prodesse, cum te circumferas? premit te eadem causa quae expulit'. Quid terrarum iuvare novitas potest? quid cognitio urbium aut locorum? in irritum cedit ista iactatio. Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis. Onus animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus.
[3] Talem nunc esse habitum tuum cogita qualem Vergilius noster vatis inducit iam concitatae et instigatae multumque habentis se spiritus non sui:bacchatur vates, magnum si pectore possit excussisse deum.
Vadis huc illuc ut excutias insidens pondus quod ipsa iactatione incommodius fit, sicut in navi onera immota minus urgent, inaequaliter convoluta citius eam partem in quam incubuere demergunt. Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis.
[4] At cum istuc exemeris malum, omnis mutatio loci iucunda fiet; in ultimas expellaris terras licebit, in quolibet barbariae angulo colloceris, hospitalis tibi illa qualiscumque sedes erit. Magis quis veneris quam quo interest, et ideo nulli loco addicere debemus animum. Cum hac persuasione vivendum est: 'non sum uni angulo natus, patria mea totus hic mundus est'.
[5] Quod si liqueret tibi, non admirareris nil adiuvari te regionum varietatibus in quas subinde priorum taedio migras; prima enim quaeque placuisset si omnem tuam crederes. Nunc <non> peregrinaris sed erras et ageris ac locum ex loco mutas, cum illud quod quaeris, bene vivere, omni loco positum sit.
[6] Num quid tam turbidum fieri potest quam forum? ibi quoque licet quiete vivere, si necesse sit. Sed si liceat disponere se, conspectum quoque et viciniam fori procul fugiam; nam ut loca gravia etiam firmissimam valetudinem temptant, ita bonae quoque menti necdum adhuc perfectae et convalescenti sunt aliqua parum salubria.
[7] Dissentio ab his qui in fluctus medios eunt et tumultuosam probantes vitam cotidie cum difficultatibus rerum magno animo colluctantur. Sapiens feret ista, non eliget, et malet in pace esse quam in pugna; non multum prodest vitia sua proiecisse, si cum alienis rixandum est.
[8] 'Triginta' inquit 'tyranni Socraten circumsteterunt nec potuerunt animum eius infringere.' Quid interest quot domini sint? servitus una est; hanc qui contempsit in quanta libet turba dominantium liber est.
[9] Tempus est desinere, sed si prius portorium solvero. 'Initium est salutis notitia peccati.' Egregie mihi hoc dixisse videtur Epicurus; nam qui peccare se nescit corrigi non vult; deprehendas te oportet antequam emendes.
[10] Quidam vitiis gloriantur: tu existimas aliquid de remedio cogitare qui mala sua virtutum loco numerant? Ideo quantum potes te ipse coargue, inquire in te; accusatoris primum partibus fungere, deinde iudicis, novissime deprecatoris; aliquando te offende.
Vale.

Mi associo ai saluti di Seneca, per tutti i lettori.

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