giovedì 3 settembre 2015

Modelli di Business ed Innovazione



di Stefano Mizio, lug 2013


Da decenni si discute dell’inerzia che caratterizza le aziende di successo destinate, spesso, a soccombere nel lungo periodo a causa di fenomeni esterni legati all’introduzione e commercializzazione di nuove tecnologie, a cambiamenti sociali o crisi economiche. 
La speranza di vita del genere umano negli ultimi 75 anni è cresciuta in modo significativo passando da 61 anni (per uomini e donne) nel 1937, a 77,5 anni nel 2012.  Nello stesso periodo la vita di un ‘azienda si è ridotta da 75 anni a 15 anni (elenco S&P 500). 
In questo mondo le grandi aziende sono percepite – per parafrasare un noto libro – “too big to innovate”, perché progettate esclusivamente per fare efficienza, cust cutting ed innovazione incrementale dei propri servizi e prodotti, assillate dalla paura di cannibalizzare le fonti di ricavo e di profitto attuali. 
Contemporaneamente sull’onda dei successi planetari di Google, Facebook e della mitologia che avvolge il mondo delle startups americane, l’innovazione sembra essere esclusivo appannaggio di startup agili, veloci, aggressive che senza la zavorra di processi ed infrastrutture organizzative pesanti sono in grado di innovare in modo “disruptive. L’elemento di assoluta novità è la democratizzazione della tecnologia che ha permesso, a poco più che ventenni, di costruire nei garage delle loro abitazioni prodotti e servizi dirompenti e che ora minaccia la sopravvivenza delle stesse startup. Nel 1998 Google era il 18simo contendente nel mercato dei motori di ricerca ed ha avuto tutto il tempo per consolidare la propria posizione di mercato. Oggi Groupon deve confrontarsi con centinaia di competitors che hanno velocemente replicato la piattaforma tecnologica su cui Groupon stessa ha costruito il suo iniziale successo. In questo contesto dove i cicli di sviluppo e di vita dei nuovi prodotti e servizi si riducono in maniera vertiginosa, innovare i propri modelli di business può costituire una strategia efficace soprattutto se perseguita da aziende con asset importanti che possono trovare modi nuovi – incrementali e/o disruptive - di generare valore per i propri clienti facendo leva su risorse “difficili da replicare” da giovani startup. Oggi si parla di “Corporate Garage” per caratterizzare quella che viene definita una nuova “era” nella quale le grandi aziende possono riconquistare un ruolo centrale nei modelli e nei processi di innovazione. 

Il Garage, infatti, rimanda al luogo fisico dove il mito delle startup statunitensi le colloca: un luogo frugale pieno di attrezzi che, nel caso delle medie e grandi aziende, possono essere la brand reputation, i canali commerciali, le risorse fisiche e finanziarie, la capacità di stringere partnerships,l’ eccellenza nei processi. 
Alle organizzazioni è chiesto di ricombinare queste risorse e di cercarne di nuove anche all’esterno delle stesse imprese, creando allo stesso tempo un contesto che non penalizzi la sperimentazione e la ricerca di nuove occasioni per creare valore. Un modello di business è la storia di come un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore; è il modo in cui i ”pezzi” del business si incastrano tra di loro. Apple, Starbucks, Amazon, Nespresso (Nestlè) sono solo i casi più famosi di come aziende consolidate siano andate oltre la semplice innovazione di prodotto seguendo un approccio olistico all’innovazione e spesso sfruttando innovazioni tecnologiche già esistenti (il caso dell’iPod di Apple: nel 2001 i lettori musicali erano già presenti sul mercato ma Apple è stata la prima computer company ad includere la distribuzione della musica tra le sue attività). 
Il caso Amazon è emblematico di come un’azienda sia riuscita a sfruttare alcuni suoi asset – canali di distribuzione - per entrare in un mercato – quello degli e-reader (Kindle) – senza avere competenze dirette di dispositivi elettronici. Nel 2007 nessuno avrebbe mai immaginato che Amazon o Barnes&Noble con il suo Nook, sarebbero diventate leader nel mercato degli e-reader. Sfruttare asset esistenti per innovare, anche in modo incrementale, il proprio modello di business è ciò che ha fatto McDonald’s con l’iniziativa McCafè. 
I suoi clienti tradizionali vogliono un pasto veloce, precotto e secondo menù rigidi. L’obiettivo dell’azienda è servire il maggior numero di clienti nel minor tempo possibile. L’innovazione con McCafè è consistita nel pensare a clienti che invece hanno voglia di sedersi e gustare un caffè (da ordinare) assieme ad una torta, un dolce (preparato) in un’area separata – ma all’interno di spazi già esistenti. Quindi una nuova offerta di valore per i propri clienti ma anche per chi non era mai entrato in un McDonald’s, sfruttando risorse (la location) e competenze (preparazione di cibo) esistenti ,semplicemente guardando ai “non clienti” di McDonald’s (consumatori desiderosi di gustare con calma una tazza di caffè alla “ Starbucks”). 

Si fa innovazione anche in mercati maturi o dove i propri prodotti sono delle commodity. Esempi? Starbucks. Cosa c’è di più commodity di una tazza di caffè? Eppure Starbucks ha innovato offrendo molto di più di un prodotto: un’esperienza per la quale si è disposti a pagare 4 euro. 
Eccellente servizio clienti, ambiente accattivante, sedie comode e wifi gratuito. Starbucks si è concentrata su tutto ciò che circonda il prodotto, piuttosto che sul prodotto stesso (la tazza di caffè). L’innovazione che può spazzare via il bisogno dei nostri prodotti può arrivare anche da settori lontani dal nostro, rendendo costosa e vana la competizione. Ma se il prodotto fosse “inserito” in un modello di business innovativo? Il già citato caso dell’iPod di Apple mostra quanto sia efficace “posizionare” il nostro prodotto all’interno di un modello di business. Qualcuno potrebbe arrivare sul mercato con un lettore MP3 migliore di quello di Apple, ma pochi dei milioni di clienti possessori di un iPods ed un account su iTunes sarebbero disposti a cambiare brand. Un modello di business fresco può creare e sfruttare opportunità di nuovi flussi di ricavi e profitti in modo da controbilanciare un modello che sta velocemente invecchiando legando l’organizzazione ad un ciclo di ricavi e profitti decrescenti. 

Un esempio: il mondo dell’editoria L’ingresso di Amazon nel settore degli e-reader e la diffusione dei tablet stanno modificando il mondo in cui operano i tradizionali player di settore, quello in cui il processo di pubblicazione e distribuzione di libri e riviste è rimasto sostanzialmente immutato per decenni. La sfida che si profila per i player esistenti è quella di trovare soluzioni per la crescente domanda di creazione e distribuzione di contenuti digitali su dispositivi portatili preservando, nello stesso tempo, e incrementando il valore legato ai flussi di ricavi e profitti tradizionali. 




Indirizzare la domanda di maggiori contenuti digitali comporta la necessità di aggiungere nuove attività a quelle che caratterizzano l’attuale modello di business (ad esempio la gestione e l’ottimizzazione del catalogo online con le associate attività di marketing). La relazione con partner quali Apple o Amazon per la distribuzione digitale: ad esempio la scelta se distribuire con un proprio dispositivo o con una delle soluzioni offerte da Amazon (Kindle) o Apple (iPad) e quindi facendo leva sulla loro forte posizione di mercato. Ed ancora più importante, con quale modelli di ricavi: una sottoscrizione singola con la quale scaricare tutti i libri digitali che si desidera? Contemporaneamente i player del settore posseggono una estesa rete di distribuzione con librerie e bookstore che costituiscono un asset straordinario ed un’opportunità per innovare la shopping experience. Gli store come luogo dove fare un’esperienza reale capace di lasciare il segno attraverso l’uso della tecnologia già oggi disponibile (ad esempio quella del digital signage). 

Lo store come il luogo dove i marchi potranno rinforzare una relazione con i propri clienti, vissuta attraverso più canali di acquisto (online, in mobilità e nel punto vendita). Guardare al proprio modello di business immaginando in che modo legare i diversi canali di fruizione dei servizi è un esercizio che può innescare opportunità nuove facendo leva su asset esistenti (le location, gli store, il brand) integrandoli con elementi di novità (si consideri come l’adozione dei Google Glass – gli occhiali di Google che permettono un’esperienza di navigazione senza mani – potrà modificare la fruizione di un trailer di presentazione di un libro mentre si osservano i volumi sullo scaffale magari somministrando della pubblicità al cliente che si trova dentro il bookstore e supportandolo nella ricerca dei libri – ricordando come una delle forze che hanno decretato il successo del bookstore online di Amazon è proprio il suo motore di ricerca e recommendation). 

Fornire una esperienza accattivante ed utile potrebbe riportare negli store chi oggi preferisce un click su Amazon perché non percepisce valore nel muoversi tra scaffali pieni di libri e riviste difficili da trovare e senza avere, in tempo reale, raccomandazioni e suggerimenti. Quali implicazioni per i modelli di business attuali? Quali relazioni con nuovi partner tecnologici (per lo sviluppo del software, la registrazione dei trailer di promozione di autori e libri)? Sarà sempre più importante immaginare ed implementare la tecnologia e la capacità di gestione di partnership, per spingere la vendita di libri cartacei e per portare più clienti, consumatori nei luoghi fisici - gli store - attratti da un’esperienza di fruizione diversa da quella tradizionale del semplice acquisto di un libro. 
Esiste il rischio che mentre si pedala la bicicletta del modello di business attuale, in un contesto in cui il mondo dei media e dell’intrattenimento è al centro di una tempesta perfetta, la crescente richiesta ed offerta di personalizzazione dei contenuti, possa spazzare via, ad esempio, i magazine tradizionali. 

Si guardi a piattaforme come Flipboard o Pulse che aggregano e mostrano – gratuitamente – contenuti del Web su tablet e smartphone ad utenti che si aspettano esperienze ritagliate sui propri interessi. 



Investire sull’innovazione dei propri modelli di business è un processo che può svilupparsi partendo dalla fotografia di come oggi l’impresa genera valore verso i propri clienti. 

E’ possibile farlo sfruttando metodologie in grado di generare conversazioni strategiche per catturare l’insieme delle elementi che costituiscono un modello di business e le loro relazioni; con un processo di analisi dei suoi blocchi costituitivi, seguito da un’attività di studio e generazione di ipotesi di variazione, introduzione, eliminazione di elementi nella propria offerta (McCafè di McDonald’s con nuovi prodotti) o di sfruttamento di attività ed asset esistenti (le competenze di Amazon nella gestione della propria piattaforma tecnologica alla base del suo ingresso nel mondo della fornitura di servizi di Cloud computing). 
Il Business Model Canvas con i suoi nove blocchi è un potente strumento di sintesi visiva in grado di cogliere, in modo olistico, il modello di business di un’organizzazione 

L’esempio che segue riguarda la fotografia del modello di business di una media company. 


Dove in evidenza – blocchi in blu – si vedono gli elementi di novità generati dalle nuove tecnologie che impongono, ad esempio, di contemplare nella propria “value proposition” l’offerta di contenuti personalizzati (on demand) e tra le attività che l’organizzazione deve presidiare (Key activities), quella di governance dell’ecosistema di sviluppo dei contenuti o, ancora, l’introduzione di nuovi canali di vendita come smartphone e tablets (Channels). Ricercare innovazione nei propri modelli di business è come guardare la foresta piuttosto che i singoli alberi. 

Innovare il proprio modello di business è una priorità per tutte le organizzazioni, anche per quelle che attraversano una fase di crescita. 
La storia di Blockbuster e di Netflix è l’esempio recente di come un’azienda florida e ricca come Blockbuster non si sia accorta dell’ingresso di una piccola startup – Netflix – che ha sfruttato tecnologia esistente (DVD) e successivamente lo streaming video, per innovare un modello di business su cui Blockbuster aveva costruito il proprio successo. Il DVD aveva permesso a Netflix nel 1997 di distribuire i film – che venivano ordinati da casa dal cliente – attraverso un efficiente servizio di mailing evitando il viaggio presso lo store (modalità che un cliente di Blockbuster doveva invece seguire). 

Nel 1999 Netflix aveva introdotto un modello di sottoscrizione con una "flat fee", allontanandosi dal modello pay-per-rental di Blockbuster. 
Il resto è storia: nel 2010 Blockbuster è fallita mentre Netflix ha registrato ricavi superiori ai 2 miliardi di dollari. Blockbuster ha trascurato la minaccia di una nuova tecnologia e di un innovativo modello di business fino a quando non è stato troppo tardi per porvi rimedio. 


Un nuovo verbo ha fatto la sua comparsa nel vocabolario: netflix; netflixed per indicare la distruzione di un modello di business di successo o per spiegare il rischio di essere distrutti, rimpiazzati da un nuovo modello di business. 

Innovare il proprio modello di business o rischiare di essere netflixed?


Vedi anche il blog dell'autore: 

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