lunedì 4 luglio 2016

La manipolazione delle informazioni nei Social Media: il caso Facebook



Le rivelazioni di Gizmodo sulla manipolazione dei contenuti, e sulla penalizzazione di quelli sui conservatori, hanno scoperchiato il vaso di Pandora della gestione delle informazioni da parte del social network

di Martina Pennisi, 10 mag 2016




La bolla (filter bubble) è esplosa. 
Come era lecito attendersi, le elezioni americane sono diventate un banco di prova importante — l’ennesimo — per il trattamento delle informazioni da parte di algoritmi e curatori delle piattaforme di social networking e per il delicato rapporto fra editori di notizie e colossi della tecnologia. 
E la bolla è già esplosa sull’asse Facebook - Partito Repubblicano, con la commissione Commercio, Scienze e Trasporti del Senato statunitense che ha chiesto spiegazioni a Menlo Park.

La cancellazione delle notizie

Tutto è partito da due articoli di Gizmodo (ne abbiamo parlato qui) sull’intervento umano nella gerarchizzazione degli aggiornamenti, da cui è emersa una gestione arbitraria e penalizzante per i conservatori. «Cancelliamo costantemente le notizie sui conservatori», ha raccontato una fonte anonima alla testata. Facebook, per voce del vice presidente della sezione trending topic — quella incriminata, che non è disponibile in Italia — Tom Stocky, ha smentito categoricamente la manipolazione.




Anche se, come fa notare The Verge, il social network non ha alcun obbligo formale a rendere conto della gestione dei contenuti e non ha avuto remore in passato a mettere pesantemente mano al News Feed per testare le nostre reazioni (salvo poi scusarsi, in parte, a cosa fatta). La reazione dei repubblicani, come prevedibile, è stata immediata: a chiedere spiegazioni è stato prima di tutto il presidente del comitato Reince Priebus.




Il botta e risposta fra senatori

Poi è stata la volta del senatore repubblicano John Thune, che ha approfittato del suo ruolo di presidente della Commissione commercio del Senato per chiedere «risposte» a Mark Zuckerberg entro il 24 maggio sul presunto «pregiudizio politico nella diffusione della notizie» e sulla sezione trending topics, con cui Facebook sta cercando di colmare il gap con Twitter e la sua capacità di far discutere gli utenti in tempo reale. La partita si è già fatta (anche) squisitamente politica: il senatore democratico Harry Reid ha accusato il collega di occuparsi di questioni marginali.


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Il discorso dei contenuti, siano gestiti dall'algoritmo o manualmente, è però più ampio.

«Don't be evil»

Stocky non ha fatto mistero del lavoro di selezione per evitare materiale «spazzatura, duplicazioni, truffe o articoli con fonti insufficienti». 

E le ultime novità della formula matematica alla base del News Feed sono state comunicate proprio all'insegna della lotta alle bufale e ai link furbi poco rilevanti. Nella sua missione — fornire un servizio qualitativamente in grado di non far uscire il miliardo e 600 mila iscritti dal suo perimetro — Facebook ha già la sua linea di difesa. «Don't be evil», la chiama da anni la madre di tutte le piattaforme (Google), nel promettere una gestione in buona fede di risultati o suggerimenti nella ricerca. Durante queste elezioni ci si chiederà, ancora una volta, se sia una risposta sufficiente.





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