sabato 18 febbraio 2017

Qualche commento sulla "governance" delle società quotate in Italia...



Giuliano Balestreri, 11 feb 2017


I proxy advisor promuovono l’Italia: “Il Regno Unito resta il paese di riferimento, ma Piazza Affari si sta adeguando alle best practice europee soprattutto in termini di trasparenza e dialogo con gli investitori istituzionali” spiega Fabio Bianconi di Morrow Sodali

La stagione delle assemblee del 2017 è alle porte con la grande incognita di cosa accadrà alla controllate dal Tesoro – con il governo Gentiloni che potrebbe essere vicino alla fine del suo mandato -, ma in vista del prossimo futuro gli esperti di Morrow Sodali hanno fatto il punto su cosa è accaduto lo scorso anno.

Il primo dato interessante per quotate al Ftse Mib di Piazza Affari riguarda il peso delle minoranze, ovvero la quota di capitale in mano ad investitori istituzionali o retail non collegati al socio di controllo: lo scorso anno, tra le 32 società esaminate, le minoranze contavano per almeno il 50% del capitale in 14 di queste; dal 100% di Prysmian (unica vera public company italiana) al risicato 12% di Salvatore Ferragamo.

“E’ cambiato l’approccio degli investitori nei confronti delle liste di maggioranza” spiega Bianconi che poi aggiunge: “Nei rinnovi di Intesa Sanpaolo e Generali si è registrato un forte consenso da parte del mercato, in controtendenza rispetto alle usuali pratiche che vedono gli istituzionali supportare in modo compatto le liste coordinate da Assogestioni. 
Nelle assemblea di Snam e Ubi, invece, le liste di Assogestioni hanno ottenuto la maggioranza dei voti”. 

Ci sono poi stati i casi di Azimut dove gli azionisti hanno respinto la proposta dal management di aumentare gli emolumenti del consiglio d’amministrazione uscente e quello di Cerved: per la prima volta in Italia è stata bocciata la politica di remunerazione presentata dal management.

L’aspetto su cui le società italiane devono migliorare, però, è proprio quello che riguarda le politiche di remunerazione dei vertici: sono infatti in aumento le raccomandazioni dei proxy a votare contro
In Italia gli advisor hanno suggerito di bocciare le politiche di remunerazione nel 59% dei casi contro il 19% di quanto accade nel Regno Uniti. In Francia il dato si ferma al 57%, mentre in Spagna è al 41%. 
Ovviamente molto spesso le politiche passano con maggioranze quasi bulgare grazie al voto del socio di controllo. Tuttavia le differenze sono marcate: da un lato Prysmian, Intesa Sanpaolo, Unicredit ed Eni mantengono un livello di supporto molto alto; dall’altro Ferragamo, Tod’s, Mediolanum, Luxottica e Mediaset non raggiungono il 50% dei voti espressi dalle minoranze.

“Gli investitori – aggiunge Bianconi – sono molto severi quando vedono una mancanza di trasparenza o di obiettivi. In particolare nel caso delle remunerazione non apprezzano la presenza di trattamenti di fine rapporto superiori alle 24 mensilità e neppure la presenza di bonus discrezionali” come quello previsto da Poste per l’amministratore delegato Francesco Caio.
Tradotto: per le minoranze i bonus ci devono essere, ma devono essere vincolati al raggiungimento di obiettivi specifici.

Nel complesso, però, la situazione italiana è molto migliorata per questo gli addetti ai lavori sono convinti che i grandi investitori alzeranno l’asticella: “Sono convinto che saranno ancora più stringenti – conclude il manager italiano di Morrow Sodali – facendo attenzione a variabili che oggi non vengono considerate per esempio chiedendo l’introduzione di obiettivi legati alla sostenibilità aziendale, piuttosto che piani di incentivazione azionari con un periodo di lock up (divieto di vendita, ndr) superiore ai tre anni”.

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