domenica 23 aprile 2017

L'istruzione del futuro, oggi...



Il più grande polo innovativo d'Europa si chiama H-International school e il capo di Apple la considera un modello. 
Ecco il campus che guarda al futuro, dove si va in gita in Egitto con un visore e anche la frittata serve a studiare la legge di gravità

di Gloria Riva, 19 apr 2017

Corre l’anno 2040, nelle fabbriche i robot hanno sostituito le tute blu e l’auto a guida automatica ha sconfitto i tassisti. Il test di medicina è preistoria da quando il chirurgo è stato soppiantato da un automa, meno empatico ma affidabile. E il Nobel per la Letteratura è andato a un super calcolatore. Nei tribunali c’è la toga robotica, che spezza i cuori delle madri e i loro sogni sul figlio avvocato.
Del resto il 65 per cento dei bambini seduti ai banchi di una scuola elementare da grande farà un lavoro oggi inesistente, dice un’indagine del World Economic Forum. 
È retorico chiedersi se la scuola - italiana e non - sia pronta a equipaggiare gli studenti di strumenti e conoscenze adatti ad affrontare questo futuro.

La risposta è no, con qualche eccezione. 
Una di queste eccezioni si trova in Italia: H-International School sta all’interno di H-Farm, acceleratore di startup di Roncade (Treviso) fondato da Riccardo Donadon
Perché proprio questo istituto? Perché Tim Cook, numero uno di Apple, l’ha inserito fra le cento scuole più innovative e perché è stata pensata da Donadon, cinquantenne, trevigiano dalla vista lunga. Ha creato il primo e più grande acceleratore d’impresa d’Europa, H-Farm appunto, battendo sul tempo la nascita di Y Combinator, l’acceleratore della Silicon Valley.
Se anche stavolta sarà stato in grado di anticipare le tendenze, allora il futuro sarà tutto rivolto alla rivoluzione scolastica. 
Quindi eccola, la scuola del futuro. Quindici bambini di nove anni stanno riuniti sul terrazzo. Trafficano con delle uova infagottate in ingegnosi paracadute costruiti da loro. Con la sacralità del lancio di uno shuttle, ogni team proietta l’uovo dal balcone, sperano prenda il volo. Il più delle volte si schianta al suolo, ma va bene così. La frittata serve a studiare fisica, la legge di gravità. «Si sperimenta, si impara ad avere il coraggio di sbagliare, si migliora per tentativi ed errori. Si scopre il margine del rischio», spiega un professore made in Inghilterra. 
Già, perché dall’infanzia all’università qui si parla solo inglese, per il semplice motivo che nel futuro chi non saprà capire, parlare, leggere e scrivere in inglese sarà totalmente disconnesso. I corsi sono partiti due anni fa e oggi ci sono 290 alunni, dai 3 ai 17 anni.

La previsione è accoglierne 800 nel 2019, più altri 220 universitari di Digital Management (corso realizzato in partnership con l’università di Venezia Cà Foscari) già dal prossimo anno, quando il nuovo Campus H-Farm verrà inaugurato. 
Sarà il più grande polo innovativo d’Europa: accoglierà 3 mila ricercatori, professori, startupper, studenti, manager e imprenditori su un’area di 51 ettari, di cui metà destinata a parco, il resto a cubatura zero, cioè a basso impatto ambientale. L’investimento è di 101 milioni di euro, in parte finanziato da Cattolica Assicurazione e Cassa depositi e prestiti, società del Tesoro che gestisce il risparmio postale degli italiani. 
L’obiettivo è avvicinare i giovani al mondo dei nuovi lavori, al digitale, alla tecnologia, per prepararli alle sfide del futuro: «Mostriamo ai ragazzi i dettagli dell’auto a guida autonoma e loro approfondiscono le ricadute di questa innovazione sull’esigenza di riqualificare gli spazi urbani e pensano a nuove opportunità di lavoro che derivino da questa rivoluzione», continua il professore. Il modello di apprendimento è ribaltato. «Si insiste sulle competenze e non sulle conoscenze», spiega Carlo Carraro, ex rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, attuale capo di H-Farm Education, che racconta come questo modello risponda al deficit di concentrazione dei ragazzi e alla loro costante esigenza di stimoli.
«La storia non viene spiegata in modo cronologico, ma per concetti. In classe è appena terminato un focus sul totalitarismo. Hanno studiato le maggiori e più feroci dittature, cercato gli elementi comuni, imparato a riconoscerle attraverso la realtà virtuale e visitato i luoghi della tirannia. Probabilmente apprendono meno nozioni rispetto alla scuola tradizionale, ma sanno quali pericoli corre la democrazia», spiega Carraro. Le classi prendono il nome della materia - Economics, Mathematics, Italiano, Sciences - e gli studenti si spostano da una all’altra.


La prima cosa che balza all’occhio è l’assenza della cattedra: «Il modello tradizionale è finito, la cattedra non ha più quel valore. Il docente diventa un coach e il lavoro non è più ascolto passivo, ma attiva produzione di conoscenza, elaborazione di contenuti» continua Carraro.  Ogni classe ha un maxi schermo, i banchi hanno rotelle per la rapida e silenziosa creazione di gruppi di lavoro, i cavi di alimentazione per i computer sono a disposizione. Non si vede, ma c’è una connessione wifi sempre accesa e accessibile a tutti, perché qui è saltato anche il diktat del “non copiare”. «Non è un disvalore e non presuppone che una persona non abbia capito il procedimento. Copiare è imparare un processo e poi cambiarlo», dice un professore mentre ci mostra dei bambini usare Sketch, un sistema di programmazione grafica: schiacciano il tasto copy per poi modificare il disegno originario. «Possono farlo perché conoscono la struttura di ciò che hanno copiato».

Nello stesso momento, alcuni ragazzini scattano foto al cielo con un iPad: «Lo fanno per dieci giorni di fila. Poi confrontano le immagini per scoprire che il cielo non è azzurro e saranno loro a dover scoprire il perché», dice il docente.
In un’altra classe indossano un visore - che in molti casi ha sostituito il libro di testo – e sono virtualmente in gita alle piramidi d’Egitto. La scuola di H-Farm è la prima in Italia a usare il software per la didattica Apple, presentato lo scorso autunno. «Il prossimo 19 maggio il team di Apple sarà qui per mostrare il software al mercato italiano», annuncia Carraro e racconta che anche Microsoft ha investito parecchio su un software analogo. Entrambi i big della tecnologia hanno compreso che la scuola è un enorme business, una prateria inesplorata del valore di milioni di dollari.


Quella di Treviso è meta di pellegrinaggio per insegnanti e presidi di istituti tradizionali in cerca di un nuovo modello di formazione. Ed è stato siglato un protocollo d’intesa con il Miur, il ministero dell’Istruzione, per formare i docenti del futuro, sul modello sperimentale H-Farm. Altra novità: ai ragazzi non viene tolto lo smartphone una volta entrati in classe, ma sono invitati a scoprirne le potenzialità, al di là di WhatsApp e Facebook. Un esempio? Imparano a usare lo smartphone per fare un cortometraggio e, parallelamente, apprendono la struttura della recitazione, lo studio dei costumi, lo storyboard, la scenografia, la trama, tutte cose che al liceo si acquisivano studiando Goldoni. Internet diventa una biblioteca per realizzare una ricerca su Pasolini e si impara a valutare l’affidabilità della fonte. Google drive è usato per condividere con i compagni le informazioni raccolte.
E se fino alle medie si punta alla creazione di solide competenze, alle superiori si entra nel dettaglio. Quaranta ore settimanali, quattro materie principali - matematica e scienze, storia, lingue e letterature, progettazione - le altre a scelta fra economia, computer, musica, educazione fisica, una terza lingua.

Il ciclo dura quattro anziché cinque anni, equivale al diploma di maturità e all’International Baccalaureate Diploma, che consente l’accesso alle università più prestigiose, come Princeton, Columbia, Stanford. A fine corso gli studenti dovrebbero avere un livello di competenze scientifiche paragonabile al secondo anno di ingegneria. Niente lezioni di latino e greco, sostituite dalla programmazione, il coding, perché ricalca la capacità di pensiero computazionale tipica dello studio delle lingue morte: si parte da un problema, lo si spacchetta nei suoi elementi base, lo si rende modulabile e si applica una formula nota per risolverlo. Il contatto con le startup di H-Farm è quotidiano, da loro imparano a progettare un’idea imprenditoriale, che potrebbe essere anche finanziata da H-Farm. I compiti in classe sono una rarità e i metodi di valutazione sono simili a quelli di un talent: «Non conta quanto uno sa, ma quello che sa fare e nel biennio finale portiamo all’eccesso questa capacità», conclude Carraro. Tutto un altro mondo, non fosse per quell’inconfondibile trillo della campanella che suona ad ogni ora, acuto e prolungato anche qui, uguale a quello di tutte le scuole d’Italia. Un déjà vu di emozioni, prime esperienze, errori, sconfitte, intuizioni, vittorie, pianti e risate di una complicata vita da studente.














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