sabato 5 marzo 2016

Caro figlio mio...

Da HuffingtonPost.it

Caro figlio mio: non dipende da te, ma da me


di Jessica Johnston, 10 mag 2016


Ricordo il primo giorno in cui t'ho stretto fra le braccia. 
Sei venuto al mondo, ed io con te. Sulla paternità ci avevo riflettuto tanto, su come sarei stato, e su come saresti stato tu. Ma ero ancora tanto impreparato. Per un momento Cielo e Terra si sono baciati, e mai nella mia vita mi son sentita più sicuro, e allo stesso tempo più incert0.

Sapevo che sarebbe andato tutto OK, a te e a me. Ma sapevo anche che in un solo istante sarei dovuto crescere, per poter essere tuo padre.

Tu in me ci credevi, io me ne rendevo conto.

M'aspettavo che avrei saputo come fare -- che avrei saputo come amarti e crescerti al meglio in ogni fase della tua vita. Ma non è stato così. Quando non avevi che pochi mesi di vita chiamai il pediatra al telefono all'una di notte, in preda all'ansia perché la febbre aveva provocato qualche convulsione. Eravamo un disastro. Adesso mi ritrovo ad aiutarti ad attraversare gli anni della scuola e ad elaborare il lutto del trasferimento di una persona a te cara. Dovrei saperlo, come si fa, figlio mio, ma a volte proprio non lo so.

Anch'io ti chiedo troppo, figliolo. Ci provo a non farlo, ma lo faccio.

Certe volte le mie insicurezze, nonché le aspettative irrealistiche che ho nei miei confronti tracimano addosso a te, e la cosa mi dispiace tanto. In qualunque istante tu dovessi chiederti che cosa ci sia di sbagliato in ciò che stai facendo, cos'è che non riesci a fare al meglio... ti prego sappi che in realtà stai andando bene. Anch'io quando andavo a scuola sognavo che un giorno avrei avuto te, e che sarei riuscito a trovare un modo per crescerti senza mai dover sapere che cosa fosse il perfezionismo. Senza mai doverti sentir sussurrare nell'orecchio la voce del timore e dell'idealismo, quella che t'ammonisce: "Non rovinare tutto". Ma non ci sono riuscito. Lo vedevo nei tuoi occhi quando eri preoccupato per i compiti in classe, o quando ti rimproveravo troppo duramente per delle inezie.

Mi dispiace, figlio mio. Non dipende da te, ma a da me.

Il fatto è, figliolo, che tu sei perfetto. Perché la perfezione non è ciò che pensiamo. Non è uno standard a cui dobbiamo arrivare, o un'aspettativa impossibile da raggiungere. È l'oro che già c'è in te. È la persona che sei, aldilà di tutti i tuoi errori e dei tuoi successi.

Sono tanto, tanto orgoglioso di te.

Se pure non fossi "bravo", figlio mio, semmai dimenticassi di pensare agli altri, e di essere quello che si "comporta bene", sappi che sono dalla tua parte, ogni singola volta. Tifo per te, e insieme riusciremo a farcela.

Potresti anche andare malissimo a scuola, e non riuscire mai più a superare un altro test di lettura accelerata, o una prova di matematica a tempo, ma la cosa non inciderebbe minimamente sul modo in cui ti guarderei, né su quanto sarei orgoglioso di te.


Sono dalla tua parte, ogni singola volta.   
Tifo per te, e insieme riusciremo a farcela.

Potresti non essertela sentito di praticare gli sport di squadra, o scappare di corsa quando ti chiedono di fare degli esercizi, come hai fatto. Lo capisco, anch'io mi sentivo così. Ma se pensi di deludermi, ti sbagli.

Potresti sposarti, o non sposarti mai, andare all'università, o non farlo. Avere una carriera brillante, o niente di simile. Potresti aver successo, o fare miriadi di errori, e io non andrò da nessuna parte. Non esiste errore o decisione che possa allontanarmi -- alcuno. Non potrei mai esser più orgoglioso di quanto non lo sia già, né volerti più bene di così.

E ogni qual volta dovesse succederti d'avvertire da parte mia dei segnali che ti diano l'impressione che quanto sopra non sia vero, ti prego sappi che ciò non dipenderà da un tuo fallimento, ma dalle mie paure. Ho paura di non fare le cose per bene, o di non essere in grado di darti ciò di cui hai bisogno. Ho paura di non esser tagliato per questo, e che forse gli altri genitori se la cavino meglio di me. Ripenso al fatto che ti lascio giocare, e che non riesca a parlare con te, e mi chiedo se magari io non riesca ad amarti abbastanza. Ripenso a quanto io sia stato molto egoista, e a quanto a volte sia stato talmente concentrato su di me da trascurare te. Ripenso alle aspettative che ti ho scaricato addosso, e a come avevo giurato di non farlo mai. E ho paura, e non son sicuro d'avere la stoffa.

Poi ci sono quelle volte in cui mi comporto in modo frivolo e melodrammatico. Perché i miei pantaloni "tirano" per via degli addominali ormai perduti, e la mia casa è piccola, quasi un disastro, e ho la sensazione d'aver fallito miseramente. A volte è perché cerco di non mangiare formaggi e bere caffè, ma non riesco a pensare ad altro che ai formaggi ed al caffè. È sciocco, è umiliante, ma è vero.

Non dipende da te, figlio mio, ma da me.

Adesso hai sedici anni anni, e a volte mi chiedo se il mio tempo per fare errori non si stia esaurendo. Se uno di questi giorni non mi manderai a quel paese quando pretenderò troppo. Ma tu continui a perdonarmi, a credere e ad aver fiducia in me -- proprio come facevi quand'eri un bebè e io non riuscivo a capire come prendermi cura di te.

Grazie per quanto mi vuoi bene anche nella mia imperfezione. Mi hai migliorato tanto, e continuo a imparare...

Imparo ad accettare me stesso tanto quanto accetto te.

Ti voglio bene, figlio mio, più di quanto le mie parole siano in grado d'esprimere. Grazie per crescere con me.

Con amore,
Tuo padre, per sempre


Questo post è stato pubblicato originariamente su Wonderoak
è stato ripreso daHuffPostUsa e tradotto da Stefano Pitrelli,
adattato alla figura di padre da Alessandro Tagliabue

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