giovedì 21 maggio 2015

«Il reddito minimo di base incentiva la produttività, non la pigrizia»



20 mag 2015

Una società è intelligente se permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per farlo, però, si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza. È questa l’idea che nel 1986 ha portato diversi economisti, scienziati sociali e filosofi politici a fondare il Bien- Basic Income Earth Network, organizzazione che promuove l’adozione a livello mondiale di un reddito minimo. Per Louise Haagh, co-presidente di Bien - e Andrea Fumagalli, economista e membro dell’organizzazione, l’Europa ha affrontato e continua ad affrontare la crisi con l’approccio sbagliato.  
«I Paesi ideali dove introdurre un reddito minimo universale sarebbero proprio quelli dove i livelli di povertà sono i più elevati - spiega Louise Haagh-. Relativamente all’Europa, ad esempio, penso agli Stati del Sud e a quelli dell’Est. Tuttavia la nostra esperienza insegna che sono proprio queste le società dove è più difficile far accettare il nostro discorso. I Paesi nordici, che hanno già moltissimi esempi e strumenti di solidarietà sociale in vigore da anni, sono quelli da sempre più sensibili».
Se la Scandinavia discute in queste settimane la possibilità di procedere all’introduzione di un reddito di cittadinanza, per tutti quindi, in Italia la situazione è ben diversa.  «L’Italia, insieme alla Grecia - spiega Andrea Fumagalli  - è anche il Paese dove non esiste nessuna legge sul salario minimo. Le ragioni sono soprattutto due. La prima ha a che fare con la permanenza di una paradossale “etica del lavoro” che è patrimonio del mondo sindacale e della sinistra sia di centro che radicale, che si è sviluppata nel ‘900 ma è che è ancora ben presente. Paradossale, perché l’Italia, pur essendo il secondo Paese per numero medio di ore lavorate nella manifattura - più di 1.800, circa 350 in più della Germania, dati Ocse -, è spesso attraversata da accuse trasversali, da una categoria all’altra o da una generazione all’altra, di “fannullaggine”. 
(Stan Meagher/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images)

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